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Cairo:Youssef Chahine morto a ottantadue anni aveva diretto più di quaranta film

Publie le martedì 29 luglio 2008 par Open-Publishing

Il regista morto al Cairo a ottantadue anni aveva diretto più di quaranta film

Youssef Chahine, uno sguardo sensuale contro l’integralismo

Il regista egiziano Youssef Chahine

di Davide Turrini

Si è spento domenica pomeriggio l’ottantaduenne regista egiziano Youssef Chahine. La sua scomprasa è legata all’aggravarsi di problemi al cuore che Chahine si portava dietro fin dagli anni ’70 e che aveva profeticamente rappresentato attraverso un’operazione a torace aperto sul suo alter ego Yehia ne La memoria , film da lui diretto nell’82.

Problemi di salute a parte, Chahine ha girato, dal 1950 ad oggi, ben quarantaquattro film comprendenti quattro cortometraggi e l’episodio tratto dal film 11 settembre 2001 insieme, tra gli altri, a Ken Loach e Sean Penn. Un’attività intensissima, da cineasta laborioso e mai domo, con uno stile fin dalle prime opere portatore di una precisa espressività ed una evidente venatura politica che lo ha costretto a combattere ogni forma di ostracismo, integralismo e censura, riguardo persino i tabù sessuali. E poi Chahine ha raccontato cinquant’anni di fluire della società egiziana (dal regime monarchico, alla stabilizzazione di Sadat e Mubarak, passando per il grande rebus rivoluzionario di Nasser) senza cadere mai nelle trappole della retorica e del cattivo gusto, come in quelle del neorealismo a tutti i costi.

Sarà per questo che l’Italia, a parte il festival di Venezia del 2007 dove è stato presentato Chaos , divenuto poi l’ultimo film dell’artista egiziano, non lo ha mai degnato di uno sguardo non tanto critico, quanto perlomeno incuriosito. Non a caso solo in Francia la notizia della morte di Chahine è stata motivo di cordoglio e approfondimento culturale da prime time. Ieri Libération ha dedicato alla notizia l’intero taglio alto della prima pagina e Le Monde mezza prima pagina corredata da un’enorme foto.

Dal 1985 in poi, con il film Addio Bonaparte , le opere di Chahine sono sempre state coprodotto dal francese Humbert Balsan ( Mandarlay di Von Trier è, per esempio, denaro suo); quest’ultimo, portandosi dietro spesso e volentieri i capitali di Canal + e France 2, ha reso possibile il procedere di una carriera come quella di Chahine ricca di sfide alle convenzioni narrative e di un arzigogolato sperimentalismo formale.

Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1926 da una famiglia non proprio benestante («mio padre era un avvocato, un avvocato onesto, cosa non troppo remunerativa», disse Chahine dodici anni fa in un’intervista fiume rilasciata al critico francese Thierry Jousse) emigra negli Stati Uniti perché vuole imparare a recitare e diventare regista teatrale. Ma complice un fisico mingherlino, corredato da due straordinarie orecchie a sventola, viene rifiutato ad ogni provino.

Solo sui vent’anni comincia ad interessarsi al cinema ed è subito una questione d’intuito, di irrazionalità, di apprendimento anarchico del lavoro dietro la macchina da presa, oltre che di profondo amore per il cinema classico di genere all’americana. Il regista Patrice Chereau (che ha interpretato Napoleone in Addio Bonaparte ) ha detto: «nel suo cinema c’è una capacità d’improvvisazione e d’invenzione affascinante, una sorta di fuoco. Chahine filma alla velocità del suo pensiero e il suo pensiero è di una ricchezza molto grande». Ogni opera si traduce in un vorticare di macchina da presa, in un ritmo sfrenato sia che si parli di drammi sentimentali che di guerra. Chahine ha creato uno stile riconoscibile e irripetibile, pena il kitsch volontario. E non ha mai fermato il suo occhio/cinecamera di fronte a nulla.

Jamila l’algerina (1958) dove si esalta il Fln algerino attraverso la figura di un’eroina popolana e popolare come Jamila (Magda al Sabbahi, anche produttrice del film) è il film militante della giovinezza, mentre Il Destino (1997), fiammeggiante biopic sul filosofo musulmano Averroé dove si parteggia apertamente per un universalismo senza barriere contro un nazionalismo ottuso, per una tolleranza tra diversità religiose contro un integralismo fanatico, è il film adulto più politico ai tempi del colera terroristico. Senza dimenticare il capolavoro storico Addio Bonaparte , con Michel Piccoli nella parte di Caffarelli, colonizzatore democratico, omosessuale e coltissimo opposto alle bramosie di Napoleone e mescolato alle rivolte d’indipendenza degli abitanti de Il Cairo; come la rappresentazione di una personalissima bisessualità nella trilogia ( Alessandria perché?;

La memoria; Alessandria ancora e sempre ) che ritrae il suo alter ego innamorato e sorpreso a fantasticare relazioni sia con uomini che con donne. «Sono nato socialista, ero povero e ho molto sofferto per riuscire a trasmettere determinate cose», ha affermato non molti anni fa Chahine, «nei miei film la dimensione sociale era spontanea più che cosciente: come non provare simpatia nei confronti del contadino disprezzato o nell’operaio umiliato?».