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Cara Angela Azzaro, discutiamo pure della vittoria di Vladimir Luxuria all’isola

Publie le giovedì 27 novembre 2008 par Open-Publishing

Cara Angela Azzaro, discutiamo pure della vittoria di Vladimir Luxuria all’isola dei famosi.

Cara Angela,

ci conosciamo da tempo e sai che apprezzo il tuo lavoro.

Mi permetto di scriverti perché condivido e perché non condivido il tuo articolo sulla vittoria di Vladimir Luxuria all’Isola dei famosi.

Io non so bene cosa sia l’Isola dei famosi. Voglio, però, subito dirti che non appartengo alla categoria degli schizzinosi che osservano dal proprio salotto-bene gli usi e i costumi del popolo con malcelata superbia. Si può essere irrazionalmente tifosi di calcio e cultori del teatro di avanguardia, studiosi di Paisiello e frequentatori di concerti della canzone popolare napoletana, estimatori di Buñuel e dei film di 007. Semplicemente non conosco il programma, anche se so, vagamente, che si tratta di una competizione ad eliminazione (con voto via sms) fra persone famose e non famose, condotta in condizioni estreme su un’isola deserta, a colpi di intrighi, tradimenti e risse. Ma posso sbagliarmi.

Ho letto per anni, ma confesso di averlo fatto distrattamente, critiche feroci, anche su Liberazione, dei cosiddetti reality show, secondo le quali si trattava di programmi volgari tesi a stuzzicare il voyerismo più deleterio. Quello originato dalla insana voglia di spiare la vita privata altrui per intromettersi e sentirsi giudici dei vizi e delle virtù dei “personaggi” famosi o aspiranti tali.

Ma non importa. Mi fido del tuo giudizio e accetto l’idea che Vladimir e la sua affermazione, confortata dai voti popolari (anche se non ho letto su nessun giornale quanti sono), siano il sintomo di una sconfitta dei pregiudizi e dell’omofobia, oltre che un riconoscimento delle sue indubitabili qualità. Qualità che, per quel che vale la mia opinione, ho avuto modo di apprezzare nel lavoro di Vladimir in parlamento.

Fin qui siamo d’accordo, credo.

Ciò su cui non sono d’accordo, scusa se lo dico così brutalmente, è il tono con il quale liquidi le resistenze che effettivamente vi furono sulla sua candidatura nel 2006.

Intendiamoci, il moralismo, il perbenismo, l’omofobia, così come la xenofobia e il securitarismo, albergano anche nel popolo comunista e di sinistra, anche se in misura minore (anche questo va detto) rispetto al resto della società. Per non parlare della concezione patriarcale delle relazioni umane, della società e della stessa politica. E non si tratta di un problema della sola “base”. Con le mie orecchie ho sentito importanti dirigenti di Rifondazione dire “se mio figlio fosse frocio lo ammazzerei” o vantarsi, fra maschi, della loro ultima “conquista” con dovizia di particolari. Salvo poi iscriversi fra gli innovatori per lanciare strali contro i retrogradi identitari. Ovviamente frasi simili, ed anche peggiori (se possibile), ognuno di noi le ha ascoltate da persone di tutti gli indirizzi politico-culturali possibili ed immaginabili, dentro e fuori il partito e, se permetti, dentro e fuori Liberazione.

La candidatura di Vladimir fu un atto coraggioso ed anche coerente. Io la sostenni e la sosterrei oggi con motivazioni precise. Diverse, se permetti, dalla semplice “provocazione” o rappresentanza del movimento GLBTQ. Non solo come un semplice atto politico illuminato e teso a rappresentare un movimento al pari degli altri in lotta per i propri diritti, bensì anche (e sottolineo anche) per dare conto simbolicamente di un necessario intreccio fra i soggetti sociali reali vittime del vento reazionario, conservatore e perbenista che spira di questi tempi.

So di affrontare un tema complesso che meriterebbe ben altri approfondimenti. Ma vorrei dirti che le tue frasi “Battaglie spesso scomode, non amate da una parte consistente del partito. … per dire che i diritti di gay, lesbiche e trans non sono secondi a nessuno. Per dire che la libertà è un valore grande e fondamentale quanto l’uguaglianza” sono più che condivisibili (tranne forse quel “parte consistente del partito” che se allude a posizioni politiche è proprio fuori luogo). Ma non danno conto dei necessari nessi e legami sui quali agire culturalmente e politicamente affinché le lotte economiche, sociali e per i diritti civili (e tralascio quelle culturali ed ambientali perché il discorso si farebbe troppo lungo) facciano parte, alla pari, di quel “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” di marxiana memoria.

Non parlo solo delle bandiere liberali che la borghesia getta nel fango ogni volta che sente minacciati i propri privilegi. Parlo di una precisa formazione sociale prodotta da un sistema economico, il capitalismo dei nostri tempi, contraddistinta dalla solitudine degli individui, dall’insicurezza sociale e dalla distruzione e disgregazione della stessa società. Il modo di produzione attuale non è innocente rispetto alla gerarchizzazione della società, all’autoritarismo necessario a governarla per riprodurre il sistema, alla tendenziale emarginazione di ogni bisogno di liberazione. Gramsci, e scusa il riferimento identitario, ben descriveva, in Americanismo e Fordismo, i nessi tra l’organizzazione fordista della produzione e la ventata moralista, proibizionista e autoritaria dell’epoca, che arrivava a mettere in discussione perfino la vita notturna nelle città statunitensi.

Con ciò non voglio negare l’economicismo che ha imperato nel pensiero comunista, socialista e della sinistra in genere nel secolo scorso. Sebbene nel movimento operaio non siano mai mancate ispirazioni libertarie e critiche feroci all’economicismo. Come non mi sogno di negare l’esistenza di uno dei sottoprodotti più nefasti dell’economicismo: la subalternità e spesso la condivisione di una concezione patriarcale del mondo, spesso ispirate dall’ancor più meschina ricerca del consenso (per il potere detenuto o elettorale fa lo stesso) assecondando i tanti “sensi comuni” e pregiudizi presenti nel popolo circa i costumi, la morale dominante, la famiglia e la religione.

Tuttavia penso che per battere l’idea della separatezza, e della gerarchia, fra uguaglianza e libertà sia più utile illustrare i nessi fra una e l’altra e agirli politicamente piuttosto che fare prediche che rischiano solo di rendere “nemici” inconciliabili i fautori dell’una o l’altra erronea priorità.

In altre parole c’è una verità interna nella posizione di chi dice “ma che sinistra è questa che si occupa solo di diritti civili e se ne frega degli operai?”, come in quella di chi dice “ma che sinistra è questa che pensa che le persone, e gli operai, pensino solo col portafoglio?”.

Nel concreto, tornando a bomba sulla nostra Vladimir, non trovi sia comprensibile che la visibilità dello “scandalo” di una trans in parlamento, unitamente al silenzio “normale” sui temi sociali della totalità dei mass media, possa indurre qualcuno nell’errore di pensare che rifondazione abbia sottovalutato una cosa e sopravalutato l’altra?

Non pensi che il vergognoso fallimento dell’esperienza di governo sia sul piano dei diritti civili che su quello della precarietà, stato sociale, salari e pensioni, abbia alimentato le contrapposte idee separate di uguaglianza e libertà? Legittimando in qualche modo anche le ingiuste critiche di chi ha detto, dall’interno del movimento GLBTQ, che Vladimir aveva sacrificato la lotta per i diritti sull’altare della governabilità.

Non credi che a questi non piccoli problemi si debba porre rimedio ribadendo la migliore cultura politica antagonista, comunista e libertaria e criticando gli errori commessi al governo, invece che abbandonarsi alla descrizione superficiale dei problemi stessi per perpetuare la separazione fra uguaglianza e libertà?

Non credi che un partito che ha candidato Vladimir e i cui militanti hanno accolto la deputata trans come una sorella e una compagna non meriti di essere considerato come un patrimonio da non disperdere, nonostante le resistenze che, come ho già detto, non conoscono le frontiere di posizioni politiche?

Credo che almeno parte delle risposte alle mie domande, che riconosco essere retoriche e polemiche, si possa rintracciare nella linea di condotta che Vladimir ha scelto come parlamentare del PRC.

Posso testimoniare che la scelta di non “provocare” senza rinunciare ad un solo contenuto, giacché la sua stessa persona era un atto di accusa potente contro ogni pregiudizio ed ogni ridondanza sarebbe stata sminuente, oltre alla serietà e competenza (doti rare in parlamento di questi tempi), hanno fatto guadagnare a Vladimir la stima e il rispetto di molti e molte militanti del partito. Se avesse ceduto, invece, alla tentazione di corrispondere al cliché che mass media e avversari le avevano cucito addosso forse avrebbe accontentato una parte del suo movimento che concepisce la politica come spettacolo e testimonianza, ma avrebbe reso un cattivo servizio alla nostra comune causa.

Vladimir Luxuria, secondo me, da deputata ha interpretato la politica nella forma più alta possibile.

Credo, cara Angela, che tu voglia considerare per lo meno controversa la sua partecipazione ad un reality.

Si può essere anche critici verso certe forme di spettacolo senza per questo passare per retrogradi, spero.

Comunque non è il mio caso.

Perché conoscendo Vladimir sono sicuro che ne è uscita a testa alta.

Con molto affetto.