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Colaninno, un nostalgico del caporalato.
La vicenda Alitalia ha per posta la qualità dei rapporti sociali, di cui si tenta un radicale imbarbarimento
di Dino Greco, membro del direttivo nazionale Cgil
Non c’è sindacalista degno di questo nome che non avverta un disagio acuto ed un senso di profonda inquietudine di fronte a quanto in queste ore sta accadendo in Alitalia. Non ci riferiamo più - in questo frangente - alla catastrofica soluzione prevalsa per quello che con involontario effetto comico continua ad essere chiamato "salvataggio" della compagnia di bandiera. A questo riguardo tutto o quasi è stato già detto: sullo spregiudicato uso elettorale che ne ha fatto il Governo, sulla svendita dell’azienda ad una consorteria di imprenditori (?) del tutto estranei al trasporto aereo, sulle aspettative speculative e sugli inconfessabili ma non meno trasparenti interessi laterali della cordata, sul furbesco scarico dei debiti di Alitalia sui contribuenti, sulla fragilità del piano industriale, sull’ipocrita difesa di una farsesca italianità dell’azienda, in realtà fatalmente destinata ad entrare nell’orbita di ben più solidi vettori stranieri, sulla dissennata gestione politica e manageriale protrattasi per anni, responsabile della dissipazione di un prezioso patrimonio occupazionale e professionale. E, infine, sull’epilogo negoziale che -fra un ricatto e l’altro - ha rovesciato sui lavoratori il costo più duro dell’operazione.
Così, se l’accordo di settembre aveva tentato di contenere i danni, la "mattanza", fra licenziamenti espliciti o mascherati e decurtazioni salariali e normative, era apparsa subito evidente. Ebbene, alla riapertura del confronto, necessario per perfezionare e rendere operativa quell’intesa "quadro", la CAI -pensando che i giochi fossero ormai fatti e incassato il consenso dei sindacati confederali - ha deciso di affondare i colpi, sfoderando un campionario di pretese di inaudita gravità. A partire da quel criterio di selezione delle assunzioni che discrimina i più deboli, in primo luogo le donne e tutti coloro che in ragione delle proprie condizioni soggettive possono rappresentare un intralcio all’uso più discrezionale ed intensivo della prestazione di lavoro, in coerenza con il dettato confindustriale che prescrive di spremere dal lavoro umano la massima produttività al più basso costo.
A queste tracotanti intenzioni se ne aggiungono altre due, non meno intollerabili: quella di Colaninno che - emulo delle più odiose tradizioni antioperaie - minaccia i "riottosi" di organizzare il crumiraggio, aprendo il reclutamento individuale del personale necessario, anche fuori dalla platea Alitalia; e quella di complemento, del Governo, che fa sapere a chi non firma che gli sarà negata anche la cassa integrazione, vale a dire il diritto alla sussistenza.
Ora, come non vedere in questa accanita protervia qualcosa di tremendamente grave: una prova che ha per posta la qualità dei rapporti sociali di cui si tenta un radicale imbarbarimento. E se oggi il sopruso colpisce i piloti, gli assistenti di volo (dei precari addetti alle mansioni ausiliarie non parla più nessuno), i sindacati autonomi, bisogna sapere che il colpo di maglio rappresenta ben più che un ammonimento indirizzato a tutti i lavoratori e a tutto il sindacalismo italiano.
Se ciò lascia del tutto indifferenti Cisl e Uil, ormai consegnatesi a logiche estranee alla rappresentanza del lavoro, non può essere così per la Cgil, che solo poche settimane or sono aveva tenacemente difeso e chiesto rispetto per le scelte sindacali dei lavoratori, rifiutando - nel nome di un irrinunciabile principio di democrazia - di surrogarne la rappresentanza. Ora che il padrone ed il governo si apprestano - manu militari - a chiudere la pratica, è necessario che la Cgil torni in campo, perché da quell’esito nefasto, da quella inequivocabile sconfitta, verrebbe la fatale compromissione di diritti che sono l’essenza della cultura solidaristica del lavoro.