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CACCIA AL NERO

Publie le venerdì 8 gennaio 2010 par Open-Publishing
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[A Rosarno è in corso una rivolta di braccianti subsahariani. Ancora una volta qualcuno gli ha sparato contro, e loro si sono presi le strade. Ripubblico il capitolo di Servi in cui raccontavo della mia esperienza rosarnese. Dove, come si può leggere, quel che accade oggi non è che una conseguenza naturale degli eventi. Naturale e giusta.]

La sezione è ancora quella del Pci. Uno stanzone con del materiale vario accatastato in fondo, vicino alla porta, dall’altro lato un vecchio tavolo, alla sua sinistra una bandiera del Pci, aperta, dispiegata, e a destra una televisione. Davanti alla televisione, o meglio sotto, ché la televisione è poggiata su un ripiano a due metri da terra, è seduto un vecchio iscritto al partito. Gli siedo accanto, ai piedi una stufetta elettrica, e lui smette di guardare la tv, ci mettiamo a parlare, e mi racconta di quando il suo maestro se ne andò a Varese che lui aveva quattordici anni e gli aveva lasciato la forgia, e lui doveva sostenere la clientela di tutti i contadini della zona, e fare falci zappe e roncole per tutti.

La casa del popolo di Rosarno è intitolata a Peppe Valarioti, che ne era segretario nel 1980, quando lo ammazzò la ‘ndrangheta. A cinquanta metri da qui c’è anche una piazza che gli è stata intitolata: non lontano da quella piazza un paio d’anni fa hanno ucciso un ucraino che ripartiva per il suo paese con un pulmino, come d’uso i suoi connazionali gli avevano affidato i soldi da portare alle famiglie, quei soldi guadagnati nelle campagne raccogliendo arance e mandarini, conviene far così, mandarli col pulmino ché la commissione della Western-Union è più alta e il pulmino i soldi li porta direttamente a casa, ma le voci corrono, e in questa zona sono velocissime, tanto veloci che le cose qui si sanno prima che accadano, così l’ucraino lo hanno aspettato che era buio e stava per partire, dev’essere andata che gli si sono presentati davanti con una pistola e lui ha fatto resistenza, così la pistola ha declinato il suo verbo e lui è caduto al suolo, crepato, accanto al nome di Peppe Valarioti, crepato anche lui per una pistola mafiosa, in un ristorante, accanto al suo compagno sindaco Peppino Lavorato, che per festeggiarlo, la notte di capodanno dopo il suo insediamento, gli avevano regalato una pioggia di fuoco, cinquantanove attentati in una notte, fucili mitragliatori che sparavano contro le serrande dei negozi, contro i vetri del comune, contro i portoni delle case, e poi il botto finale, con Peppe Valarioti, giovane intellettuale, crepatogli in faccia, al tavolo di un ristorante, un’altra pietanza da offrire all’altare del sacrificio.Io ho paura, mi dice Giuseppe (c’è un’eccedenza di Giuseppi qui, almeno nei nomi la tradizione ancora resta), Ho paura perché non sono da solo, perché c’è la mia famiglia con me. Un giorno davanti alla sezione hanno appeso delle teste di vitello mozzate, e qui il senso di queste cose ce l’abbiamo chiaro.

Quando hanno ucciso Valarioti la gente aveva paura anche di pensare. C’erano trecentocinquanta iscritti alla sezione, allora, e dopo l’omicidio in questo stanzone erano in quattro. Uno di loro era il vecchio compagno che guarda la televisione, il vecchio compagno che tutti chiamano mastro Melo.

Avevo quattordici anni, dice mastro Melo, Non un mese in più non un mese in meno. E oggi a quello di trent’anni, anche di quaranta, lo chiamano “u’ figghiolu”. Ma quale figghiolu, dice mastro Melo, figghiolu ero io a quattordici anni, quello a trent’anni è vecchio! Oggi c’è corruzione, dice mastro Melo. Non mi piace affatto.

Rosarno, dove la famiglia Pesce che è la cosca più potente del luogo ha fatto pure l’impianto di condizionamento in chiesa, comincia da qui, dalla casa del popolo Peppe Valarioti, e proprio dietro l’angolo, affacciato su piazza Valarioti, c’è l’ambulatorio di Medici Senza Frontiere, dove forse era andato a visitarsi anche l’ucraino ammazzato lì vicino. Quelli di MSF, prima, stavano nel palazzo dell’Azienda Sanitaria Locale, ma poi li hanno cacciati, La cittadinanza non li vuole qui, dicevano, Hanno paura per l’igiene, le mamme vengono con i bambini e si trovano tutti questi neri, non è igienico, loro hanno paura, giustamente hanno paura. La paura è reciproca, signora mia. Solo che per i neri è elevata alla milionesima potenza.

Lo sport più praticato dai giovani di Rosarno è la caccia al nero. Dove “nero” non designa un subasahariano, ma indica indistintamente – senza discriminazione – un africano: di pelle scura o chiara è lo stesso. Il lunedì mattina, sugli autobus che portano a scuola, i ragazzi si fanno i reportage dei rispettivi pestaggi, sono motivi di vanto, di onore, a misurare il valore, tante croci sul petto. Ci sono delle tecniche, per linciare un nero. Anzitutto, evidentemente, essere in gruppo. Poi appostarsi nei luoghi strategici, dove sei obbligato a passare se vuoi andare da un punto all’altro del paese. Luoghi come via Carrara, via Roma, via Convento. Su via Convento, ad esempio, c’è un muraglione da dove si ha a portata di sasso chiunque passi di sotto. Ma anche sul corso (il corso, nei paesi come Rosarno, non ha un altro nome: è il corso e basta) – anche sul corso ci sono i presìdi, si aspetta che passi un nero per dargli la caccia. Appena due mattine fa, dice Antonino (ha i capelli alle spalle, un maglione colorato, un giubbotto di pelle scamosciato – “pure io quando cammino, mi sento dire drogato, frocio, come sei combinato…”), un ragazzino maghrebino correva, terrorizzato, lo rincorrevano in tre, con delle verghe in mano, l’ho fatto salire in macchina e l’ho portato via. E lo stesso ha fatto qualche tempo prima Giuseppe con un ragazzo algerino, a inseguirlo erano dei ragazzi più giovani di lui, avranno avuto dodici o tredici anni.

Io, quando li vedo passare, mi metto sul ciglio della strada, e lancio un sasso in aria, un bel sasso grosso, così gli faccio vedere che non ho paura, che sono pronto a reagire. Così mi dice Michael James, liberiano, che ho già incontrato all’ex zuccherificio di Rignano, vicino a Foggia, dove raccoglieva i pomodori, e che incontro di nuovo all’ex cartiera di via Spinoza, un posto che il miglior scenografo hollywoodiano saprebbe difficilmente restituire in tutto il suo scenario apocalittico, entri e ti trovi in mezzo a una cortina di fumo, e l’abbaglio di fuochi in mezzo a questo lucore tagliato da fasci di luce che entrano dalle feritoie del tetto coperte da plastica gialla ondulata, come fosse una cattedrale della desolazione, questa è la vera, realissima wasteland che nessuno spettacolo illumina, fuochi per cucinare accanto alle baracche di assi di legno inchiodate, con pareti di cartone e plastica e ancora cartoni a far da tetto, fissati da scarpe, sassi e stivali. Cumuli di terra. Rifiuti. Ethernit. Detriti. Laterizi.

Sul grande muro in fondo al capannone ci sono scritte, e numeri di telefono.Tra le scritte, Procrastination is a thief of time. By Goding King, Prisoner of conscience mess.

A giugno dell’anno scorso sono entrati nella cartiera, hanno bruciato le baracche, le fiamme sono arrivate fino al tetto. Un’altra volta dei ragazzini , “bad guys” hanno detto i ragazzi della cartiera, sono entrati in macchina nel cortile, Ve ne dovete andare, hanno gridato, agitavano le pistole, e anche stavolta le pistole hanno declinato il loro verbo ad altezza d’uomo, nessuno però stavolta è caduto sui detriti.

E se qualcuno fosse caduto, si sarebbe trattato di un regolamento di conti tra questa gente clandestina e dunque portatrice di colpa, gente che la propria innocenza deve sempre e solo dimostrarla. Come è successo quando hanno fatto in piazza la festa per la fine del ramadan, un vero e proprio gesto politico, un gesto forte, una manifestazione d’esistenza. A notte se ne sono andati a gruppetti, per non restare soli, ma qualcuno è stato costretto a fare un tratto di strada da solo, gli pareva che non ci fosse nessuno alle spalle, e invece sono sbucati all’improvviso, loro sì davvero uomini neri, clandestini, gli si sono parati davanti e gli hanno detto Negro di merda devi andartene di qua, e giù botte, il ragazzo (anche lui un nero di quelli chiari) è rimasto a terra, il viso coperto di sangue, qualcuno ha chiamato la polizia, e la polizia al nero chiaro gli ha detto, Ma tu che ci facevi in giro a quest’ora?
Il terzo giorno d’ospedale, il ragazzo, appena ha avuto un po’ di forze per alzarsi dal letto, è scappato. Ché il clandestino, per la legge, è lui.

Mi inoltro nella cartiera, cammino tra le baracche. Luogo di fantasmi. Fantasmi realissimi, però. Che stanno attorno a un fuoco e si cucinano un pezzo di carne. E’ tarda mattinata, e oggi non si lavora che fino a poco fa pioveva. Mi avvicino al fuoco, per scaldarmi. Un ragazzo mi saluta, ci presentiamo. Lui si chiama Charles, è liberiano. E’ venuto l’anno scorso col barcone, non parla ancora italiano. Qui aveva degli amici. Le sue venticinque euro a giornata, a cui vanno sottratte le due e cinquanta da dare al guidatore del pulmino, non riesce a guadagnarsele tutti i giorni. A volte sono solo tre in una settimana, a volte cinque. Dice che non vuole tornarci in Liberia, in Italia ormai si sta ambientando, ha da lavorare. Finita la raccolta delle arance tornerà a Castelvolturno, nel casertano, dove fa base. E dove ogni tanto riesce pure a trovare qualcosa da fare, nella campagna. Il suo amico che sta cuocendo la carne, invece, è togolese, è qui da un anno e mezzo, e anche lui fa base a Castelvolturno.

Esco dal teatro di fantasmi, nel piazzale.

Un ragazzo camerunense mi si avvicina, è disperato perché gli hanno rubato il portafoglio e dentro c’era il foglio di via. Non sa di preciso cosa sia, sa solo che è un documento, l’unico peraltro che attesti la sua esistenza qui,. Gli dico che non si deve preoccupare se l’ha perso, al limite è meglio così. Si fa felice d’un tratto, il volto risplende di un sorriso, Thank you! E’ sollevato, sa che non ha perso un’occasione, un rimpianto non gli sta più sullo stomaco, basta poco per riaprire il tempo…

Poi comincio a spiegare come funzionano le regolarizzazioni, e si forma un capannello. Nessuno sa niente. E tutti mi ringraziano, strano essere ringraziati per informazioni che dovrebbero scontate, e che per loro sono vitali. Poi mi raccontano dei loro problemi, siamo in trecento qui, e tutti senza documenti. “Ci mandano via con un decreto di espulsione, ma noi non abbiamo soldi, dove andiamo? E poi è assurdo che il comune ci fa docce e bagni, poi il giorno dopo arriva la polizia e ci lascia per strada, o nella migliore delle ipotesi ci prende i soldi dalla tasca.” Un ragazzo nero, lo sguardo teso, si fa largo con la voce e chiede di essere ascoltato. Mi chiamo Mohamed Bashir, dice, vengo dal Niger.

“Ho bisogno di aiuto.” Parla un po’ in inglese e un po’ in italiano. “Sono un musulmano, sposato a una cristiana. Do you understand what i’m telling you?

My foliodivia is here, I can give you right now! Ma se io torno, muoio. Ho trent’anni. I can die anytime, I don’t care, ‘cos I’m tired.”

Mia moglie è morta, dice. “Lei mi disse che non poteva sposarmi se non ero cristiano. Io volevo questa donna, e avrei fatto qualsiasi cosa che potesse soddisfarla. Così mi sono convertito. Because of my woman. Hanno avvelenato il cibo: i miei genitori, tutta la mia famiglia, sono stati loro. Hanno avvelenato mia moglie e mio figlio.”

Mi mostra l’orecchio accartocciato – they beated me – ed è evidentemente dovuto a una ferita. Ha anche una cicatrice vistosa sul labbro. “Sono venuto via dal Niger lo scorso anno, poi sono stato quattro mesi in Libia. Sono sbarcato a Pozzallo, poi mi hanno portato a Trapani. Lì mi hanno fatto l’intervista per l’asilo. Ma me l’hanno negato. Quando sono uscito da lì sono andato a Palermo, al centro di Biagio Conte. Ho avuto un contatto con un avvocato, ma voleva quattrocento euro per il ricorso, e io non li avevo. Ma io al commissioner che mi faceva l’intervista gli avevo spiegato tutto.

Mi aveva anche chiesto se so cos’è la comunione. Yes: the bread is the body of Christ and the wine is the blood of Christ. …and the glory of god. Io non posso più essere un musulmano. Io ho chiesto al commissioner di cambiare nome, non più Mohamed Bashir, ma un nome cristiano. Ha rifiutato. I don’t worry, I can die anytime, I give my life to God.”

Telefono subito all’avvocato, la mia amica Alessandra, gli espongo il caso.
Ed è dura dire a Bashir “There is nothing you can do”. “Ok, I go back to Niger.” E’ dura sostenere il suo sguardo che mi oltrepassa e va a infilarsi in un vuoto che solo lui sa. E’ dura vederlo girarsi e rientrare nel teatro dei fantasmi.

Quando ripassiamo dalla cartiera, nel pomeriggio, Bashir mi saluta. Ma il suo sguardo è spento, l’espressione incupita, cammina a testa bassa.

Prima di scendere a Rosarno avevo telefonato a Michael James, il liberiano incontrato a Rignano, dove ci eravamo scambiati i numeri, anche perché gli avevo promesso di informarmi a che punto era la sua domanda per lo status di rifugiato. Mi aveva detto che al tempo della mia discesa non ci sarebbe più stato – invece lo trovo dentro la cartiera. Quando mi vede mi si fa incontro con un cinque. Ma come, gli dico, Non dovevi già essere partito? Lui risponde con un sorriso, Ho trovato lavoro tutti i giorni quest’anno! – e chi se l’aspettava. Ehi che cappellino, gli dico. E’ un cappellino da baseball rosso e bianco con una foglia di marijuana sul davanti. Ma ho smesso di fumare, dice, anche le sigarette, guarda qui. E mi fa vedere un dente, marrone dal fumo. Eh, il nervoso dice… Mi racconta che a Monrovia era un taxi driver, e che i suoi genitori sono scappati da qualche parte in Ghana ma non sa dove.

Poi racconta che molti dei suoi amici stanno andando in Spagna, che proprio ieri un suo amico gli ha telefonato, lavora in campagna, come qui, ma guadagna quaranta euro al giorno. E poi molti altri vanno in Inghilterra, e Andama, quello che era con lui a Rignano, è riuscito ad arrivarci, nascosto in un camion, e adesso lavora in una piccola azienda. Ci vado anch’io, dice, appena ho un po’ di soldi per il viaggio.

“Devi avere i soldi anche per pregare – dice. Se hai i soldi allora preghi e dici, Grazie Dio! Se non li hai, la tua mente non riesce a pregare, e allora dici, Oh Dio perché mi hai punito…”

Quando ci salutiamo, con un abbraccio, fa l’ultima invocazione: “Dio dei documenti!” Non riesce a pregare Dio, ma invoca un dio che potrebbe salvargli la vita.

Qualche settimana fa nella cartiera c’era anche Philip, un ragazzo ghanese. Me ne racconta Antonino. Al nord aveva avuto problemi con lo spaccio, e qui lavorava nei campi. Stava andando dal padrone a riscuotere la paga, lo accompagnava un amico con la sua auto. Un trattore esce da una stradina laterale d’improvviso e colpisce l’auto, che resta danneggiata. Che facciamo adesso? Il signore del trattore sembra disponibile, venite cinquanta metri più avanti, lì sulla destra c’è la campagna mia, ci fermiamo e parliamo. Ma appena all’ingresso del fondo, quello prende un badile e li colpisce sulla testa. L’amico riesce a scappare, Philip resta tramortito a terra, sul bordo della strada, finché una macchina passa e, guardandosi bene dallo scendere per aiutarlo vedendolo tutto sanguinante con uno squarcio sulla testa, chiama la polizia. Un’ambulanza lo porta in ospedale, dove gli danno dei punti di sutura, e insieme la polizia gli consegna il foglio dell’espulsione.

Philip non ha voluto far denuncia, per paura di quello che l’aveva picchiato. Non si sentiva protetto per farlo, né sentiva di avere qualche chance per avere giustizia. Del resto la polizia non aveva proceduto nemmeno alla denuncia d’ufficio.

La polizia, agli abitanti della cartiera, si era fatta conoscere nel gennaio 2006 arrivando con le camionette, facendo uscire tutti e disponendoli in fila sul bordo della strada. Trattati con i guanti, nel senso che tutti i poliziotti avevano i guantini da infermieri, e il messaggio che passa è quello di infezione. Quando all’indomani del blitz Antonino era entrato nella cartiera, aveva incontrato chi aveva la macchina spaccata e gli erano state portate via le chiavi, chi diceva che i poliziotti gli avevano preso le borse con dentro telefonino e documenti, chi diceva che gli avevano preso cento euro. Tutto era stato sfondato, le baracche dove dormivano, le porte del bagno, un televisore con la parabola unica ricchezza, i due piccoli chioschi interni al luogo, e anche le stanze dove si esercitava la prostituzione. Perché questi sono come eserciti di uomini, e come tutti gli eserciti di uomini non manca mai il battaglione delle donne che vendono piacere.

La cartiera non è l’unico luogo abitato da questi braccianti. Ce ne sono almeno altri cinque. L’ex fabbrica della Rognetta, il ponte dei maghrebini, il ponte dei neri, il casolare della Fabiana, il casolare in collina dei senegalesi. Ci vado con Antonino e Giuseppe, che distribuiscono vestiti.

Se alla cartiera ci sono solo subsahariani, alla Rognetta ci sono anche egiziani, marocchini, tunisini. Mi fermo a parlare con un egiziano di Alessandria che è stato due anni e mezzo a Milano, abitando in un appartamento con molti amici nella zona di Loreto, facendo il carpentiere. Dopo l’obbligo del cartellino voluto dal decreto Bersani ha avuto grosse difficoltà per lavorare, finché è stato trovato in metropolitana, dove oltre alla multa gli hanno dato il foglio di via. Così ha deciso di scendere. Solo che se lavorando tanto a Milano riusciva, col padrone che aveva, a guadagnare anche 120 euro al giorno, adesso non supera le 25. E in Egitto ha una moglie e due figli da mantenere.

Alla Fabiana c’è un casolare isolato dove ci stanno regolari. Lui si chiama Michael, è del Burkina Faso dove ha moglie e tre figli, e quando gli nomino Marcella della Campagna Tre Titoli si stupisce, Come fai a conoscerla! Poi, condividiamo anche un altro nome – onorato non solo dai burkinabé: quello del presidente Thomas Sankara, rivoluzionario e martire.

Ci sono quelli più fortunati che stanno in affitto, per la maggior parte esteuropei, otto persone per stanza, anche cento euro a persona. Una manna per i padroni di casa di qui, dove gli affitti sono molto bassi. Gli esteuropei tendono spesso a risiedere sul territorio per tutto l’anno, un po’ meno i maghrebini: negli ultimi anni sono rimasti in meno ad abitare in queste zone, e qualcuno dice che dietro a questo decremento c’è la mano della ‘ndrangheta. Si tratta di due tipi di migrazioni differenti, del resto: la maggior parte degli esteuropei viene con la famiglia, le donne cercano posto come badante, ma lavorano anche nella raccolta (non solo le arance, ma anche le fragole nelle serre di Lamezia, o le cipolle a Tropea); i maghrebini invece – le cui case si riempiono a rotazione, per far festa con tè alla menta, violino e tamburello – sono giovani soli. I subashariani, poi, sono legati al circuito della stagionalità, e arrivano a Rosarno tra ottobre e novembre. Come Michael, come Charles.

Rosarno veniva chiamata Americanicchia, una volta, quando i braccianti della Jonica ci andavano a lavorare, e i grandi commercianti amalfitani e napoletani aprivano negozi, empori. Oggi la ‘ndrangheta si è mangiata tutto, si sta comprando le terre stabilendo i prezzi con minacce e intimidazioni, il mercato delle arance e dei mandarini è in mano a un oligopolio criminale, le cooperative dei produttori a cui i singoli agricoltori devono rivolgersi sono legate con le mafie, e sono loro che gestiscono il denaro dell’integrazione dell’Unione europea, il cui sostegno non era indirizzato alle strutture o alla qualità del prodotto, ma al prezzo: questo ha favorito truffe organizzate su vasta scala (le cosiddette “arance di carta”). Così, si trovano agrumeti ovunque, a Rosarno, anche dove dovrebbero essere gli alvei di fiume, riempiti appositamente per strappare incentivi europei.

Come mi racconta Peppino Lavorato, l’ex sindaco che era al ristorante con Valarioti quando venne ucciso, i nuovi agrari, soppiantando i baroni, sono diventate le cosche – che si sono arricchite col traffico di droga e di armi, e hanno fatto investimenti in attività immobiliari al nord sia d’Italia che d’Europa. Gli investigatori stimano che l’80% della cocaina d’Europa arriva dalla Colombia attraverso il porto di Gioia Tauro, insieme a consegne di Kalashnikov e Uzi, e il commercio è controllato dal centinaio di famiglie delle cosche.

I capitali accumulati, poi, vengono reinvestiti. Immobiliari e finanza anzitutto. Ma anche gli anelli più bassi della catena mafiosa riescono a reinvestire: Don Giuseppe Demasi, referente dell’associazione Libera in questa zona, mi racconta, quando lo vado a trovare a Polistena nella sua canonica, che molte persone legate alla ‘ndrangheta e che lavorano nell’edilizia si sono spostate al nord, tra Reggio Emilia e Modena, una zona piena di affiliati. Hanno un piccolo capitale accumulato che reinvestono in quel modo, utilizzando manodopera e distribuendo lavoro, e possono farlo in territori dove possono godere di una sostanziale anonimità.

I migranti sono l’anello debole di questa catena: è anzitutto su di loro che si riversa la crisi generalizzata prodotta sul territorio dall’egemonia criminale (che ovviamente non esita a usarli al gradino più basso della catena, per spaccio o prostituzione). Un latifondista ha raccontato a don Giuseppe che la ‘ndrangheta stabilisce anche la paga giornaliera dei migranti, che impone una sorta di calmiere: Tu non puoi dare più di questi soldi, dice all’agricoltore. La crisi generale del settore ha aumentato la concorrenza sul mercato del lavoro per i braccianti immigrati, dell’est Europa o africani. I subsahariani – i neri più neri – sono quelli che ci hanno rimesso di più, e lavorano di meno.

La cifra normale per una giornata di lavoro è di 25 euro, ma trattandosi di clandestini capita più o meno regolarmente che qualche caporale non paghi. C’è chi fa parte di una squadra in maniera continuativa facendo riferimento a un caporale “compaesano” e – per la maggior parte – c’è chi cerca lavoro giorno per giorno, trovandosi prima dell’alba sulla strada principale di Rosarno, radunandosi per gruppi “etnici”: i maghrebini, i rumeni e i bulgari, i rom (rumeni anche loro, ma a distanza), i subsahariani. Come Michael.

Sono le cinque di mattina, sul lungo viale.

Davanti all’International Phone Center c’è un gruppo numeroso di marocchini. Sono quelli che, per la pelle chiara, hanno più facilità a trovare lavoro.

Più avanti un gruppo di Craiova, un signore anziano, con un berretto tipico, è in Italia con la moglie da un anno e mezzo: dice che sono qui da tre mesi ma lavorano poco, una giornata a settimana per 25 euro. Ho già conosciuto diverse persone di Craiova, e sono rom. Gli chiedo se anche lui lo è. Risponde con un sì sottovoce, come se fosse sorpreso di essere scoperto, e in quella voce che si abbassa risuona la paura. I rumeni, suoi connazionali, sono a distanza.

Più avanti parlo con un tunisino che è qui da 17 anni, ed è regolare. Dice con orgoglio di gestire una squadra di sessanta persone. Io dò di più degli altri, dice, 32 euro al giorno. I miei sono solo marocchini, tunisini, algerini – gli altri non mi piacciono. Ma oggi la mia squadra non lavora perché piove, per me va bene, allora vengo a reclutare altri lavoratori.

Incontro anche dei nigeriani, loro abitano a Napoli e mi chiedono notizie sulle leggi sull’immigrazione, vogliono sapere se una sanatoria la fanno o no. Macché nuova legge, gli rispondo.

I pulmini arrivano, si sale in fretta e in fretta si riparte. La donna che sta seduta davanti è rumena ma ha l’accento napoletano. Che cazzo guardi guaglio’? Sul parabrezza una busta di pane e il giornale Business. Sui sedili di dietro, giovanissimi maghrebini.

Sono clandestini, senza di loro le arance resterebbero sugli alberi. Di loro hanno bisogno i padri nei campi, ma di loro hanno bisogno anche i figli per prenderli a sassate, che nelle loro figure espiatorie trovano il bersaglio ideale della loro cultura modellata dalla mafiosità, che di sacrifici si nutre, come Peppe Valarioti sacrificato su un tavolo di ristorante, quella mafiosità che fa cultura, che sempre più spesso fa rispondere, alla domanda Cosa vuoi fare da grande? – Il boss.

Marco Rovelli

http://www.nazioneindiana.com/2010/01/07/caccia-al-nero/

7.01.2010

Messaggi

  • A Rosarno alta tensione. Un uomo ha sparato

    Maroni: "Troppa tolleranza con i clandestini"

    ROSARNO (REGGIO CALABRIA) - Alta tensione stamane a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dopo i disordini di ieri quando gli immigrati hanno dato vita ad una guerriglia urbana dopo che due di loro sono stati feriti da sconosciuti con alcuni colpi di carabina ad aria compressa. Migliaia di extracomunitari si sono radunati per le strade e nella piazza del comune. Un abitante ha sparato in aria. Un gruppo di immigrati è venuto a contatto con un centinaio di abitanti. E’ di 34 feriti il bilancio dei disordini scoppiati ieri. Arrestati sette extracomunitari. La Cgil: nel 2007, in tutta la Calabria, a fronte dei 6.400 autorizzati, si stima vi siano stati circa 20 mila lavoratori stranieri stagionali impiegati nel settore agricolo.

    Maroni. "In tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, una immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall’altra ha generato situazioni di forte degrado, come quella di Rosarno". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ai microfoni de "La Telefonata", su Canale 5, rispondendo a una domanda di Maurizio Belpietro sui disordini avvenuti ieri nella cittadina calabrese. "Stiamo intervenendo - ha sottolineato il ministro -, intanto ponendo fine all’immigrazione clandestina, agli sbarchi che hanno alimentato il degrado, e a poco a poco porteremo le situazioni alla normalità, questo è il nostro impegno".

    H.9.00. Intanto la situazione a Rosarno è sempre più preoccupante. I negozi e le scuole sono rimasti chiusi. Per questa mattina è stata organizzata una manifestazione di protesta degli immigrati della Piana di Gioia Tauro (sono circa in 15mila gli immigrati presenti in questo territorio) che ieri sera hanno dato vita ad una guerriglia urbana dopo che due di loro sono stati feriti da sconosciuti con alcuni colpi di carabina ad aria compressa.

    H.9.30. A Rosarno è in corso un concentramento, al momento sarebbero circa duemila gli immigrati, secondo la polizia, radunati davanti al comune. Gli immigrati stanno scandendo slogan di protesta e hanno chiesto che una loro delegazione incontri il commissario prefettizio del Comune, Francesco Bagnato. La tensione è alta, danneggiate le vetrine di alcuni negozi e qualche cassonetto è stato rovesciato. Un gruppo di abitanti di Rosarno ha raggiunto la zona antistante il Municipio, c’è preoccupazione e malumore.

    H.9.45. Si stanno unendo agli immigrati anche altri gruppi di extracomunitari provenienti dai centri dell’hinterland. Non si conoscono ancora le intenzioni dei manifestanti, né quanti se ne stanno raccogliendo nelle strade di Rosarno. Da ieri hanno chiesto di parlare con il commissario prefettizio Domenico Bagnato (che regge il Comune) per esporre le loro problematiche. Fonti investigative fanno sapere che circa duecento immigrati hanno attuato due blocchi stradali, uno a nord e uno a sud dell’abitato di Rosarno, sulla statale 18, impedendo alle auto di transitare.

    H.10.00. Gli immigrati stanno protestando, anche con spranghe, bastoni e oggetti contundenti. Molti sono ubriachi e stanno seminando il panico in città: una donna a bordo di una Grande Punto è stata aggredita e salvata grazie a polizia e carabinieri che in massa tentano di arginare le proteste.

    H.10.45. Un cittadino ha sparato due colpi di fucile in aria a scopo intimidatorio per disperdere un gruppo di immigrati che si era concentrato davanti la sua abitazione. L’uomo ha esploso i colpi dopo essere salito sulla terrazza della casa. Gli immigrati successivamente sono entrati nell’abitazione dove c’erano la moglie e i due figli dell’uomo, dove però si sono limitati ad urlare e protestare e si sono poi allontanati.

    H.10.50. Un gruppo di immigrati è venuto a contatto con un centinaio di abitanti di Rosarno. La situazione al momento, anche se molto incandescente, è tenuta sotto controllo dalle forze di polizia.

    H.10.55. Momenti di tensione tra un gruppo di abitanti di Rosarno e le forze dell’ordine dopo che un giovane era stato fermato perchè stava litigando con un immigrato che stava partecipando alla protesta davanti al Municipio. Gli animi si sono calmati dopo che il giovane, che era stato bloccato, di fronte alle proteste degli abitanti, è stato rilasciato. La situazione, comunque, resta assai tesa.

    H.11.02. "Il problema degli immigrati va riallacciato a quello della ’ndrangheta. C’è uno sfruttamento pilotato da parte della criminalità e questo a causa dell’assenza dello Stato, che deve tornare a intervenire". Così Don Pino Demasi vicario generale della diocesi di Oppido-Palmi e referente di ’Libera’in Calabria.

    H.11.10. E’ terminata la protesta degli immigrati davanti al comune di Rosarno, ora si stanno dirigendo verso il centro della città. Intanto una delegazione di immigrati ha incontrato il commissario prefettizio, Francesco Bagnato, a cui ha chiesto una maggiore vigilanza e l’arresto degli aggressori che ieri hanno scatenato la feroce protesta. Lo stesso commissario prefettizio ha assicurato un suo intervento e una maggiore vigilanza da parte delle forze dell’ordine della struttura che ospita gli immigrati.

    H.11.15. Una delegazione di cittadini di Rosarno sta incontrando il commissario prefettizio del comune per chiedere l’immediato allontanamento degli immigrati presenti nella cittadina della Piana di Gioia Tauro. La tensione tra gli abitanti di Rosarno continua a salire, mentre gli immigrati in corteo si stanno dirigendo, attraversando il centro del paese, verso le loro abituali dimore.

    H.11.18. "La situazione è grave, è pesante. Ho parlato con i migranti e ho detto loro che faremo tutto il possibile per proteggerli. Ma ho anche specificato che non devono confondere l’attacco da parte di singoli con l’atteggiamento di tutta la cittadinanza". Lo ha detto ai microfoni di CNRmedia Domenico Bagnato , commissario prefettizio a Rosarno. "Ho detto loro - continua Bagnato - di non confondere l’azione delinquenziale di pochi dalla disponibilità della maggioranza degli abitanti di Rosarno. Ora la situazione è grave perché un qualsiasi altro incidente potrebbe innescare nuove tensioni".

    H.11.20. "Quello che sta succedendo è intollerabile e la cittadinanza non lo accetta più". Lo ha detto l’ex assessore alla Protezione civile del comune di Rosarno, Domenico Ventre, sciolto nel gennaio del 2008 per infiltrazioni mafiose. "Gli immigrati che vivono nel nostro comune - ha aggiunto Ventre - sono continuamente assistiti e aiutati e la loro reazione di fronte all’episodio isolato che è successo ieri è assolutamente sproporzionata. Non possiamo accettare che queste persone devastino il nostro paese suscitando una situazione di paura tra gli abitanti".

    H.11.27. Durante gli scontri a Rosarno è stata aggredita una troupe del Tg2 e il giornalista Francesco Vitale: un gruppo di immigrati alla vista della telecamera ha lanciato sassi contro il giornalista e il suo operatore. La troupe e lo stesso cronista hanno già ripreso il loro lavoro.

    H.11.34. "Un uomo di Chiesa non può fare altro che chiedere che termini la violenza e si torni alla ragionevolezza e, pur nel ritorno all’ordine, si cerchi di andare al fondo dei problemi e di capire le ragioni degli uni e degli altri. E’ necessario il dialogo, anche se questa può sembrare inflazionata, ma è l’unica strada per cercare la soluzione a problemi difficili in un contesto di crisi che tutti conosciamo". E’ quanto ha detto monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i Migranti e gli Itineranti.

    H.11.38. "E’ necessario impedire la guerra tra immigrati sfruttati e cittadini onesti. Il ministro Maroni anziché ripetere il copione della propaganda faccia qualcosa per combattere la criminalità che sfrutta gli immigrati e continua a tenere in ostaggio parte del territorio calabrese". Lo afferma Livia Turco, capogruppo del Pd nella commissione Affari sociali della Camera.

    H.11.42. Nel 2007, in tutta la Calabria, a fronte dei 6.400 autorizzati, si stima vi siano stati circa 20 mila lavoratori stranieri stagionali impiegati nel settore agricolo. Queste le ultime cifre sul fenomeno dell’immigrazione e della stagionalità nel settore primario nella regione, rese note dalla Cgil, che proprio a Rosarno ha svolto la prima conferenza regionale sui migranti nelle scorse settimane.

    H.11.48. "Bisogna tornare alla ragione e mettere da parte le esasperazioni da una parte e dall’altra". Lo ha detto don Carmelo Ascone, conosciuto come don Memè, parroco da 25 anni di Rosarno, e profondo conoscitore della realtà del paese. "I luoghi in cui vivono gli immigrati - ha aggiunto don Memè - sono dei veri e propri gironi danteschi. Queste persone vivono in condizioni disumane e disperate". Secondo don Memè "gli abitanti protestano giustamente, ma l’esasperazione e la rabbia non possono trasformarsi in intolleranza".

    H.11.50. E’ di 34 feriti il bilancio dei disordini scoppiati ieri a Rosarno. Secondo i dati diffusi dalla Polizia di Stato, sono ricorsi alle cure dei medici degli ospedali della zona due cittadini extracomunitari, 14 cittadini italiani, dieci poliziotti e otto carabinieri. Gli uomini del Commissariato di Gioia Tauro hanno arrestato sette extracomunitari per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, devastazione e danneggiamento.

    H.11.54. "Abbiamo bisogno di protezione perchè contro di noi ci sono continue violenze che sono frutto di razzismo". Lo dice ai giornalisti Sidiki, un immigrato africano di 25 anni, che viene a Rosarno di frequente per lavorare nei campi. "Subiamo continuamente - ha aggiunto Sidiki - atti di intolleranza, ma noi siamo lavoratori onesti che vengono qui solo per guadagnarsi il pane e non diamo fastidio a nessuno. Piuttosto, sono intollerabili le condizioni in cui ci fanno vivere perché avremmo bisogno di più igiene e dignità".

    H.12.00. Ci sono stati scontri tra un gruppo di abitanti di Rosarno e alcuni carabinieri e poliziotti. L’episodio si è verificato mentre gli immigrati facevano rientro nei centri di ricovero in cui sono ospitati. Alcune persone di Rosarno hanno tentato di raggiungere alcuni degli immigrati, ma sono stati bloccati dalle forze dell’ordine. La reazione degli abitanti, anche in previsione di qualche fermo che poteva essere disposto dalle forze dell’ordine, è stata immediata con grida e insulti verso le forze dell’ordine. "Dovete picchiare loro - ha detto un giovane - e non noi, perché sono loro i veri criminali".

    H.12.08. E’ da alcuni mesi attivo su Facebook un gruppo intitolato ’Gli africani salveranno Rosarno’. Al momento vi aderiscono 1500 persone. Scopo del gruppo è quello di una sorta di osservatorio invernale sulla raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro, mantenere alta l’attenzione, contrastare ogni forma di razzismo, informare correttamente, sfatare i luoghi comuni sul fenomeno dell’immigrazione, promuovere percorsi di integrazione.

    H.12.10. Allo stato attuale delle indagini non risulta un coinvolgimento della criminalità organizzata nel ferimento di alcuni extracomunitari con un fucile ad aria compressa, l’atto che ha scatenato la guerriglia urbana di Rosarno: è questa, finora, l’opinione concorde degli investigatori di carabinieri e polizia che si stanno occupando del caso.

    H.12.11. "Vi invito alla calma e vi assicuro che avrete adeguata protezione". E’ quanto ha detto il commissario prefettizio del Comune di Rosarno, Francesco Bagnato, alla delegazione di immigrati che ha attuato stamattina la protesta davanti al Comune. "Vi garantiremo - ha aggiunto Bagnato - presidi di sorveglianza davanti ai centri di ricovero. Cercheremo, inoltre, di migliorare le condizioni igieniche in cui vivete, dandovi nuovi container per dormire e bagni chimici".

    H.12.20. Cinque persone, fra ieri sera e stamattina, sono finite al pronto soccorso dell’ospedale di Polistena per ferite riportate durante gli scontri a Rosarno. Si tratta di due extracomunitari e tre persone di Rosarno e alcuni paesi vicini. L’ultimo, un uomo di Giffone, è arrivato questa mattina riferendo di essere stato aggredito, come riferiscono fonti del pronto soccorso. Nelle stesse condizioni anche un altro ragazzo del posto: entrambi, con ferite lievi, sarebbero stati medicati e già mandati a casa. Tra i feriti due extracomunitari, colpiti da pallini di carabina. Sempre ieri sera una donna ultraquarantenne di Rosarno è stata medicata al pronto soccorso per ferite lievi.

    H.12.27. Gli immigrati nella Piana di Gioia Tauro vivono in "condizioni degradanti; condizioni che hanno un serio impatto sulla loro salute". Lo afferma Loris De Filippi, coordinatore dei progetti di Medici senza frontiere Italia. L’organizzazione lavora da tempo sul posto gestendo le attività di assistenza sanitaria attraverso una clinica mobile.

    H.12.30. "Mi dispiace molto che il ministro dell’Interno non abbia perso l’occasione, anche questa volta, di fare lo scaricabarile sulla famosa immigrazione clandestina". Pier Luigi Bersani, questa mattina a Reggio Calabria per portare la solidarietà al Procuratore generale della Corte d’Appello, rispondendo ai giornalisti sulla rivolta degli immigrati di Rosarno, sottolinea la gravità della situazione: "Prima bisogna fare in modo di riportare la calma, poi andare alla radice di una situazione fatta sicuramente di mafia, sfruttamento, xenofobia e razzismo".

    H.12.40. E’ un paesaggio in cui sono evidenti i segni della guerriglia urbana e dei danneggiamenti compiuti quello che si presenta lungo la strada che dal centro di Rosarno conduce al centro ricovero ospitato nell’ex Esac. Secondo quanto hanno riferito alcuni abitanti, gli immigrati stamattina, mentre si recavano nel centro del paese, si sono abbandonati ad atti di vandalismo danneggiando tutto ciò che trovavano lungo la loro strada. Ci sono alcune auto distrutte da incendi, cassonetti ribaltati, rifiuti bruciati sparsi lungo la strada. Alcune persone hanno riferito che un gruppo di immigrati ha lanciato pietre contro la loro abitazione provocando danni.

    H.12.42. "La violenza non va mai giustificata. Anche chi pensa di aver ragione e poi utilizza la violenza sbaglia in quanto la violenza non è mai uno strumento per dimostrare le proprie ragioni. Attraverso la violenza si fa torto alle proprie ragioni", e tuttavia "il disagio degli immigrati è dovuto alle situazioni di sfruttamento cui vengono costretti a causa del quale fanno una vita invivibile". E’ quanto afferma al Sir, l’agenzia stampa della Cei, don Ennio Stamile, direttore regionale della Caritas Calabria.

    H.12.52. Dopo i fatti di Rosarno è stata costituita una task force del ministero dell’Interno, di quello del Welfare e della Regione Calabria. E’ stato deciso al termine di una riunione convocata al Viminale dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni.

    H.13.03. ’’Individuazione degli xenofobi; espulsione dei rivoltosi e tutti i clandestini; premio a chi denuncia lo sfruttamento del lavoro irregolare; perseguire gli imprenditori disonesti; e sostenere gli enti locali che mettono in atto interventi di inclusione sociale’’. E’ quanto propone il segretario nazionale dell’Associazione funzionari di polizia, Enzo Letizia.

    H13.08. "La provocazione c’è stata ma la risposta degli immigrati è inaccettabile". Lo ha detto il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero. "E’ il frutto - spiega Loiero - di un clima di intolleranza xenofoba e mafiosa che non riguarda ovviamente la popolazione di Rosarno, giustamente allarmata per la situazione di tensione che si è determinata con la rivolta degli extracomunitari sfruttati, derisi, insultati e ora, due di loro, feriti con un’arma ad aria compressa.

    H.13.10. Un centinaio di cittadini di Rosarno hanno occupato la sede del comune e chiedono al commissario prefettizio Francesco Bagnato lo sgombero degli estracomunitari dalla città.

    H.13.11. Un gruppo di abitanti di Rosarno sta attuando un blocco stradale lungo il tratto della Statale 18 che attraversa il centro abitato. "Basta con gli immigrati - ha detto uno dei manifestanti - perché siamo stanchi di questa situazione. Devono andarsene via".

    H.13.12. La Croce Rossa Italiana è in stato di preallarme per i fatti di Rosarno. Un delegato dell’ organizzazione di volontariato è ora presente in Prefettura nella città dove da ieri sono in corso proteste dei migranti. La Cri ha dato la propria disponibilità per intervenire, se necessario, con strutture e personale per assistere i migranti e la popolazione locale.

    H.13.13. "Bando ai buonismi e alle cose non dette: in Italia esiste la schiavitù. E più precisamente a Rosarno, cittadina di quindicimila abitanti nella piana di Gioia Tauro" dove cinquemila extracomunitari raccolgono agrumi e pomodori, svolgendo un "lavoro massacrante che gli italiani non vogliono più fare. Poco male, se non fosse che le condizioni di lavoro e di vita di questa gente sono ben al di là del limite accettabile in un paese civile". Lo si legge su ’Ffwebmagazine’, il periodico on line della Fondazione FareFuturo presieduta da Gianfranco Fini.

    H. 13.14. E’ risultato invece diametralmente opposto, nei toni e nei contenuti, il commento del ministro della Difesa, Ignazio La Russa: "Troppa tolleranza verso i clandestini" - ha detto - lo Stato ha il dovere di fare rispettare le leggi, di fare rispettare le regole. Non può esserci tolleranza, specie per chi usa la violenza in maniera così evidente, per il solo fatto che è un immigrato. Anzi - ha aggiunto - credo che il degrado sia proprio derivato dalla troppa tolleranza nei confronti dell’immigrazione clandestina di questi ultimi anni".

    H.13.15. E’ stato identificato e si trova negli uffici del comando dei Carabinieri il cittadino che questa mattina ha sparato in aria a Rosarno mentre era in corso la protesta degli immigrati. Gli investigatori stanno facendo accertamenti sull’uomo e verificando se aveva l’autorizzazione per la detenzione dell’arma e se abbia dei precedenti penali. Intanto, a Rosarno, la situazione al momento sembra tranquilla.

    H.13.16. Le violenze a Rosarno rappresentano "il secondo segnale preoccupante di un territorio che reagisce al mondo dello sfruttamento, dopo qello sul Litorale Domizio in Campania". Lo sottolinea il direttore della Fondazione Migrantes, don Giancarlo Perego, per il quale "ancora una volta è emersa una forte carenza della presenza della realtà sociale a tutela dei diritti dei lavoratori".

    H.13.44. L’Unhcr - L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati - lancia l’allarme: "è assolutamente necessario impedire la caccia all’immigrato". Lo ha detto la portavoce Laura Boldrini che, insieme a Paolo Artini, responsabile della protezione internazionale, si sta recando a Rosarno. "Siamo molto preoccupati per la situazione a Rosarno - ha aggiunto - e per la tensione che ancora oggi si avverte in città".

    08 gennaio 2010

    • Noi, "civiltà occidentale" ....

      “Troppa tolleranza con i clandestini”. L’ha appena detto il ministro per il razzismo maroni, riferendosi ai fatti di Rosarno. Secondo l’eccelso ministro, inoltre, la grave colpa dei clandestini sarebbe anche quella di aver alimentato la criminalità. È vero che l’Italia è stata troppo tollerante, ma questo è un paese che gira al contrario e non possiamo scordarlo.

      Abbiamo tollerato da sempre che esseri umani venissero trattati come schiavi, fatti vivere come bestie, sfruttati come muli da soma, gettati via dopo morti come spazzatura nelle discariche abusive. Abbiamo tollerato il silenzio calato sulla morte di migliaia di esseri umani morti e inghiottiti dal mare, spesso ripescati a pezzi dalle reti dei pescatori. Abbiamo tollerato leggi razziali vergognose che avrebbero dovuto suonare come schiaffi alla memoria del passato troppo recente per essere ignorato.

      A Rosarno gli schiavi dell’agricoltura, costretti a vivere peggio delle mucche nelle stalle, sono scesi in piazza perché qualche ignoto e civile occidentale ha pensato bene di usare esseri umani come bersagli mobili, e magari solo per noia e divertimento ha sparato loro con un fucile. Inaccettabile per il ministro che potessero ribellarsi, e la soluzione è vicina, rassicura.

      La parola soluzione detta da uno come maroni, mette i brividi. Ricorda altre soluzioni finali di cui davvero nessuno avrebbe più voluto sentir parlare. E non è esagerato il paragone, se si pensa ai respingimenti alle frontiere, che provocano la sparizione di centinaia di persone delle quali si sa poco o nulla; della loro sorte ancora meno. Sappiamo solo che finiscono in qualche lager nel deserto libico, e nulla di più, da quando l’Italia per gestire meglio il problema delle immigrazioni ha comprato la pace con al Libia, stipulando un mutuo ventennale.

      Noi siamo la civiltà superiore occidentale, capace di ridurre uomini in schiavitù per rincorrere l’arricchimento personale, ma siamo anche capaci di guardare al negro come all’unico responsabile delle nostre disgrazie, sia essa la sicurezza o la povertà. Avremmo potuto comprenderlo all’inizio, quando si vedevano le mani nere pulire vetrine, o distribuire l’asfalto sulle strade, sturare pozzi neri o pulire pavimenti. Ma in fin dei conti, all’epoca, c’era chi dinnanzi a queste figure provava un certo senso di superiorità guardando le sue mani senza calli e i suoi vestiti puliti. Il tempo, il falso neoliberismo, e l’indifferenza hanno fatto il resto: uno schiavo costa meno di un operaio.

      Non dovrebbe essere difficile comprendere chi sia il nemico, e soprattutto gli schiavi non dovrebbero restare soli a combattere a Rosarno. La loro schiavitù ci ha reso tutti schiavi.

      Rita Pani (APOLIDE)

      http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/

      8.-01.2010

    • Spari sugli immigrati, due gambizzati

      ROSARNO (REGGIO CALABRIA) - Ancora degli spari contro gli immigrati di Rosarno. Due extracomunitari sono stati feriti alle gambe con dei fucili a pallini. Portati d’urgenza all’ospedale di Polistena, i due non verserebbero in gravi condizioni. I colpi sono stati esplosi da ignoti. La sparatoria si è verificata verso le 18.15 nei pressi dell’accampamento degli immigrati di Rosarno, nel comune di Laureana di Borrello.

      La sparatoria del tardo pomeriggio è arrivata al termine di una giornata di alta tensione nella cittadina in provincia di Reggio. I disordini sono iniziati ieri, quando gli immigrati hanno dato vita ad una guerriglia urbana dopo che due di loro erano stati feriti da sconosciuti con alcuni colpi di carabina ad aria compressa. Migliaia di extracomunitari si sono radunati per le strade e nella piazza del comune. Un abitante ha sparato in aria con un fucile. Un gruppo di immigrati è venuto a contatto con un centinaio di abitanti. Il bilancio dei feriti è di 16 immigrati e 18 agenti delle forze dell’ordine. Arrestati sette extracomunitari e un italiano. La Cgil: nel 2007, in tutta la Calabria, a fronte dei 6.400 autorizzati, si stima vi siano stati circa 20 mila lavoratori stranieri stagionali impiegati nel settore agricolo.

      Ansa 8.01.10 h 18,46

  • CRISTO SI E’ FERMATO A ...ROSARNO

    Dalla parte della rivolta dei braccianti neri senza se e senza ma

    di Moreno Pasquinelli

    da: http://sollevazione.blogspot.com/

    La "guerra tra poveri", lungamente evocata, è quindi ufficialmente cominciata.
    Tutto è partito dall’ennesima aggressione di alcuni teppisti bianchi contro alcuni indifesi proletari neri. Tutto è partito in una cittadina calabrese, ovvero in una regione che è la più povera e devastata del paese. Una regione dove capitalismo, politica e cosiddetta criminalità organizzata cono intrecciati in maniera indistricabile. Un’area dove l’agricoltura sopravvive grazie ad un sistema neo-schiavistico di sfruttamento. Un paese, Rosarno, dove mille e cinquecento immigrati di colore, oltre ad accettare paghe orarie da fame, vengono reclusi come bestie in tuguri fetidi.
    Smettiamola di fare gli scongiuri contro l’intolleranza e il fascismo.

    Smettiamola per favore di parlare di razzismo!
    E smettiamola di usare il paravento della ’ndrangheta.
    Qui siamo in presenza di un fenomeno terribile quanto completamente nuovo, che obbliga a riadeguare analisi sociale, paradigmi interpretativi, nonché il nostro stesso vocabolario sociale e politico.
    I giovani (bianchi) che a intermittenza aggredivano i braccianti (neri), quelli che strutturati per bande, sin da ieri notte hanno tentato di rispondere alla legittima rivolta (gli è stato impedito dalla polizia), gli stessi che da stamattina hanno ripreso il controllo della cittadina, bloccando la statale e occupando il comune, non sono degli "sgherri fascisti", non sono aguzzini al servizio del capitale e degli agrari locali, né scagnozzi manovrati dalla questura. Né sono giannizzeri aizzati dalla ’ndrangheta, che ha invece interesse, proprio come la morigerata borghesia padana, alla pace sociale e al buon rendimento dei suoi soldi "sporchi" riciclati nell’agricoltura (non confondete la ’ndrangheta con quell’accozzaglia che va sotto il nome di "camorra", o i fatti in corso a Rosarno con l’eccidio di Castel Volturno)

    Chi vuole consolarsi con queste categorie faccia pure, ma non tirerà un ragno fuori dal buco. La stessa accusa di razzismo è ormai niente di più che una floscia convenzione semantica. Qui non siamo più in presenza del classico clichè per cui dei bianchi "per bene", più o meno in alto sulla scala sociale, guardano dall’alto verso il basso l’immigrato e ne chiedono la ghettizzazione. Qui l’odio xenofobo per il colore della pelle si accoppia col disprezzo più viscerale verso i proletari immigrati, ovvero i deportati dall’imperialismo. Un’odio raddoppiato, esplosivo, carico di violenza. Qui si esprime la rabbia dei bianchi morti di fame, la barbarie purulenta e morbosa dei parvenu falliti, di una generazione che sognava di essere fuoriuscita dal proletariato e che si ritrova invece emarginata, spappolata, senza futuro.
    Ma questo alibi non è sufficiente ad assolvere la marmaglia bianca. Prendersela con chi, oltre che più povero, vive in condizioni spaventose e, lontano dai suoi affetti e dalla sua terra natia, si guadagna il pane col sudore della fronte, merita non solo il più deciso diprezzo, merita un sacco di legnate. Poiché le legnate, contrariamente a quanto pensano certi pacifisti, hanno e come! un indiscutibile valore pedagogico. Nessuna rivoluzione in questo paese sarà possibile senza domare e contrastare le pulsioni di morte, senza ricordare ai proletari bianchi chi essi fossero e da dove vengono, senza un risveglio delle coscienze, che non avverrà coi libri o con gli appelli, ma nel fuoco di uno scontro sociale furibondo.

    E la sinistra e i cristiani decidano, se vogliono stare con gli schiavi in rivolta, o se, paolinamente, vogliono legittimare lo schiavismo, il rispetto di Cesare, e inculcare l’obbligo della sottomissione al padrone e alle sue leggi.

    Vi saranno i dotti che ci suggeriranno, nello scontro tra due disperazioni, nella guerra tra poveri, di prendere una posizione equidistante, neutrale, equivicina, indifferentista.
    Impossibile! Ce lo impedisce non solo la nostra coscienza, ce lo impedisce la ragione politica. Una battaglia di strada non è un alterco da bar, o un’oziosa contesa parlamentare. E’ il terreno in cui cittadini di norma assopiti, piegati da lavoro o rimbambiti dalle tv, annunciano il loro risveglio, agiscono collettivamente, costruiscono solidarietà e organizzazione, sondano la propria forza e quella dei nemici. In poche parole le battaglie di strada non hanno solo un altissimo valore simbolico, sono una vera e propria scuola, una palestra politica e di vita nella quale pochi giorni possono avere il valore di molti anni di quiete.
    E’ dalla parte dei braccianti neri che occorre stare, senza se e senza ma. Essi si sono autorganizzati per dare una lezione a gente che è stata silente davanti alle aggressioni subite, a gente che li emargina e li calpesta come esseri umani, che li tratta come cani randagi. Bene hanno fatto a ribellarsi, dimostrando che se essi sono esseri umani gli altri sono solo dei maiali.
    Sono dalla loro parte la giustizia, la dignità e pure il diritto. La loro rivolta ha quindi un significato enorme. Chi non ha venduto l’anima al diavolo ha capito, ha capito che se si ribellano gli ultimi, i più deboli e indifesi, allora insorgere contro l’oppressione non solo è sacrosanto ma anche possibile. Una loro sconfitta, una loro umiliazione, il loro isolamento come appestati, avrebbe un significato altrettanto nefasto: che non si riuscirebbe a scalfire il putrido blocco sociale che va da Berlusconi fino all’ultimo morto di fame che sogna di diventare come lui, passando per quello sterminato e smidollato ceto medio abbarbicato ai suoi comfort miserabili come un cane al suo osso rinsecchito.

    Ci volevano uomini della Sierra Leone, del Ghana o della Nigeria a ricordarci che questa società è uno schifo, che il sistema è fradicio, che il capitalismo è criminogeno, che le istituzioni sono allo sbando e che la legge è pur sempre quella del più forte. Ci volevano loro a ricordarci che esistono la schiavitù malamente salariata e la lotta di classe.
    Non possiamo che dire loro grazie! Grazie per la vostra lezione politica e morale.

  • Vergogna che in italia stanno succedento queste cose orribili, gli italiani si sentono liberi, ma non hanno capito niente che anche noi siamo schiavi della mafia e della criminalità, cerchiamo si solidarizzare con i migranti e solo cosi con dure lotte riusciremo a liberarci da questa shiavitù!!!!!!!!!!!!!!!

    • Quando Spartaco si sveglia .....

      Degli immigrati lavoratori sono oggetto di tiro al piattello con fucili ad aria compressa a Rosarno in provincia di Reggio Calabria

      Giustamente si scatenano rabbia e violenza della comunità migrante dell’area che scende immediatamente in piazza travolgendo tutto quel che trova davanti. Oggi tutte le tivù riprendono l’accaduto ma nessuno, dico NESSUNO, osa parlare degli antefatti, come se fosse normale sparare addosso a dei ragazzi, come se ci trovassimo negli Usa della caccia al “negro”. Questi sciacalli parlano invece della protesta degli immigrati e della rabbia con la quale si è espressa, come se la violenza di chi reagisce ai torti e all’oppressione non abbia una valenza morale incredibilmente superiore alla violenza sistemica esercitata dal potere. Questi sciacalli osannano all’intervento violento delle cosiddette forze dell’ordine (capitalistico). Gli schiavi non possono e soprattutto non devono osare ribellarsi. Ecco cosa accade ad essere troppo buoni, dicono questi infami reggitori di potenti ndranghetisti mafiosi criminali guerrafondai affamatori licenziatori, insomma parassiti del genere umano. Troppo buoni perché avremmo tollerato che tanti, troppi migranti, potessero circolare liberamente nel nostro paese… per vendersi ai migliori offerenti.

      A Rosarno vive un’ampia comunità di immigrati (specialmente africani) che lavora in condizioni schiavistiche nei campi seguendo la rotazione dei lavori agricoli, pagati a meno di venti euro il giorno e faticando come muli dall’alba al tramonto.

      Nel Sud d’Italia c’è un esercito di forza-lavoro migrante che si sposta nelle varie regioni (dalla Puglia alla Campania, dalla Calabria alla Sicilia) che lavora in condizioni di schiavitù e vive in condizioni disumane in ghetti di cartoni, in aree degradate, laddove si può sostare per soggiornare alla men peggio.

      Tutti lo sanno tutti fanno finta di nulla. Perché? Perché questa forza-lavoro fa comodo, perché è prestata senza nessuna applicazione di contratto e quindi di sicurezza e di retribuzione, perché genera profitti che altrimenti non potrebbero esserci. E perché tutto avvenga secondo maggiore convenienza è necessario che essi siano dichiarati irregolari, quindi di clandestini, perché solo così li si può sfruttare fino al midollo in condizione di estrema ricattabilità.

      Nella mia terra – in Capitanata, provincia di Foggia – il lavoro dei migranti nell’agricoltura ha favorito le enormi fortune dei grandi agricoltori ma in particolare delle industrie conserviere (locate principalmente nel salernitano). Senza il lavoro dei migranti l’oro rosso sarebbe solo pomodoro.

      Vi sono situazioni di vero e proprio inferno dantesco (che tempo fa furono documentata con video dalle camere dei Medici senza frontiere), una delle tante, nei pressi di Rignano garganico dove vivono nel cosiddetto “ghetto” – baracche di cartone e nylon tenute insieme da fasce di plastica nera – migliaia di proletari immigrati provenienti da vari paesi (http://www.sanmarcoinlamis.eu/notizie/cronaca/176-inferno-per-immigrati-a-rignano-garganico).

      Non chiediamo pietà per chi vive in queste condizioni, non appelliamoci alle istituzioni di questo stato schierato dalla parte dei padroni e dello sfruttamento, chiediamo solo che questi lavoratori migranti scesi in piazza per affermare la propria dignità non siano considerati ostili da chi qui vive (specialmente nel Sud) il ricatto del lavoro, la disoccupazione, il licenziamento, la scarsa retribuzione.

      Non contro di loro ci si deve scagliare, ma contro chi vuole che si scateni una lotta tra poveri per un osso da spolpare! Piena solidarietà a questi intrepidi lottatori! Unità di azione, unità di intenti, unità di organizzazione tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani!

      Antonio Catalano

      http://calabria.indymedia.org/article/4213

    • GRAZIE ANTONIO, PER LE TUE BELLE PAROLE, SPERO CHE SIAMO IN MOLTI A PENSARLA ALLO STESSO MODO E AD ESSERE SOLIDALI CON QUESTE POVERE PERSONE.