Home > C.U. 2.O e la lettera aperta di alcuni compagni dell’Ernesto e del pdci.
C.U. 2.O e la lettera aperta di alcuni compagni dell’Ernesto e del pdci.
Publie le giovedì 11 febbraio 2010 par Open-PublishingCU 2.0 e la lettera aperta di alcuni compagni dell’Ernesto e del PdCI
L’Ernesto, un’area politica interna al PRC nella quale alcuni degli aderenti a Comunisti Uniti 2.0 si riconoscono, e diversi compagni del PdCI, hanno diffuso in rete una lettera aperta nella quale - nel riaffermare le ragioni che hanno portato alla fondazione dell’Associazione Marx XXI - si denuncia in sostanza un atteggiamento genericamente definito “basista”, “purista” e “bordighista” presente in alcune settori della militanza comunista interna ed esterna ai due partiti principali e si prende posizione sul tema delle alleanze alle prossime regionali. Questa lettera è stata interpretata da qualcuno anche come una risposta al rilancio dell’appello originario “Comunisti e Comuniste cominciamo da noi”, che sta raccogliendo centinaia di adesioni dentro e fuori PRC e PdCI.
Approfittiamo quindi di questa iniziativa del PdCI e dell’Ernesto tentando di portare la discussione su un piano costruttivo e sul quale sia possibile un confronto tra posizioni diverse, entrando nel merito solo di alcune cose che ci sembrano più significative.
Diciamo subito che non ci sentiamo chiamati in causa da quel che si dice nella lettera. Certamente nella foga di molti compagni verso le organizzazioni politiche “ufficiali” c’è anche la rabbia e la delusione di chi si è impegnato in buona fede, a lungo e con dedizione in un proprio partito e lo ha visto pian piano ridursi in uno stato critico spesso comatoso: un po’ di sfiducia è dunque legittima e sarebbe necessario uno sforzo volto a capirne le ragioni piuttosto che a tentare di esorcizzarla tout court. Da parte nostra, nell’appello CU2 abbiamo evitato accuratamente ogni mitologia o strumentalità “basista”. Nella lettera aperta per il rilancio dell’unità dei comunisti CU2, infatti, i compagni sono invitati esplicitamente a lavorare insieme unitariamente anche rimanendo nei partiti, se lo ritengono opportuno. Sebbene noi siamo fortemente critici verso la Federazione della Sinistra e non riteniamo che questa abbia delle prospettive reali, rispettiamo chi opera all’interno di essa e dei partiti che la compongono (“Non chiediamo perciò a nessuno di uscire da questi partiti o da altre organizzazioni, coordinamenti o federazioni”). Questi partiti, o le loro aree interne, vengono dunque riconosciute in quanto tali, compresi i loro organismi dirigenti con la loro autorità, tanto più che molti di noi ancora militano in essi. Di essi e dei loro organismi dirigenti, però, si vorrebbe anche sollecitare un rinnovamento e un’apertura, in collegamento con la vasta diaspora comunista, attraverso la collaborazione con quei compagni che da essi sono usciti da tempo o che non ci sono mai stati, proprio per affrontare la degenerazione di quel “rapporto dirigenti-diretti” (compresi i meccanismi di selezione dei quadri) di cui parla anche la lettera di questi compagni dell’Ernesto e del Pdci. A questo allude il nostro invito alla“apertura di sedi di dibattito e di iniziativa” e alla messa in discussione dei “meccanismi di funzionamento” dei partiti stessi e per questo ci rivolgiamo ai singoli compagni e alle singole compagne di qualunque appartenenza comunista. Riteniamo infatti che, di fronte alla crisi pesantissima del movimento comunista nel nostro paese, nessuno possa oggi autoassolversi e ritenersi autosufficiente: né all’interno di PRC e PdCI né all’esterno di essi. Crediamo che questa sia una prospettiva alla quale gli stessi partiti, e in primo luogo il PdCI, dovrebbero guardare non con ostilità ma con interesse, visto che versano innegabilmente in una crisi di militanza piuttosto grave.
Sul PdCI il nostro appello non lancia nessun anatema, come non lo fa verso nessun altra organizzazione, partito o associazione dell’attuale arcipelago comunista, oggi ancor più frammentato del periodo in cui era uscito l’appello nell’aprile 2008 (basti pensare alle successive separazioni nel PdCI e nella vecchia terza mozione congressuale del PRC). Semmai, c’è stata in qualcuno dei firmatari di CU2 nei mesi passati un’aspettativa molto grande nei confronti del PdCI. Un’aspettativa che oggi però fa i conti con le lentezze del processo e che proprio per questo a volte si esprime in maniera reattiva. Oltretutto questo sentimento reattivo interno a aree del PRC e al PdCI avviene principalmente non “contro” questo o quell’apparato, ma soprattutto di fronte a una crisi capitalistica e ad un attacco padronale pesantissimo su scala internazionale che vede il ruolo dei comunisti ridotto ad opzione collaterale e subalterna alle logiche tutte interne alle compatibilità di sistema. Bisogna comprendere che tale sentimento va assolutamente coniugato e non contrapposto con le medesime aspettative che si sono create all’esterno dei due partiti comunisti che oggi hanno fatto la scelta della Federazione della Sinistra. Un compito difficile e di cui non conosciamo i tempi di risoluzione, ma al quale non ci possiamo sottrarre se vogliamo veramente riaprire la strada verso un Partito per tutti i comunisti ovunque collocati, radicato nella classe ed efficace nella lotta politica.
Proprio per questo, l’appello CU2 sostiene a chiare lettere che “non serve allora un ennesimo partitino ma è necessario andare tutti insieme verso la ricostruzione di un solo Partito” e che i Comunisti Uniti si coordinano per “sostenere” - e non certo per guidare, come erroneamente si lascia trasparire – “il progetto strategico dell’unità dei comunisti”: un progetto del quale di fatto l’Ernesto e il PdCI, se ci credono, possono essere due componenti importanti e che nessuno ha mai preso pregiudizialmente di mira. Questo è lo spirito - del tutto costruttivo - con cui abbiamo promosso CU2.
Dobbiamo dire anche, tuttavia, che parlare di necessità di alleanze di governo locale e nazionale senza quest’approccio strategico, senza il tentativo di dotarsi di un programma minimo di classe attorno al quale farle e senza una reale analisi della natura di classe delle forze politiche interne alla logica bipolare/bipartitica attuale è oggi altamente rischioso.
Su tale questione, che noi avevamo messo in primo piano insieme a quella del partito e della linea sindacale nel rilanciare l’appello, riprendevamo non a caso quanto era scritto nel primo testo del 17 aprile 2008 e attualizzavamo quelle riflessioni a questa fase, proprio come la stessa lettera di questi compagni dell’Ernesto e del PdCI chiede di fare.
In linea di principio, in questa lettera si dicono infatti delle cose del tutto condivisibili per chi ha una formazione politica comunista. Tuttavia, proprio per mantenersi fedeli alla concretezza che essa evoca, sappiamo che questi sono principi che vanno anche inquadrati storicamente e che vanno utilizzati con onestà intellettuale, altrimenti rischiano di essere la legittimazione ideologica dotta di una prassi molto meno nobile, come è spesso avvenuto. E questa storicizzazione va fatta a nostro avviso a due livelli.
1) Al primo livello, questi principi vanno inquadrati nella storia delle formazioni politiche delle quali alcuni di noi fanno o facevamo parte. Il principio per cui gli accordi si fanno se convengono al partito, se ce ne sono le condizioni, se ci rafforzano ecc. ecc. è stato infatti utilizzato sistematicamente come argomentazione per sedare gli animi dei più riottosi ad ogni appuntamento elettorale dal 1991 sino ad oggi, a volte in maniera comprensibile altre meno. Il problema è allora, come dice questa lettera, quello di valutare se l’alleanza concretamente “consente il rafforzamento e l’avanzata delle forze comuniste... o se ne favorisce invece l’arretramento e l’indebolimento”. A nostro avviso - ma anche per molti compagni dentro PRC e PdCI - il calcolo dei vantaggi e degli svantaggi e l’analisi della natura e degli obiettivi di classe dei potenziali alleati, e non il pregiudizio ideologico, indica oggi decisamente nella seconda direzione: in questo momento le alleanze, rendendo indistinguibile la proposta politica dei comunisti da quella del PD, ci fanno apparire subalterni ad un partito con una posizione prevalentemente liberaldemocratica e profondamente in crisi. Nella migliore delle ipotesi questo ci rende invisibili, ci indebolisce e ci fa apparire inutili proprio alla classe. Una semplice variante politica che risulta funzionale alle forze moderate e socialdemocratiche solo se serve loro per raggiungere una maggioranza e per sostenere le politiche liberiste coprendole “a sinistra”.
La nostra non è dunque una fuga dalla politica nella declamazione “purista” ma un contributo per rilanciare l’autonomia di classe dei comunisti e la loro indipendenza politica. Il tentativo di garantire una resistenza più efficace e di individuare alcune condizioni che oggi sono molto lontane, ma che un domani potranno aiutarci a costruire una prospettiva di uscita dal capitalismo, tanto più che esso si trova in una profonda crisi alla quale non corrisponde un’alternativa strategica. Giocare meglio le nostre carte (sempre mantenendo un’accorta flessibilità tattica) e offrire un profilo di autonomia e anche di alternatività, facilita oltretutto il dialogo con i nostri ceti sociali di riferimento e può contribuire a frenare un’emorragia di consenso e credibilità che riguarda tutto il movimento comunista.
Il risultato elettorale, riteniamo, sia sempre la verifica, intermedia o finale, di un lavoro politico nelle contraddizioni di classe e non il contrario.
Le alleanze alle regionali, però, preludono pressoché inevitabilmente ad una corresponsabilità di governo locale, essendo in questo tipo di amministrative per lo più esclusa l’eventualità di un’alleanza che sia solo elettorale e che non comporti l’ingresso o il sostegno a giunte poco presentabili, come quelle che si configurano nella grande maggioranza delle regioni. Dati i rapporti di forza attuali, difficilmente nelle giunte si riuscirebbe ad incidere (e in effetti, nella maggioranza dei casi, non ci si riusciva molto nemmeno quando i numeri erano diversi). Al contrario, si sarebbe obbligati a condividere scelte di politica locale - pensiamo soprattutto alle privatizzazioni dei servizi pubblici, alle devastazioni urbanistiche, alle esternalizzazione - che dovrebbero andare contro i nostri programmi e i nostri intendimenti e che, soprattutto, metterebbero tutti i comunisti di nuovo in contraddizione con quei contenuti sulla base dei quali si è tentato di costruire quel poco di legami di massa che ancora rimangono (pensiamo a cosa può accadere a Roma con il sostegno a una Bonino liberista, antisindacale e filoisraeliana).
Cosa conviene alle coalizioni che si richiamano al comunismo oggi in questo momento? Prendere un assessore e recidere questi legami oppure avere un assessore in meno e rafforzarli? Che le due cose possano stare insieme in questo momento è molto difficile. E a questo punto andrebbe approfondito anche il contesto economico-produttivo in cui ci muoviamo e andrebbero indagati gli spazi politici reali che l’acuirsi di questa crisi capitalistica strutturale lascia ai comunisti.
Data la fragilità ideologica dei quadri dirigenti comunisti e di quelli istituzionali, poi, è più facile oggi che questa corresponsabilizzazione contribuisca ad un ulteriore aggravamento della degenerazione dei meccanismi di funzionamento dei partiti e di selezione dei gruppi dirigenti. In linea teorica c’è, ovviamente, la possibilità che gli istituzionali tengano la linea giusta. Questo però, come sappiamo, comporterebbe fibrillazioni sulle Giunte esponendosi ancora una volta alle solite accuse di scarsa affidabilità con conseguenze negative di un tipo diverso. Ci si legherebbe da soli un cappio al collo, il cui nodo sarebbe nelle mani degli amministratori del PD e, peggio, anche dell’UDC.
Tra l’altro, non si può nascondere la testa sotto la sabbia e non ascoltare le critiche sempre più forti di chi anche all’interno delle aree comuniste presenti nella Federazione della Sinistra condivide questa impostazione. Non è tutto liquidabile come mero “populismo” il mal di pancia che su questi punti si sta largamente esprimendo nel Lazio come in Calabria, in Basilicata come in Sardegna, in Toscana come in Liguria e Piemonte.
Per inciso questo nostro giudizio, per cui - in sintesi – l’emorragia elettorale ci faceva e ci fa perdere consenso a sinistra a causa dell’eccessivo “governismo”, era esplicitamente espresso nella stessa mozione sostenuta dall’Ernesto e dalle altre aree della Terza Mozione all’ultimo congresso del PRC: “la nostra crisi”, si diceva in quella mozione, “è anche il risultato finale della politica di due anni del governo Prodi, del conseguente crollo di fiducia dell’elettorato popolare e di sinistra. A ciò ha contribuito, obiettivamente, la scelta, assunta tre anni fa, della linea di alleanza organica col centro-sinistra (prima la Gad e poi l’Unione) e di partecipazione al governo Prodi, senza aver conquistato significativi punti programmatici e men che meno una impostazione generale alternativa al neoliberismo e alla guerra e soprattutto senza che vi fossero nella società rapporti di forza tali da determinare un’inversione di rotta”. Così come questi concetti erano espressi anche nell’appello Comunisti Uniti dell’aprile 2008, condiviso (e questo è un punto che viene sottovalutato) con vasti settori di militanti e quadri delle lotte esterni a PRC e PdCI: la sconfitta nasce dalla “delusione estesa e profonda del popolo della sinistra e dei movimenti per la politica del governo Prodi e l´emergere in settori dell´Arcobaleno di una prospettiva di liquidazione dell´autonomia politica, teorica e organizzativa dei comunisti in una nuova formazione non comunista, non anticapitalista, orientata verso posizioni e culture neo-riformiste. Una formazione che non avrebbe alcuna valenza alternativa e sarebbe subalterna al progetto moderato del Partito Democratico e ad una logica di alternanza di sistema”.
Se non c’era “bordighismo” né infantilismo nella mozione dell’Ernesto e nell’appello CU1, insomma, non ci sono nemmeno nell’appello CU2 che ne ricalca le argomentazioni. Anche perché, come cercheremo di dire più sotto appena dopo il punto 2, il problema è in realtà secondo noi un altro.
2) Il secondo livello di storicizzazione è più complesso e vogliamo qui solo accennarvi. Il principio a cui fa riferimento la lettera di questi compagni dell’Ernesto e del PdCI, così come molti altri principi ai quali spesso ci richiamiamo, sono stati espressi in una fase nella quale, con tutti gli arretramenti, le sconfitte e le difficoltà del caso, il movimento comunista internazionale nel suo complesso stava attraversando un percorso di potente crescita ed ascesa, parallelamente all’ascesa delle classi subalterne in Occidente e all’avanzata della società di massa così come all’avvio delle lotte di decolonizzazione. Non si trattava ovviamente di un percorso lineare e scontato e sappiamo bene che ci sono state fratture imponenti come le guerre mondiali o i fascismi. Possiamo però retrospettivamente concepire quella macrofase, che si apre con il 1848, come una fase di avanzata, sebbene contraddittoria.
In quel contesto era a nostro avviso oggettivamente più facile maneggiare la tattica e anche affrontare la questione delle alleanze, perché la spinta del movimento complessivo, le dinamiche di “fusione”, con l’entusiasmo e le motivazioni che sapevano suscitare, ma soprattutto la preparazione ideologica dei quadri e dei militanti e il riconoscimento che questi avevano da parte dei ceti sociali di riferimento, aiutava le singole forze politiche comuniste a essere elemento dirigente o comunque a “governare” i processi nei quali si impegnavano. Dunque c’erano maggiori probabilità che quel tipo di linea politica trovasse conferma nella prassi. Oggi ci troviamo invece in una fase di ritirata strategica nella quale il movimento complessivo è, almeno in Occidente, sulla difensiva e non ha legami con ciò che avviene al di fuori dell’Occidente, i quadri sono quelli che sono e la nostra credibilità è pari pressoché a zero. E’ più probabile, allora, che nel tentativo “ambizioso” di governare questi processi si venga piuttosto governati da essi.
Quando si riflette sui principi che guidano la linea politica, allora, crediamo che si dovrebbe fare anche questo sforzo di contestualizzazione. Se in passato, sulla spinta del movimento complessivo, c’erano maggiori margini di manovra anche in presenza di rapporti di forza sfavorevoli e le alleanze potevano essere utilizzate e forzate per migliorare questi rapporti di forza, oggi è possibile che le cose stiano diversamente e che dunque i principi enunciati in passato vadano commisurati anche con quanto è avvenuto nel frattempo. E’ legittimo questo dubbio? Noi pensiamo di sì.
Ma il problema vero, come anticipavamo, è un altro. Il problema, cioè, non è soltanto quello di discutere tra noi quale sia in linea di principio ed in astratto l’atteggiamento dei comunisti di fronte alle alleanze e alle elezioni. E’ una questione sulla quale ci sono intere biblioteche e una semplice rassegna delle indicazioni presenti nella nostra tradizione non è sufficiente senza quel doppio sforzo di contestualizzazione al quale abbiamo accennato.
Il problema è anche molto più terra terra: nello specifico di queste elezioni regionali ci sono le condizioni per fare le alleanze oppure no? Conviene davvero sul piano tattico? Posta l’esigenza di ottenere una rappresentanza istituzionale, esiste una contraddizione tra la strada che si sceglie per ottenerla e l’esigenza altrettanto importante di riconquistare un minimo di credibilità nei confronti dei soggetti sociali di riferimento (ovviamente non strumentalmente per poi tornare al punto di partenza)? Fino a che punto è legittimo, per partiti gracili, con i quadri amministrativi e con l’esperienza istituzionale che tutti conosciamo, sostenere che comunque è fondamentale avere delle forme di finanziamento di tipo elettorale e che perciò si è “obbligati” alle alleanze? Insieme a quella economica, non si rischia la cancellazione totale della propria indipendenza politica e culturale? Se anche questo potesse essere efficace nel breve periodo, non c’è il rischio che nei tempi medio-lunghi gli svantaggi si dimostrino superiori ai vantaggi, come è avvenuto sinora?
E’ un criterio sacrosanto: le alleanze si fanno o non si fanno sulla base di una valutazione delle condizioni politiche e dell’utilità che il partito (quando ce n’è uno) ne trarrà. E queste alleanze si fanno attorno a un programma minimo mirato a costruire e rafforzare un blocco sociale che si opponga al capitalismo e, in prospettiva, costruisca la base per la trasformazione sociale.
Tutti noi ci ricordiamo benissimo, però, che nell’esperienza di questi partiti comunisti tale valutazione delle condizioni non ha mai - o forse: quasi mai - risposto a criteri oggettivi ma che i criteri sono stati quasi sempre così vaghi e indefiniti da poter essere forzati a favore degli accordi. E di accordi che spesso erano stati già fatti e rispetto ai quali l’enunciazione dei principi valeva come giustificazione preventiva.
Infine, questa parte dei compagni dell’Ernesto e del PdCI invitano ad avere uno sguardo dialettico sulla Federazione della Sinistra e a distinguere in essa gli elementi positivi da quelli negativi. E’ un invito che accogliamo, pur mantenendo il nostro giudizio complessivo critico sulla Federazione chiaramente enunciato nel nostro rilancio. Da parte nostra, invitiamo al tempo stesso quei compagni e tutti gli altri ad avere uno sguardo altrettanto dialettico su CU2.
Comunisti Uniti è o può essere - e per quanto ci riguarda vuole essere - anche il tentativo di dare un senso costruttivo al dissenso e spinta all’organizzazione. E cioè di aiutare i compagni più delusi a rimanere legati a quel processo di ricomposizione che tutti noi speriamo di vedere partire prima possibile, ma su basi avanzate e non di mero ritorno a posizioni anche unitarie ma subalterne e fallimentari. E persino di mantenerli legati anche a quei partiti - o a quelle aree - che di questo processo, come tutti sappiano, possono essere componenti importanti, incanalandone politicamente le insofferenze verso il terreno della lotta unitaria ed evitando ulteriori defezioni.
Presenteremo un ragionamento più articolato in una prossima analisi della fase complessiva, che speriamo di pubblicare presto. Detto questo, auguriamo ogni successo all’Associazione Marx XXI - della quale la lettera di questi compagni dell’Ernesto e del PdCI parla e della quale noi avevamo già riconosciuto delle potenzialità nel testo integrale dell’appello CU2, tant’è che alcuni di noi vi entreranno - e ribadiamo la nostra disponibilità al dialogo e alla collaborazione, nel rispetto reciproco e nella consapevolezza che tutti i differenti percorsi oggi in campo, dentro e fuori PRC e PdCI, se basati sulla condivisione di pochi ma chiari paletti dell’unità e dell’autonomia dei comunisti, non sono alternativi ma potrebbero essere persino complementari.
Stefano G. Azzarà, docente filosofia Università Urbino
Andrea Fioretti, assemblea dei lavoratori autoconvocati Roma
Gualtiero Alunni, Resp. Naz. Trasporti e membro del CPN PRC
Mao Calliano, direzione naz.le PdCI e segr. prov.le Federazione di Torino
La lettera di alcuni compagni de L’Ernesto e del PdCI è presente alla pagina:
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=get_filearticolo&IDArticolo=19080
La lettera aperta per il rilancio del progetto dei Comunisti Uniti è consultabile sul sito: http://www.comunistiuniti.it/
Per dare la propria adesione scrivere alla casella: adesioni BfC comunistiuniti.it