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Come contrastare la scissione e la liquidazione di Rifondazione Comunista

Publie le martedì 27 gennaio 2009 par Open-Publishing
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Come contrastare la scissione e la liquidazione di Rifondazione Comunista

di Leonardo Masella, Direzione Nazionale del Prc

I dirigenti nazionali che hanno promosso e sostenuto la seconda mozione congressuale, quella che faceva capo a Bertinotti e Vendola sconfitta dal congresso, stanno sancendo in questi giorni una scissione da Rifondazione Comunista. Tuttavia, non tutto il gruppo dirigente della seconda mozione ha deciso di andarsene. Una parte, ed io credo anche la maggioranza dei compagni di base, ha deciso di rimanere nel partito, pur mantenendo un dissenso di fondo rispetto alla linea congressuale. Già un dato deve farci interrogare. Come mai la maggioranza congressuale del Prc, pur costituita da diverse mozioni ed anche da diverse culture politiche, ha tenuto, mentre invece la minoranza bertinottiana, che doveva essere più omogenea, si è divisa ? Credo per due motivi.

Primo, perché esisteva un forte collante unitario, identitario, delle mozioni che si sono unite a Chianciano: il punto comune era il rifiuto della liquidazione di Rifondazione Comunista e della riduzione del comunismo ad una tendenza culturale, cioè ad una corrente di altri partiti, ma la volontà di mantenere in Italia una forza comunista. Il secondo motivo sta nella debolezza o nella immaturità, allo stato attuale, del progetto di Vendola e Bertinotti. E’ debole perché non c’è spazio oggi fra una sinistra variamente comunista e l’attuale Pd e dunque una scissione per costruire con la Sd di Fava una sinistra socialista è obiettivamente debole. E’ un progetto tutt’al più prematuro se Bertinotti pensa, come sembra, che lo spazio per un nuovo partito di sinistra, o meglio per una socialdemocrazia seria in Italia, ci sia se D’Alema rompe il Pd e se ne mette alla testa.

Dunque allo stato attuale l’iniziativa di Bertinotti e Vendola può avere successo solo nella misura in cui il nostro progetto, cioè il rilancio della rifondazione di una forza comunista viene sconfitto o diviene minoritario o solo testimoniale/ideologico. Per questo il vero problema non è cosa faranno gli scissionisti, ma è cosa saremo capaci di fare noi. Perché se saremo capaci di rilanciare un progetto rimotivante, su una linea credibile e una iniziativa di massa nella società, si riuscirà a contrastare la scissione e la liquidazione di Rifondazione, altrimenti, attenzione, avremo formalmente, congressualmente, respinto la liquidazione del Prc, ma ne avremo solo allungato l’agonia.

A tal proposito vedo fondamentalmente tre problemi. Il primo di linea politica generale. E’ pensabile o non è fortemente contraddittorio fare ancora appello ai compagni della seconda mozione a ripensarci, a rimanere nel partito al di là della diversità radicale, di fondo, un appello persino a chi non crede più nel ruolo e nell’esistenza stessa del partito e di una forza comunista, e contemporaneamente mantenere invece una riserva pregiudiziale, ideologica, nei confronti di tutti quei compagni e compagne che sono andati via negli anni passati dal partito ma credono nel ruolo di una forza organizzata comunista ? Vorrei ricordare lo straordinario successo della manifestazione comunista dell’11 ottobre, troppo presto finita nel dimenticatoio.

Cosi’ come vorrei ricordare che sia l’autunno sociale che le manifestazioni per la Palestina hanno visto il protagonismo non certo di Sinistra Democratica di Claudio Fava ma di una sinistra di classe ed anticapitalistica, diffusa e organizzata, comprendente tutte le forze comuniste esistenti nel Paese. Sta in questo spazio a sinistra della socialdemocrazia europea il terreno principale su cui rilanciare oggi Rifondazione Comunista, in un rapporto più stretto con le forze comuniste più vicine politicamente. Per questo motivo, ciò di cui dovrebbe e potrebbe farsi protagonista Rifondazione è una iniziativa unitaria non solo tesa ad evitare l’ennesima scissione ma anche a superare le precedenti, per riaprire il processo della rifondazione comunista, non tanto per mettere insieme i cocci delle rotture passate ma soprattutto, guardando avanti, per ricostruire/rifondare una nuova forza comunista, anticapitalistica, di classe, di movimento. Senza paura delle diversità, i comunisti oggi, diversamente da ieri, dovrebbero avere una concezione democratica che consente di stare in uno stesso partito anche se la si pensa diversamente.

Questa iniziativa unitaria va intrapresa in particolare in vista delle elezioni europee, perché non si può certamente ripetere l’arcobaleno della sinistra, ma non possiamo neanche sostenere la frantumazione totale della sinistra, non solo per provare a recuperare i voti persi il 13 e 14 aprile ma anche per tentare di conquistare nuovi voti popolari in libera uscita da un Pd sempre più in crisi. L’unità a tutti i costi fra troppo diversi non aiuta, ma non aiuta nemmeno la divisione a tutti i costi fra i più vicini. Almeno dovremmo e potremmo tentare di presentarci alle elezioni europee con chi in Italia si riconosce nel Gue (il gruppo parlamentare europeo della sinistra comunista e di alternativa), come abbiamo scritto nel documento conclusivo del congresso di Chianciano “nella ricerca di convergenze, in occasione delle elezioni europee, tra forze anticapitaliste, comuniste, di sinistra, sulla base di contenuti contrari al progetto di Trattato di Lisbona e all’impostazione neoliberista e di guerra dell’ Unione Europea”. Questo è il modo migliore per contrastare il progetto politico sotteso alla scissione e rimotivare il nostro partito e tutta la sinistra di alternativa.

Il secondo problema attiene all’efficacia della nostra iniziativa politica. Noi abbiamo bisogno di una iniziativa nazionale centrale capace di mobilitare il partito in alcune, poche, chiare, qualificate battaglie concrete di massa. Non la dispersione nel tutto e nulla com’è stato finora. Faccio due esempi. Il primo. Sulla tragedia di Gaza, che suscita indignazione di massa anche in chi non ha manifestato nè a Roma nè ad Assisi (come ci dice il fatto che il sito di Vittorio Arrigoni è il sito più visitato d’Italia in questi giorni, più di quello di Grillo), noi, più che una discussione ideologica su Hamas oppure se ha ragione oppure no monsignor Bettazzi (ed io sono d’accordo con lui), che sostanzialmente ha detto ad Assisi che Israele è peggio dei nazisti; più che passare il nostro limitato tempo così, sarebbe meglio produrre una iniziativa di massa che renda utile il partito a fare qualcosa contro la guerra di aggressione israeliana e che renda utile il gesto di qualunque cittadino italiano che voglia fare anche una piccola cosa per fermare Israele e la guerra. Perché non rendere protagonista il nostro partito – assieme ad altre forze di sinistra politica e sociale, associazioni, comitati – della campagna nazionale per il boicottaggio dei prodotti israeliani ?

Non dei negozianti ebrei, cosa sbagliata e razzista, ma dei prodotti israeliani in vendita in tutti in negozi, invitando la gente a non acquistare i prodotti con il codice a barra contenente il numero 279, come si fece con il Sudafrica nella nota campagna “Boicotta, disincentiva e sanziona”, come ha riproposto a livello internazionale l’altermondialista Naomi Klein. Una campagna nazionale, organizzata e seguita dal centro nazionale con la produzione di manifesti, volantini, adesivi, spot pubblicitari, su cui concentrare l’iniziativa di federazioni e circoli, possibilmente assieme a tutte le forze politiche e sociali disponibili, a partire da quelle comuniste e di classe a noi più vicine. Questo è il modo più efficace per mobilitare con continuità il partito e metterlo in connessione permanente (non solo per un giorno della manifestazione) con masse rilevanti di persone e in particolare di giovani.

Secondo esempio. Piuttosto che continuare a dividerci in questa discussione politicista e istituzionalista sulle alleanze nelle prossime elezioni amministrative fra 5 mesi, la vera svolta a sinistra non è se non facciamo mai più, neanche in un condominio, una alleanza col Pd, ma è se mettiamo in campo una campagna di massa di mesi su alcuni contenuti sociali (innanzitutto salari, prezzi, tariffe e lavoro, precarietà, licenziamenti). In tal senso sarebbe importante poter lanciare per i prossimi mesi prima delle elezioni la raccolta di firme per alcuni referendum sociali, non da soli ma costruendo un comitato promotore con tutte le forze politiche e sociali disponibili. Questo sarebbe il modo migliore per rivitalizzare il partito, per contrastare la scissione, la demoralizzazione e la passività conseguenti, per costruire uno schieramento unitario di sinistra politica e sociale con una propensione anticapitalistica.

Terzo problema. Per fare questo e anche per mettere in pratica nei territori la linea politica che si decide, abbiamo bisogno di un gruppo dirigente coeso, autorevole e democratico. Abbiamo uno stato dei gruppi dirigenti locali molto problematico, per usare un eufemismo. In molti casi serve un intervento deciso dall’alto. Per esempio nelle Federazioni dove prevale la linea della minoranza di non voler presentare la lista e il simbolo del Prc nelle elezioni amministrative per fare arcobaleni di sinistra locali, è necessario intervenire direttamente dal Nazionale. Ma anche in situazioni, federazioni o regionali in cui i gruppi dirigenti sono di maggioranza ma assolutamente inadeguati o in difficoltà, è necessario intervenire dal Nazionale.

Altrimenti i risultati sia sul piano elettorale sia sul piano del rilancio della rifondazione comunista saranno inevitabilmente molto modesti. Per questo serve maggiore unità nel gruppo dirigente nazionale, coniugando in questa fase la presenza di aree, componenti, posizioni e culture diverse con la necessità dell’efficacia dell’azione esterna del partito e quindi della valorizzazione, a livello nazionale come a livello locale, dei dirigenti più capaci al di là della diversità di posizioni e di provenienza, superando completamente e finalmente ogni tipo di discriminazione come è avvenuto sia nella fase bertinottiana che nella fase più lontana del Prc cossuttiano. Sono state le discriminazioni a favorire il correntismo: se si supera la logica delle discriminazioni si favorirà il superamento del correntismo e si aiuterà la costruzione di gruppi dirigenti all’altezza della situazione.

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