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Castel: «Banlieues, ghetti sempre più violenti»
Publie le lunedì 3 dicembre 2007 par Open-PublishingCastel: «Banlieues, ghetti sempre più violenti»
Il problema esiste al di là della Francia: in Europa è in crescita una popolazione ai margini non più collegata al resto della società, persone assimilate a feccia, represse militarmente
ANNA MARIA MERLO
Parigi
Una calma precaria, dovuta soprattutto alla forte presenza di poliziotti, regna nel Val d’Oise, il dipartimento a cui si è estesa la rivolta durata due notti dopo la morte di due ragazzini in uno scontro con un’auto della polizia, a Villiers-le-Bel. Sulle prospettive, il significato e le caratteristiche di questa nuova esplosione delle periferie difficili, due anni dopo la fiammata del 2005 abbiamo interpellato il sociologo Robert Castel. Specialista della storia del mondo del lavoro (è autore, tra l’altro, de «Les Métamorphoses de la question salariale», Gallimard, e de «L’insécurité sociale», Seuil), Castel ha appena pubblicato da Seuil un saggio sulle banlieues, «La discrimination négative» (recensito dal manifesto il 12 ottobre 2007).
Dopo il 2005, nel 2006 l’agitazione è continuata, più o meno nell’indifferenza generale (45.588 auto bruciate nel 2005, comprese le tre settimane di esplosione, 44.157 nel 2006). Le due notti di violenza di Villiers-le-Bel sono solo un nuovo capitolo o è cambiato qualcosa?
C’è una sorta di stato endemico dei problemi nelle banlieues, che ogni tanto esplodono. Il fenomeno è iniziato nei primi anni ’80 ed è andato avanti ad un ritmo più o meno intenso. Ogni tanto ecco l’esplosione, sempre scatenata nella sua dinamica da un’identica occasione: uno scontro con la polizia. Quindi endemicità e ripetitività. Al tempo stesso va rilevata una radicalizzazione: l’ultimo episodio a Villiers-le-Bel è stato meno esteso del 2005, ma più violento. Il che indica la radicalizzazione di una frangia relativamente limitata dei giovani di banlieue, sempre più in opposizione totale, per non dire vero e proprio odio, alla polizia prima di tutto ma anche rispetto ai simboli della cultura e dello stato.
E’ cambiato qualcosa nell’atteggiamento del governo dal 2005 ?
Dopo il 2005 sono state fatte molte dichiarazioni che sembravano manifestare una presa di coscienza della gravità del problema, anche se poi sul piano concreto è stato fatto poco o nulla. Oggi, anche il governo si radicalizza. L’atteggiamento di Sarkozy è lo specchio della radicalizzazione dei giovani. Sarkozy dice che l’unico problema è mantenere l’ordine contro le bande di teppisti e che non si tratta di un problema sociale. Certo, c’è anche un problema di ordine, ma vedere solo questo e ridurre la rivolta a un affare di polizia è più che unilaterale.
Esplosioni violente hanno luogo anche in altri paesi. E’ un problema europeo ? Stiamo seguendo la strada degli Usa ?
Il problema esiste al di là della Francia, anche se ci sono specificità francesi, come il fatto che i protagonisti siano la seconda o terza generazione di origine immigrata, hanno la cittadinanza francese e vengono discriminati. Si può ipotizzare che nei paesi occidentali si stia allargando la frangia di una popolazione ai margini, non più collegata con l’insieme della società. In Germania è in corso da tempo un dibattito analogo, su una nuova sotto-classe simile al sotto-proletariato del XIX secolo - anche se non è la stessa cosa - che pone la questione dell’insediamento, ai margini degli stati europei, di persone che non sono propriamente al di fuori ma piuttosto spinte fuori dalla società e che non vengono più trattate come cittadini, ma assimimati a teppisti, alla feccia. Subiscono, per simmetria, un trattamento repressivo, poliziesco, al limite militare. A Villiers-le-Bel la polizia ha fatto ricorso agli elicotteri, si parla di introdurre i droni per controllare la banlieue, come se fossimo in guerra e queste persone fossero degli invasori. Una risposta che va al di là dello specifico esercizio di polizia, di repressione del crimine. E’ quasi uno stato d’assedio. Ho sempre pensato che negli Usa ci fossero specificità diverse dall’Europa. Pensavo che le cités in Francia non fossero paragonabili ai ghetti neri Usa o a quelli del Sudafrica durante l’apartheid. Ma adesso bisogna dire che siamo di fronte a un processo che va in questo senso. Non possiamo parlare precisamente di ghetti in Francia, ma è in corso un processo di ghettizzazione, di separazione di una parte della popolazione, che non è ancora concluso.
Quest’anno l’opposizione e la protesta degli studenti è molto politica. Nelle banlieues la politica non c’entra ?
Gli studenti sono un’altra cosa. Hanno obiettivi politici. In banlieue le rivolte hanno un significato politico nel senso che portano sulla scena pubblica questioni sociali e politiche importanti. Ma nella loro forma di espressione - e anche nel modo in cui pensano se stessi - questi giovani non sono nella sfera politica. E’ piuttosto un movimento spontaneo, anche se hanno fatto «progressi», si fa per dire, nell’organizzazione: funzionano per bande, guerriglia. Il 2005, come quel che accade oggi, rinviano pittosto alle manifestazioni di quello che nella società pre-industriale era chiamata l’espressione di «emozioni popolari », scatenate da avvenimenti come l’aumento del prezzo del pane, cioè agitazioni spontanee di gente disorganizzata. Nel passato, il passaggio alla politica è avvenuto quando frazioni della popolazione si sono organizzate in partiti, sindacati, per entrare nella politica ufficiale. Per il proletariato è stato nel XIX secolo. Ma nelle banlieues non siamo a questo stadio.
E’ la fine di un mondo ?
Rischia di essere la fine della società salariale, cioè di un modello che sembrava in via di realizzazione e che, anche se non voleva dire la fine delle ineguaglianze sociali, permetteva all’insieme della popolazione in paesi come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, di avere risorse e una protezione di base che assicurava l’indipendenza economica e sociale, un lavoro stabile. Un modello che, se non è stato ancora completamente distrutto, non è più in espansione, anzi si sta degradando. Un fenomeno che riguarda tutta l’Europa. Per questo credo che la posizione di Sarkozy - « lavorare di più per guadagnare di più » - sia percepita come un’ulteriore provocazione. Cosa può significare là dove la disoccupazione è al 40%, domina il precariato e l’immigrato subisce discriminazioni nell’accesso al lavoro ?
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/01-Dicembre-2007/art43.html