Home > Capitalismo: civiltà della menzogna
di Carmelo R. Viola
L’intellighenzia borghese mentisce spudoratamente e sistematicamente: il fatto, continuo e generalizzato, è divenuto un costume tanto che quasi nessuno più se ne accorge.
Si veda, ad esempio, l’uso del termine “pubblicità”, per indicare quella dilagante e sempre più stomachevole e deturpante spazzatura commerciale che inonda tutte le televisioni, quelle cosiddette pubbliche comprese. Priva dell’attributo qualificativo “consumistica”, quella parola pare addirittura rifarsi a qualcosa d’innocente e di compatibile con una civiltà di alto livello, quale vuole essere la nostra. Al contrario, l’attributo omesso introduce il concetto di menzogna, di frode logica e di espediente “subliminale” e di quant’altro serve a far giungere ai lettori solo l’immagine accattivante e persuasiva di un prodotto e nient’affatto la sua vera identità scientifica e, a seconda dei casi, utilitaria, dietetica, farmacologica e così via. Quella che manca è proprio la VERA pubblicità, cioè la resa di pubblica ragione delle caratteristiche dei vari prodotti perché il cittadino-consumatore scelga con cognizione di causa. No, nel mondo capitalista il consumatore, smentendo ancora una menzogna, quella della libera scelta, non deve scegliere ma solo fungere da automa consumista “che finge di scegliere”!
Nella pubblicità-menzogna farmaceutica - anche questa operata nel pieno rispetto delle leggi di uno Stato sedicente di diritto e che è perfino in evidente aumento - c’è finanche un dettaglio che non si sa se definire più grottesco che puerilmente ridicolo. Si tratta delle avvertenze, contenute di norma nei foglietti illustrativi allegati ad ogni confezione, secondo le quali il prodotto può avere effetti collaterali e/o che comunque non va assunto sotto o sopra una certa età, in istato di gravidanza, in contemporanea con altri farmaci e così via. Ebbene, tali avvertenze, che sono della massima importanza per la salute del futuro consumatore, vengono lette con una tale fretta che talora si stenta a percepirle, più che mai da orecchie anziane o malate, possibilmente da parte di soggetti a maggiore rischio. Ma in tal modo l’inserzionista assolve ad un obbligo di legge, la quale non gli impone il dovere rendere percepibile il messaggio più importante per i destinatari, e mostra di essere interessato solo al consumo indipendemente dagli eventuali effetti nocivi del prodotto. Certo, l’acquirente intelligente legge il foglietto allegato - per quello che ci comprende - ma chi intelligente non è? Tutto sommato, aumenta la “farmacofagia” a danno della salute. Per fortuna qualcuno riesce ancora a sfuggire al condizionamento consumistico e questo lascia sperare in una futura supremazia del soggetto autonomo.
Abbiamo fatto solo un esempio. Potremmo portare anche quello del calcio, un groviglio di menzogne (ed ora anche di intrighi affaristici) che merita un articolo a sé. Intanto, per ovvii motivi di spazio, devo accontentarmi di cenni sul linguaggio truffaldino della logica capitalistica. Per riuscirci basta partire da una cima (come abbiamo appena fatto) o dalla base. Come per la moltiplicazione, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. Il capitalismo, si dice, è basato sulla libera attività economica più propriamente sull’imprenditorialità, insomma sull’impresa. “Attività economica” è proprio una locuzione che fa a pugni con sé stessa, perché l’economia è, nella sua natura, una matematica, la quale non è libera perché segue leggi precise e inderogabili. Ma noi la prendiamo per buona. Mente anche la Costituzione quando all’art. 41 spaccia la libera iniziativa economica come una “libertà civile”! Ultimamente, anche a sèguito della famigerata legge Biagi - retaggio di una vittima inutile - (che speriamo sia svuotata della sua essenza “forestale” alias neoliberista ) si è parlato di cultura imprenditoriale e di educazione all’impresa.
Anche qui manca l’attributo “qualificativo” “affaristica”. L’impresa è infatti, un’iniziativa che si propone di produrre e vendere (leggi:far consumare) qualcosa al fine di ricavare profitti ovvero di “fare buoni affari”. Nessuno si sognerà di dire che la Fiat sia una fondazione di pubblica beneficenza anche se la carità può anche farla in certe occasioni per darsi una parvenza di “fratellanza umana”! Ma la Fiat - come questa tutte le imprese che si rispettino ; come tutte le altre industrie automobilistiche- deve anzitutto far tornare i propri conti, in cui sono compresi i lauti autocompensi dei suoi fautori, insomma deve far consumare e la “pubblicità” del settore è così efficace che l’auto è diventata un oggetto di consumo come gli accendini e i cellulari. Che questo consumo abnorme - sempre meno sostenibile dall’urbanità e dal clima - sia appunto nocivo, nulla importa ai responsabili, ciascuno dei quali è diventato intanto - e per effetto dei lauti compensi - un “padreterno” del sistema con entità abitative principesche e conforts, che lo separano nettamente da coloro che hanno contribuito ai quei “buoni affari”.
I “padroni del vapore” (ché tali sono rimasti) hanno sempre un argomento ad effetto che traducono in queste parole: “noi diamo lavoro!” Così ci viene buttata in faccia un’altra grande menzogna: l’impresa non dà lavoro ma ha bisogno di lavoro e per questo “lo compra” e lo fa al minor costo possibile. Il comprar lavoro è un “effetto secondario-strumentale” (come quello di fornire un motore di carburante), non il fine dell’impresa.
Altra menzogna è l’uso e l’abuso della parola economica, a cui i fautori delle imprese fanno riferimento ad ogni piè sospinto, non dimenticando di aggiungere la parola “paese” (al cui bene sono votati !). Infatti, la parola economia significa amministrazione della casa e, per estensione, di un popolo , secondo equità e bisogno. Essa pertanto contiene il senso di giustizia distributiva. L’affarismo - di cui agli investimenti, alla concorrenza o competitività, alla pubblicità (consumistica), alle rendite, agli interessi parassitari (cioè senza lavoro personale, come il risparmio azionario), alle borse e perfino alle banche, in breve al ludismo finanziario o monetocrazia - non ha niente a che vedere con l’economia.
L’economia - di cui ci parlano i bugiardi del sistema - è la predonomia: l’arte-scienza del predare e depredare di diretta derivazione forestale e che pertanto si incentra nell’impresa come libera attività predatorio-affaristica.
E’ evidente che questo discorso esclude automaticamente tutte quelle imprese a gestione personale o familiare ove non c’è sfruttamento del lavoro altrui e che producono quel tanto che basta alla sussistenza decorosa dei suoi soli fautori.
Quando i nostri economisti smetteranno di mentire su tutti i fronti, allora sì che si potrà cominciare a parlare di una civiltà del sociale e dell’uomo impegnato nel benessere dei propri simili come condizione del proprio benessere e dove, grazie all’uso di una moneta vera e propria, fenomeni come quello del debito pubblico potranno solo fare ridere di commiserazione sulla barbarie che fu.
Messaggi
1. > Capitalismo: civiltà della menzogna, 31 maggio 2006, 13:05
"Vance Pakard nel suo celebre e profetico saggio " I persuasori occulti" trattava già cinquant’anni fa queste tematiche negli stessi termini di questo articolo. Non solo, ma Pakard metteva già in guardia che il vero pericolo non era tanto o non soltanto quello della deriva consumistica, dei bisogni indotti etc., ma bensì quello molto più grave dell’estensione delle tecniche di persuasione pubblicitaria impiegate per manipolare il consenso politico. In italia il Berlusconismo si è imposto con un uso spregiudicato e massivo della persuasione occulta attraverso il media televisivo in particolare e delle risorse dell’industria culturale più in generale. Il neo-capitalismo fa quindi della menzogna, in chiave manipolativa, il suo principale strumento di affermazione e di consolidamento nella società post-industriale, gestendo i flussi di consenso ed orientadoli nelle direzioni ad esso più favorevoli e redditizie."
MaxVinella