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CANONE INVERSO

Publie le domenica 8 ottobre 2006 par Open-Publishing

La Rai mi scrive e mi riscrive sollecitandomi a pagare il canone e minacciando sanzioni. Rido e non mi sento affatto un evasore. La mia e quella di milioni di magari neanche tanto assidui telespettatori, tutt’altro che teledipendenti, è autodifesa. E non solo sul versante di ciò che un tempo veniva definito carovita. Ricordate le autoriduzioni delle bollette nei Settanta? Erano riappropriazioni del salario, piccolo ma efficace contropotere, una casamatta gramsciana spina nel fianco del sistema democristiano. Come le occupazioni di case sfitte di enti e pescecani privati dell’edilizia. Efficaci quelle lotte e temutissime da governo, padronato e partiti, in testa il Pci del compromesso storico e della pace sociale.

Astenersi dal versare il canone Rai è autodifesa di fronte a una gestione truffaldina del pubblico servizio. Se la tivù è pubblica e fa pagare una tassa non può affogare l’utente d’una commercialità anabolizzata. Il solito classico esempio da imitare sarebbe la britannica Bbc ma anche la Rai Annisessanta con Carosello e qualche Tic tac andava meglio.
Ora i “legalitari di Saxa Rubra” che rivendicano il versamento del canone non paiono esser così legalitari verso norme mai decadute. Prendiamo la pubblicità ammazzafilm, ci sovviene lo slogan veltroniano “Non s’interrompe un’emozione”. Trovava spazio durante il primo governo Prodi, anno domini 1996, e puntava a regolamentare il massacro che - con stile Mediaset - anche la Rai faceva delle pellicole trasmesse. Tre, cinque, sette interruzioni pubblicitarie. Si stabilì la regola d’inserire la pubblicità fra il primo e secondo tempo del film. Durò pochissimo. La norma esiste ancora ma non conta nulla semplicemente perché nessun garante, nessun Cda, nessun buonsenso, nessun buongoverno l’ha fatta applicare. Così le interruzioni delle emozioni son tornate molteplici e cronometricamente lunghissime.

Cosa c’entra questo col pagamento del canone? C’entra. Perché di fronte a un’azienda che gestisce denaro pubblico in modo chiaro e irreprensibile non avremmo alcun problema a versare il canone. Ma ai truffaldini no, e stiamo parlando solo del metodo e della forma, non dei contenuti. Se ci avventuriamo nella tipologia delle trasmissioni e della saga del trash che circola sui canali ‘chiari’ Rai la situazione diventa completamente censurabile. E giustamente autoriducibile.

Eccola allora la proposta alla sinistra istituzionale si chiami Rifondazione o Comunisti Italiani oppure a quella extraparlamentare, antagonista, no global e quant’altro: rifacciamo come nei Settanta, riappropriamoci del salario contestando aumenti e caroprezzi privati e pubblici. Ma non facciamolo alla chetichella, con l’individualismo di ritorno che questo vivere incivile c’insinua giorno dopo giorno. Facciamolo in maniera organizzata con comitati di cittadini che raccolgono adesioni e aprono vertenze nazionali e collettive. Partiamo dal canone inverso della Rai e passiamo alle bollette Telecom (di chi è l’azienda di Tronchetti o di Palazzo Chigi?) e di tant’altra telefonìa sedicente di mercato. E poi Enel-Acea, Italgas e ogni utenza che ci strangola. E che dire della Società Autostrade oltre al fatto che dopa le tariffe e sgancia mazzette a tutti i partiti? E delle compagnìe petrolifere sempre pronte ad aumentare i costi dei carburanti e mai a riabbassarli quando il prezzo internazionale del greggio scende?

Potrebbe diventare il sassolino in bocca al secondo governo Prodi che gli corregge la balbuzie, neanche minima, d’una smemorata politica economica verso i ceti popolari. Altro che Finanziaria favorevole ai lavoratori, quella targata Padoa-Schioppa può favorire solo i bilanci dello Stato. Un segnale diverso sarebbe dato dalla lotta all’evasione fiscale praticata da imprenditori, commercianti e professionisti autonomi, dal controllo sull’uso speculativo della moneta, dal calmieramento dei prezzi a cominciare dai servizi prima citati. Se non lo fa Prodi iniziamo a farlo noi.

Enrico Campofreda, 8 ottobre 2006