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CARAMEL

Publie le venerdì 22 giugno 2007 par Open-Publishing

Regia: Nadine Labaki
Soggetto e sceneggiatura: Nadine Labaki, Jihad Hojeily, Rodney Al Haddad
Direttore della fotografia: Yves Sehnaoui
Interpreti principali: Nadine Labaki, Jasmine Al Masri, Joanna Moukarzel, Gisèle Aouad, Adel Karam, Siham Haddad, Aziza Semaan, Fatme Safa, Dimitri Stancofski, Fadia Stella, Ismail Antar
Musica originale: Khaled Mouzanar
Origine: Lib-Fra, 2007
Durata: 96’

Sogna una Beirut pacificata Nadine Labaki, senza bombe né l’incubo di nuovi conflitti, piena di voglia d’amore e magari di futilità, suoni e colori dal sapore di caramello come quello usato per le depilazioni da Layale, Nisrine e Rima proprietarie d’un salone di bellezza. Una Beirut che, nonostante la tendenza allo stato confessionale di sciiti e maroniti, possa parlare arabo e pregare cristiano, e mescolarsi nel suo cosmopolitsmo d’impronta europea con le donne divise fra la tradizione delle anziane e la trasgressione delle giovani. Anche se si tratta d’una trasgressione scontata, fatta di subalternità al maschio, come accade alla bella Layale che attende perennemente il clacson o il trillo d’un amante che non la rispetta, soggiogandola al suo sistema di vita. Eppure se devono sposarsi le ragazze cercano, come Nisrine, di mettere ogni cosa a posto, fuori con meravigliosi broccati e dentro facendosi ricucire l’imene se hanno perduto la verginità. Paese che vai… Vociante, colorata, naturalmente levantina e assolutamente mediterranea, fascinosa come le sue donne (un universo quasi almodovariano anche nelle velleità lesbo) Beirut viene idealizzata nel ruolo che meglio ha ricoperto: porta orientale che accoglie l’occidente. Si spera liberata dal marchio di porto franco e allegro rifugio per le evasioni fiscali e lo svago dell’intero continente europeo.

Il mondo femminile narrato dalla Labaki pare muoversi con sicurezza, velate col chador o acconciate col prêt-à-porter sono le donne a offrire ritmo alla vita sia da giovani e palpitanti in età di matrimonio, sia ormai al tramonto o definitivamente invecchiate. Ognuna è operosa e questo di per sé rappresenta un’attrazione assoluta. La procace parrucchiera, liberata dal giogo dell’amante di cui finisce per conosce la consorte, avrà poi occhi per il timido poliziotto che stravede per lei. Intrigante la giustapposizione delle immagini dei due che, da vetrine dirimpetto, incrociano gli sguardi e paiono telefonarsi pur se è solo la donna a farlo con altro interlocutore. Anche zia Rose, bellezza ormai sfiorita, troverà nel suo mestiere di sartina un corteggiatore in uno stravagante francese che ama indossare pantaloni dall’orlo improbabile.

E quanta energia c’è nella nonnina che raccoglie ogni genere di carta per ammucchiarla in casa sostenendo trattarsi di lettere d’innamorati. E chi l’amore non l’ha più cerca il riconoscimento pubblico della propria femminilità fingendo cicli mestruali ormai passati o facendosi ammirare davanti a telecamere pur per semplice pubblicità. “Donne ondeggianti al ritmo dei passi” avrebbe detto un estimatore come Truffaut. C’è tanto culto femmineo nelle scene del film che pure esalta il cordone ombelicale con la tradizione. Ma lo fa presentando quella miscellanea di mondi e culture che da almeno un secolo s’integrano e s’intrigano, compiacendosi del melting pot e della dolce vita, con buona pace per gli Hezbollah.

Enrico Campofreda, 13 giugno 2007