Home > Chernobyl. 22 anni fa
Da wikipedia
Nel 1986 a Chernobyl esplose un reattore. Si noti: non ci fu un’esplosione nucleare ma chimica. Le nubi di materiali radioattivi raggiunsero l’Europa orientale e la Scandinavia. Vaste aree vicine alla centrale furono pesantemente contaminate rendendo necessaria l’evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone.
Ucraina, Bielorussia e Russia pagano ancora dopo 10 anni i pesanti costi della decontaminazione.
Al momento dello scoppio morirono di colpo solo 2 lavoratori. 134 pompieri e operatori che cercarono di spengere l’incendio contrassero la Sindrome Acuta da Radiazione, 28 morirono nello stesso anno.
Fra la popolazione si ebbero 4000 casi di tumore della tiroide.
Furono esaminati 6 milioni di persone. 4.000 morirono per tumori e leucemie. Greenpeace stima i decessi in 200 000
Si disse che c’erano stati degli errori del personale, oppure che si erano usati materiali scarsi oppure che i sistemi di sicurezza non erano poi tanto sicuri o che la centrale era vecchia.
Qualunque cosa fosse, dopo 7 secondi dall’inserzione delle barre, la potenza del reattore raggiunse 10 volte la potenza normale. Le barre di combustibile iniziarono a fondere; l’acqua a temperature altissime reagi’ chimicamente con lo zirconio dei tubi producendo idrogeno gassoso. La pressione aumento’ fino a spaccare le tubature col contatto fra vapore, grafite incandescente, idrogeno ed aria. Cio’ provoco’ un’esplosione che fece saltare la copertura del reattore, distruggendo gli impianti di raffreddamento e facendo crollare il fabbricato sovrastante. I contaminanti si dispersero nell’atmosfera.
Si rilevo’ che le radiazioni ammontavano a 20 000 Röntgen/ora, 1 miliardo di volte superiore a quello naturale. Sono sufficienti 500 Röntgen per uccidere un essere umano distribuiti in un lasso di 5 ore. Molti operatori furono esposti ad una dose mortale di radiazioni nell’arco di pochi minuti.
Le misure di sicurezza adottate immediatamente dopo il verificarsi dell’esplosione, coinvolsero migliaia di vigili del fuoco e militari accorsi immediatamente sul luogo del disastro. La citta’ di Pripyat non venne evacuata immediatamente. Ci fu chi inconsapevole si avventuro’ nella zona contaminata senza alcuna precauzione e a causa delle radiazioni si ammalo’ e mori’ dopo lunga malattia.
Il reattore continuo’ a bruciare per giorni e venne spento con l’ausilio di elicotteri che sganciarono tonnellate di boro, silicati, sabbia e dolomia, unici materiali in grado di estinguere un incendio di tale natura.
Il governo Sovietico cerco’ di tenere nascosta la notizia. Ci misero vari giorni per rendersi conto della gravita’ del fatto ma nonostante la situazione risultasse disperata un velo di omerta’ si stese sull’ex URSS.
Solo 36 ore dopo l’’incidente le autorita’ ordinarono l’evacuazione della citta’. Dissero ai cittadini di portare con se’ pochi effetti personali, perche’ in breve tempo sarebbero tornati a casa.
Nessuno era realmente conscio di cio’ che stava accadendo. Decine di persone si soffermarono fino a tardi, la notte dell’esplosione, per ammirare la luce scintillante sopra il reattore. Vennero direttamente bombardati dalle radiazioni. Nel maggio 1986, circa un mese dopo, tutti i residenti nel raggio di 30 km dall’impianto, circa 116.000 persone, erano stati trasferiti.
Negli anni successivi si procedette alle operazioni di recupero e di decontaminazione dell’edificio e del sito del reattore e delle strade intorno, cosi’ come alla costruzione del sarcofago. Incaricati di queste operazioni furono i cosiddetti liquidatori . 600.000 persone[, fra militari e civili, ricevettero speciali certificati che confermavano il loro status di “liquidatori”. Sebbene altre stime basate su registri nazionali parlino di 400.000 e altre ancora 800.000. In ogni caso, fra il totale dei liquidatori la popolazione costituita dai 226.000 240.000 che operarono nella zona in un raggio di 30 Km e negli anni 1986 e 1987 e’ quella che ricevette la dose di radiazioni piu’ critica. Il resto lavoro’ in aree oltre i 30 Km oppure negli anni fra il 1988 e il 1990, quando il livello di radiazioni si era gia’ notevolmente abbassato.
I primi liquidatori furono coloro che furono incaricati di prelevare i blocchi di grafite dal tetto per gettarli a braccia dentro allo squarcio dove si trovava il reattore. Vennero informati a questo punto dei rischi e moltissimi non indugiarono un momento pur essendo consapevoli che avrebbero potuto morire di li a poco. Erano sottoposti a turni di 40 secondi l’uno. Dovevano uscire sul tetto, caricare a braccia un blocco di grafite di circa 50 chilogrammi di peso e buttarlo il piu’ rapidamente possibile nello squarcio. Alcuni dovevano invece, con l’ausilio di un badile, spalare i detriti sempre all’interno del reattore. Erano protetti da indumenti che potevano garantire soltanto un minimo di protezione dalle radiazioni. Fu promesso loro che al termine di un monte ore di servizio sul sito del disastro avrebbero avuto il diritto alla pensione anticipata di tipo militare. Tra i liquidatori c’erano numerosi civili provenienti da tutta l’ex Unione Sovietica.
Il 9 maggio 1986, le 5000 t di boro, dolomia, argilla e carburo di boro scaricate nei primi giorni sul reattore per spegnere l’incendio della grafite, gravarono tanto sul reattore gia’ distrutto e crollarono ulteriormente dentro la voragine. Da questo ulteriore crollo si sprigiono’ una nuova nuvola radioattiva che causo’ un rilascio di materiale di fissione che si sparse in un raggio di 35 km, gia’ evacuati, attorno alla centrale.
Secondo gli esperti vi erano buone possibilita’ che il nocciolo ancora incandescente e pieno di attivita’ potesse sprofondare ulteriormente arrivando a contatto con l’acqua delle falde, causando cosi’ nuove esplosioni e la fusione del nocciolo. Vennero chiamati dei minatori che lavorarono a braccia sotto il reattore scavando un tunnel per isolare la struttura soprastante dal terreno. Spesso mascherine protettive impedivano loro di respirare la sotto, in condizioni al limite del sopportabile. Molte precauzioni non furono adottate e anche tra questi minatori ci furono molte vittime.
Si costrui’ un sarcofago esterno. I primi due anni 240.000 persone si alternarono per la pulizia e la realizzazione dello scudo protettivo. Il reattore doveva essere isolato assieme ai detriti dell’esplosione, che comprendevano 180 t di combustibile e pulviscolo altamente radioattivo e 740.000 m3 di macerie contaminate. Fu impiegata una fila di camion come fondamenta delle pareti di cemento, per un totale di 300.000 t, erette per il contenimento del reattore e la struttura portante del sarcofago sono le stesse macerie del reattore Ogni anno, per la poverta’ dei materiali usati e per la mancanza di una piu’ seria progettazione, nuove falle si aprono sulla struttura, per un totale di oltre 1000 mq di superficie. Alcune fessure raggiungono dimensioni tali da potervi lasciar passare tranquillamente un’automobile, pari a circa 10/15 metri di diametro. La pioggia vi si infiltra all’interno e rischia di contaminare le falde seppur sotto il reattore sia stato costruito a braccia un tunnel per isolare il nocciolo fuso dal terreno. Circa 2.200 m3 cubi di acqua si riversano all’interno del sarcofago ogni anno facendo aumentare di 10 volte il peso delle fondamenta che va da un minimo di 20 fino ad un massimo di 200 t per mq. Il basamento e’ sprofondato di 4 m permettendo l’infiltrarsi di materiale radioattivo nelle falde acquifere che sono correlate ai fiumi Pripyat e Dniepr che a loro volta portano il loro carico fino al mar Nero. 30 milioni di persone lungo il corso dei fiumi si servono di essi. La temperatura all’interno del sarcofago, raggiunge in alcuni punti, ancora oggi, 1.000° centigradi in prossimita’ del nocciolo, e tale temperatura contribuisce al costante indebolimento e alla deformazione della struttura.
Ad aggravare la situazione e’ la sismicita’ della zona del Pripyat.
Se il sarcofago dovesse crollare le possibilita’ di un evento catastrofico sono molto piu’ che plausibili. Il 95% del materiale radioattivo ed ancora altamente contaminante e’ racchiuso nel sarcofago e nella massa fusa del piede d’elefante. Un evento di questo tipo sarebbe infinitamente piu’ grave di quello accorso nel 1986 e le sue conseguenze sarebbero impossibili da quantificare.
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Masada n. 711. "Centrali nucleari"