Home > Celentano salverà la libertà d’informazione?
Pensieri su diritti collettivi e diritti allo show
di Piero Sansonetti
Molti esponenti e giornali di sinistra hanno esultato per "Rockpolitik", cioè l’esibizione di Adriano Celentano in Tv. Hanno parlato di nuovo risorgimento, di fine dell’oppressione, di riscossa democratica, di antifascismo. Noi siamo stati più prudenti. A Roberta Ronconi, la nostra critica televisiva, il programma non è piaciuto molto, lo ha trovato parecchio pasticciato, questo ha scritto ieri su Liberazione. Diciamo che non ha avuto l’impressione di aver assistito a un momento storico, a un atto memorabile di ripresa della cultura e della libertà, di fine di un cupo regime.
Ad altri il programma è piaciuto. Moltissimo, per esempio, è piaciuto a Prodi, che ha parlato di show di libertà.
Non avrebbe senso però stare qui a discutere di Celentano e Santoro, e a dividersi nei giudizi (tutti legittimissimi e ragionevoli, sulla qualità del programma) se dietro a Rockpolitik non scorgessimo un problema più generale, più grande, riassumibile in questa espressione: libertà di informazione.
Io trovo abbastanza preoccupante, triste, l’idea che l’impennarsi o inabissarsi della libertà di informazione dipendano dalle performance di un bravissimo canzonettaro, o anche - so di toccare qui un tema molto controverso, giustamente controverso - sull’attività di un ottimo professionista del giornalismo come Michele Santoro. Mi sembra che se restiamo attaccati a questo schema, cioè al concetto dilagante e devastante dell’informazione come aspetto nobile dello show e dell’intrattenimento, abbiamo già perso. Siamo senza speranze.
La libertà di informazione viene generalmente vista da un unico punto di vista, che non è, credo, quello giusto, o almeno è troppo parziale: dal punto di vista del "giornalista", del protagonista. E’ ridotta a "libertà di stampa". Cioè è considerata semplicemente come libertà di poter informare, di potersi esprimere, di dire, raccontare, ragionare. Un sacro diritto individuale. Invece credo che la vera libertà di informazione (che non è semplice libertà di stampa) sia il diritto ad essere informati. Non è un diritto individuale, è collettivo. Non può essere regolato né dal rispetto delle "carriere", né dal rispetto del pluralismo partitico. Finché sarà così, e cioè finché la libertà di informazione sarà vista come una variante del Mercato, governata dalla politica, non sarà mai un diritto: sarà solo una delle tante regole del gioco di una società a fortissima dominazione delle potenze economiche e delle potenze politiche.
E cosa deve essere invece, la libertà di informazione? Primo, vera libertà per i giornalisti, e quindi fine dei ricatti che avvengono attraverso il potere dei proprietari e dei giudici (con le querele e un sistema di pene che, verso i giornalisti, è il più severo dell’Occidente, Stati Uniti a parte); secondo, vera libertà degli editori. Cosa vuol dire libertà degli editori? Vuol dire che non possono essere semplici imprenditori, competitori, funzionari del mercato. Mercato e imprenditoria servono a far guadagnare, a far girare i soldi, non servono a garantire i diritti, specie i diritti collettivi. C’è una contraddizione irrisolvibile tra diritti collettivi e competizione, e mercato. Se non si risolve questo problema - con l’intervento pubblico, con l’investimento di risorse, con la riscrittura delle regole - è del tutto illusorio parlare di libertà di informazione e di diritto all’informazione.