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CPN del 13 e 14 Dicembre 2008 - Intervento di Alberto Burgio

Publie le lunedì 15 dicembre 2008 par Open-Publishing

CPN del 13 e 14 Dicembre 2008 - Intervento di Alberto Burgio

di Alberto Burgio

Mi pare significativo che al centro della nostra discussione stiano due questioni entrambe legate al tema cruciale dell’autonomia politica e strategica del nostro partito.

La prima questione incrocia l’analisi della crisi economica. Per incredibile che possa apparire, la nostra lettura della crisi (delle sue cause e delle sue conseguenze sociali) non è largamente condivisa, a guardar bene nemmeno a sinistra. Noi diciamo che la crisi discende dal nesso finanziarizzazione-sovrapproduzione e, immediatamente, dalla conseguenza di tale modello di accumulazione: la drammatica riduzione dei redditi del lavoro dipendente che ha caratterizzato l’intera fase storica della cosiddetta «globalizzazione» neoliberista (gli ultimi 30 anni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, l’ultimo quarto di secolo in Europa e in Giappone). Per questo parliamo di crisi sistemica e sosteniamo che non se ne esce senza un vigoroso sostegno ai redditi da lavoro, senza un massiccio impegno finanziario pubblico in termini di investimenti produttivi che rilancino l’occupazione, e dunque senza un mutamento del modello di sviluppo.

Diciamo tutto questo e ci sembra di descrivere evidenze, ma dobbiamo sapere che questa nostra posizione non è affatto maggioritaria. Non lo è, evidentemente, in quella che sino a ieri (prima della nascita del Pd) chiamavamo «sinistra democratica». Ma non lo è nemmeno in buona parte della sinistra di altrernativa, che continua a ragionare in termini sostanzialmente compatibilisti, limitandosi a perorare la causa di interventi fiscali (detassazione delle tredicesime) o assistenziali (ampliamento della platea degli ammortizzatori sociali) di per sé condivisibili ma certo insufficienti a comporre una soluzione progressiva della crisi.

Questo fatto non è solo il segnale della regressione della cultura politica di buona parte della sinistra italiana. Non è solo una circostanza che affida al nostro partito i compiti politici che il compagno Ferrero ha ben delineato nella sua relazione. Questo dato di fatto determina il quadro nel quale ci troviamo ad operare e definisce le condizioni in cui ha luogo la nostra battaglia politica nella società e nelle istituzioni. Da qui – non da considerazioni astratte, ideologiche – discende a mio giudizio la necessità di preservare l’autonomia di Rifondazione comunista e la sua visibilità in occasione delle imminenti elezioni amministrative. Questo tema non è esclusivamente elettorale. È squisitamente politico. Riguarda i nostri programmi, le nostre piattaforme, che a loro volta chiamano in causa le nostre prospettive di analisi critica della realtà. Per questo (lo diceva bene poc’anzi il compagno Goracci rivolgendosi al compagno Valentini) la questione delle liste e del simbolo non può essere risolta a colpi di citazioni dello statuto del partito – statuto che del resto, al pari di ogni norma, non parla da sé, deve essere interpretato. Tenendo presente che l’autonomia dei territori è un valore da salvaguardare ma va contemperata con la coerenza dell’insieme delle scelte politiche del partito, e non può diventare autoreferenzialità e motivo di scissione (uso questo termine a ragion veduta) dalle istanze prevalenti negli organismi dirigenti centrali.

In questo momento rinunciare alla nostra autonomia e disperdere la nostra visibilità sarebbe un errore politico particolarmente grave proprio perché noi comunisti siamo portatori di un punto di vista specifico e originale sulla crisi e sulle sue cause strutturali, e perché le nostre proposte volte a ridurne i devastanti contraccolpi sociali sono essenzialmente diverse da quelle avanzate dalle altre forze politiche anche a sinistra (fatta eccezione per il Pdci). E questa differenza pone peraltro un tema politico-culturale (e per dir così storico, nella misura in cui chiama in causa il rapporto con la Bolognina e con la storia del movimento operaio e comunista) che meriterebbe di essere finalmente affrontato in tutta la sua complessità, poiché è addirittura fondativo di quella rifondazione comunista che il partito (almeno la maggioranza nata a Chianciano) considera uno degli scopi del proprio lavoro politico.

Come dicevo, anche la seconda questione al centro di questo Cpn coinvolge il tema dell’autonomia del partito. È l’ormai annosa questione di Liberazione, sulla quale eviterei di dilungarmi (salvo enunciare il mio pieno accordo con il senso del documento proposto al riguardo dalla segreteria nazionale e illustrato dal segretario nella sua relazione) se non mi avesse colpito un passaggio davvero bizzarro dell’intervento della compagna Mascia, in apertura del nostro dibattito.

Mascia considera «gravissimo che si punti a cambiare il direttore del quotidiano» e «gravissimo che si sia detto che Liberazione sostiene il progetto della dissoluzione del partito».

Ora, sia ben chiaro: si può pensare e dire di tutto. Ogni interpretazione della realtà è legittima e anche ogni giudizio di valore. Il fatto è che quel che si dice ha un senso, comporta alcune conseguenze, implica alcuni presupposti. In questo senso dicevo che ho trovato bizzarre queste dichiarazioni.

Se si ritiene gravissimo che un partito metta in discussione gli assetti di direzione del proprio giornale nonostante conflitti politici dirompenti (fonti di una dilagante insoddisfazione del corpo del partito) e nonostante una gestione finanziaria del tutto rovinosa, allora delle due l’una: o si pensa che nessuno abbia il diritto di intervenire in questa situazione (salvo – suppongo – ritenere che il partito abbia comunque il dovere di continuare a svenarsi per tappare le falle di un bilancio fallimentare), oppure si pensa che ci sia qualcuno titolato a decidere, ma che questo qualcuno sia fuori dal partito. Io non so che cosa pensi a questo riguardo la compagna Mascia, né intendo formulare ipotesi. Mi limito a mettere in rilievo l’esito implicito del suo ragionamento, che mi pare alquanto sorprendente.

Ancor più sintomatica è la seconda parte della frase. Il compagno Ferrero ha detto che Liberazione sostiene la dissoluzione del Prc e questo sarebbe «gravissimo». Ebbene, a questo proposito me la caverò con poche parole. Sapete che cosa mi ricorda questo modo di fare? Mi ricorda un certo modo caro alla commedia dell’arte e al teatro dell’assurdo, dove la forza della rappresentazione – tra il comico e il grottesco – sta tutta nella flagrante negazione dell’evidenza. Gli spettatori vedono accadere qualcosa sulla scena, ma nello stesso tempo vedono gli attori agire in base a una realtà del tutto diversa, non compatibile con quanto viene accadendo. Solo che a teatro ci si diverte, se i testi sono buoni e gli attori sono bravi. In questo caso invece non mi riesce proprio di trovare alcunché di divertente. Al contrario.

Non è affatto un bello spettacolo che tante compagne e tanti compagni, autorevoli dirigenti di questo partito, ritengano di disertare i lavori del Cpn per prendere parte a una iniziativa di fondazione di un altro partito. E che, nello stesso momento in cui fanno questo (una scelta, questa sì, gravissima), menano scandalo quando sentono dire che la dissoluzione del nostro partito è l’obiettivo perseguito dalla direzione di Liberazione, la quale ha scritto a chiare lettere che bisogna «andare oltre» Rifondazione e ha ospitato decine di articoli – pubblicati sempre col massimo rilievo – che ribadivano questo concetto.

In Italia la pessima abitudine di fare una cosa e nello stesso tempo dire il contrario (una pratica corruttrice delle menti) è stata finora appannaggio del presidente del Consiglio in carica e dei suoi accoliti. Credo sia necessario fare di tutto affinché questo costume rimanga sua esclusiva prerogativa.