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CRISI DEL CAPITALSMO E SOCIETA’ DELLA CONOSCENZA. QUALE CONNESSIONE?
Publie le martedì 28 ottobre 2008 par Open-PublishingCRISI DEL CAPITALSMO E SOCIETA’ DELLA CONOSCENZA. QUALE CONNESSIONE?
Di Fabio de Nardis, Responsabile Nazionale Università e Ricerca PRC
Il movimento che si oppone alla destrutturazione della scuola e dell’università pubblica ci parla di una società in trasformazione dove l’allargamento dei canali di accesso alla conoscenza diventa un obiettivo prioritario per chiunque creda fermamente nella necessità storica di estendere le condizioni della emancipazione sociale intesa come processo rivoluzionario di liberazione. Come comuniste e comunisti abbiamo il dovere di individuare una chiave di lettura della fase storica attuale che possa guidarci nel nostro lavoro di elaborazione di una politica che sia al contempo di progetto e di programma.
Le contraddizioni esplose nel mondo della conoscenza non sono slegate dalla crisi attuale dell’ideologia neoliberale. Il sistema economico internazionale vive una fase di forte instabilità. Il sistema bancario rischia il fallimento e i governi occidentali gli corrono in soccorso attraverso un massiccio finanziamento pubblico.
Il fatto che il libero mercato per sopravvivere abbia bisogno di denaro sottratto ai contribuenti svela la natura parassitaria del capitalismo che entra in crisi nella sua versione neoliberista. Il teatrino degli apologeti del libero mercato che oggi invocano un intervento pubblico per salvare il sistema dalle deficienze ad esso implicite è a dir poco grottesco. Ma è la stessa logica dell’economia di mercato a condannare il sistema al suo decadimento.
Oggi molti osservatori mettono in discussione la struttura stessa di questo sistema che ciclicamente non può non determinare l’esplosione delle contraddizoni che esprime. Anche se i governi nazionali non possono fare a meno di assumere il controllo della crisi per evitare la bancarotta, l’intervento pubblico sul sistema finanziario non assume mai i caratteri formali di una vera nazionalizzazione perché questo sancirebbe il crollo di un sistema che le classi politiche liberali intendono invece tutelare.
Viviamo indubbiamente nell’epoca del capitalismo monopolistico e una delle sue caratteristiche è il dominio del capitale finanziario che ha spinto paesi un tempo produttivi ad adottare un sistema economico parassitario basato sulla rendita. Eppure le grandi somme di denaro regalate ai banchieri non potranno salvare il sistema dalla sua implosione. Potranno al massimo rallentarne il corso. Il tentativo di dare stabilità al sistema finanziario attraverso una iniezione di denaro pubblico potrà solo arricchire ulteriormente i responsabili della crisi che affidano ai governi il pagamento dei propri debiti. Ma lo Stato non possiede liquidità propria, può far soldi solo attraverso la pressione fiscale o i tagli alla spesa (come quelli all’istruzione e alla ricerca), provvedimenti che pesano fortemente sui bilanci familiari riducendo ulteriormen te il potere d’acquisto dei salari. I tagli riducono fortemente la domanda favorendo la recessione economica. Insomma, lo Stato decide di alleviare la sofferenza dei ricchi aggravando quella dei poveri.
Ma le crisi, anche finanziarie, non sono determinate solo dal capitale fittizio generato dalle truffe di borsa o dall’abuso creditizio, quanto piuttosto dal crollo dell’economia reale. Torna quindi di attualità il Marx del terzo libro del Capitale che ci ricorda come sia necessario prescindere dagli affari apparenti determinati da operazioni speculative e dal sistema di credito, perché la crisi è spiegabile essenzialmente attraverso lo squilibrio tra consumo capitalista e processi di accumulazione. Il sistema crea infatti le condizioni per cui i meccanismi di riproduzione dei capitali siano perlopiù affidati alla capacità di consumo delle classi non produttive, cioè i padroni, mentre la possibilità di consumo dei cittadini e dei lavoratori è fortemente condizionata dalle leggi del salario e dalle politiche di compressione della domanda che riduce le possibilità di consumo da parte delle masse lavoratrici. Questo innesca col tempo una crisi di sovrapproduzione che trae dunque origine dalla povertà dilagante.
Da questa crisi si può uscire o da destra, attraverso la chiusura degli spazi della democrazia reale, ed è questa la via adottata dal governo Berlusconi, o da sinistra, attraverso un forte sostegno pubblico alla domanda per poter sostenere i consumi dei ceti popolari, riattivando così il processo produttivo oggi paralizzato dalla secca recessiva.
Da qui l’esigenza anche di un forte sostegno alla domanda “qualificata”, dentro un processo che sia democratico, pacifico e ricostruttore di natura, non riducibile quindi alle vecchie ricette keynesiane fondate sull’idea dello sviluppo illimitato e su pratiche di consumo individualistiche. Questo significa sostegno alla ricerca, all’innovazione tecnologica ed energetica, all’ambiente, alla conoscenza e alla promozione di consumo sociale in contrasto con un sistema capitalistico che si riconfigura anche nelle forme del capitalismo cognitivo dove la domanda crescente di conoscenza si articola dentro l’antica contraddizione tra carattere sociale della produzione e carattere privato dell’appropriazione. All’interno di questo quadro teorico s’inserisce la n ostra difesa della ricerca pubblica e degli articoli 33 e 34 della Costituzione repubblicana, al fianco di studenti e lavoratori della conoscenza, umiliati dalle condizioni materiali della precarietà.
La nostra prospettiva rimane quella di liberare l’umanità dall’instabilità prodotta dallo scontro irrazionale tra capitali. Dobbiamo dunque costruire le condizioni di una ipotesi di governo razionale dell’economia partendo oggi anche dalla programmazione della domanda. Difendere l’università e la scuola pubblica e sostenere la domanda qualificata si inserisce inevitabilmente in questo grande processo strategico di trasformazione della società.
Roma, 27 Ottobre 2008