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Codice a sbarre

Publie le sabato 18 febbraio 2006 par Open-Publishing

16 Febbraio 2006

Si fa sempre più avvincente la caccia ai candidati «impresentabili».

Anche perché ciascuno ha un concetto decisamente soggettivo del significato di «impresentabilità».

Per il cavalier Winston Cristo (per brevità, W.C.) e i suoi discepoli, impresentabili sono tutti quelli che presenta il centrosinistra (tipo Gerardo D’Ambrosio che, non contento di non aver mai rubato, pretendeva pure di arrestare i ladri).

Un po’ più circoscritto il ragionamento di Piercasinando e della sua pròtesi Lorenzo Cesa: secondo costoro è impresentabile tanto il poliziotto abusivo Gaetano Saya - quello che minaccia di «spazzare via» Furio Colombo, far chiudere l’Unità, eliminare «arabi, pederasti e invertiti» - quanto Vladimir Luxuria che, come osserva Maria Novella Oppo, ha il solo torto di truccarsi un po’ meno di Bellachioma.

Non è impresentabile, invece, Totò Cuffaro, rinviato a giudizio per favoreggiamento alla mafia e subito presentato (anzi, ripresentato) dalla Casa Circondariale delle Libertà come governatore di Sicilia. Non lo è, si presume, nemmeno l’onorevole Remo Di Giandomenico, Udc, che il Gip di Termoli ha chiesto al Parlamento di poter arrestare per corruzione, concussione, abuso d’ufficio e associazione per delinquere.

Più che presentabile anche Calogero Mannino, condannato in appello per mafia: poi la Cassazione ha annullato la sentenza chiedendo alla Corte d’appello di motivare meglio, ma la Corte d’appello non potrà più farlo perché la Pecorella-2, riveduta e scorretta, abolisce anche quel processo. Così Mannino, innocente per legge, potrà essere candidato.

E si suppone che, per Lorenzo Cesa, non sia impresentabile nemmeno Lorenzo Cesa, condannato nel 2001 dal Tribunale di Roma a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata nel processo su 35 miliardi di tangenti ai partiti per gli appalti Anas, condanna poi annullata nel 2003 perché il pm aveva avuto la bella idea di rioccuparsi del caso come gup.

Naturalmente sono presentabilissimi gli onorevoli Cesare Previti (condannato a 12 anni in appello per tangenti a un paio di giudici) e Marcello Dell’Utri (condannato dalla Cassazione a 2 anni per false fatture e frode fiscale, dal Tribunale di Palermo a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e dal Tribunale di Milano a 2 anni per estorsione in concorso con il boss mafioso trapanese Vincenzo Virga).

Infatti verranno candidati entrambi, possibilmente in prima fascia.

L’idea, poi, che sia impresentabile un signore amnistiato per falsa testimonianza, prescritto per quattro falsi in bilancio e due corruzioni giudiziarie, imputato per frode fiscale, appropriazione indebita, falso in bilancio, corruzione giudiziaria e salvato da un sesto falso in bilancio grazie a una legge che porta il suo nome, non sfiora nessuno. Anche perché costui si chiama Silvio Berlusconi, in arte W.C, ed è la reincarnazione di Napoleone.

Molto presentabile è pure Massimo Mallegni, il sindaco forzista di Pietrasanta amico del cardinal Pera testè arrestato per 51 episodi delittuosi che i giudici qualificano come «associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe aggravate, corruzione, estorsione, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e voto di scambio».

L’uomo che, nelle telefonate intercettate, minacciava i vigili urbani che indagavano su di lui in perfetto dolce stil novo: «Agli altri gli faccio il culo senza dirglielo, a lei glielo dico», «Noi gli facciamo passare la voglia di fare il vigile», «Vi agguanto uno alla volta», «Ora lo purghiamo bene, una bella purghina». L’altro giorno, dal carcere di Lucca dove momentaneamente risiede, Mallegni s’è dimesso da sindaco. Ma il suo avvocato Luca Saldarelli ha così spiegato i nobili motivi della dolorosa rinuncia: «Si tratta di dimissioni tecniche per offrire la sua disponibilità a essere candidato alle elezioni politiche di aprile. Le dimissioni diventeranno definitive fra 20 giorni, termine entro il quale Mallegni, in base alle eventuali offerte del suo partito, può decidere se ritirarle o meno». In pratica, o lo candidano, o torna a fare il sindaco. Nel secondo caso, dovrà farsi portare in galera le pratiche da firmare e la fascia tricolore per impreziosire il pigiama a strisce. Nel primo, sarà costretto a trasformare la cella in ufficio elettorale.

Qualcuno, di recente, ha detto: «Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia, si ridurrebbe a una grande banda di ladri, come disse una volta Sant’Agostino». Paolo Flores d’Arcais? No, Joseph Ratzinger, alias papa Benedetto XVI.

BANANAS