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Con il corpo, con il cuore, con la mente, per non dimenticare il genocidio di Srebrenica - 11 luglio 1995
Publie le domenica 10 luglio 2005 par Open-PublishingLa politica dell’esserci
di Celeste Grossi, Donne in Nero - Como
Con il corpo, con il cuore, con la mente, per non dimenticare il genocidio di Srebrenica - 11 luglio 1995.
Noi Donne in Nero di Como invitiamo tutte, tutti, a non dimenticare Srebrenica, perché solo ciò di cui si ha memoria non si ripete. Invitiamo tutte, tutti, ad unirvi a noi, osservando 10 minuti di silenzio (uno al giorno dall’11 al 20 di luglio alle 18) come atto di rispetto per le vittime del genocidio, di compassione e di solidarietà con le loro famiglie, le loro amiche, i loro amici, ma anche contro la negazione dei crimini commessi anche in nostro nome, come richiesta di condanna per tutti gli organizzatori, i comandanti, e gli esecutori del genocidio di Srebrenica. Perché non c’è riconciliazione e pace senza verità e giustizia.
«L’Europa nasce o muore a Sarajevo», diceva Alex Langer nel giugno del 1995. Pochi giorni dopo il 3 luglio Alex, l’instancabile costruttore di ponti, si tolse la vita sulle colline toscane, impiccandosi a un albicocco, perché «i pesi» gli erano «divenuti insostenibili». Pochi giorni dopo, l’11 luglio, l’Europa, l’Onu e l’intera comunità internazionale morirono a Srebrenica.
A Srebrenica - città con lo status di Area di Sicurezza sancito dall’ONU- 8.100 uomini bosniaci musulmani, ma anche bambine, bambini e donne, furono uccisi dall’esercito della Repubblica Srpska, con il sostegno del regime di Slobodan Milosevic. Insieme a loro morì una parte della nostra umanità.
L’11 luglio militari della Repubblica Srpska, sotto il comando di Ratko Mladic, occuparono la città di Srebrebnica, abbandonata la notte precedente dai soldati dell’esercito della Bosnia Erzegovina, sotto il comando di Naser Oric. Garantendo loro la sicurezza, Mladic ordinò ai residenti e ai rifugiati di lasciare la città e dirigersi verso il territorio sotto il controllo della Federazione di Bosnia Erzegovina. All’uscita dalla città gli uomini furono separati dalle donne e dai bambini. In quello stesso giorno e nei giorni successivi, fino al 20 luglio, gli uomini furono giustiziati in varie località. Una parte dei cadaveri fu in seguito spostata nelle cosiddette “fosse secondarie”, molti corpi furono successivamente smembrati e dispersi in varie fosse per rendere impossibile l’identificazione. Altri uomini, donne e bambini furono uccisi nei boschi attraverso i quali cercavano di raggiungere Tuzla.
Il Tribunale Criminale Internazionale per l’ex Jugoslavia dell’Aja ha emesso una serie di condanne per i crimini di Srebrenica. Alcuni (Erdemovic, Nikolic e Obradovic) hanno ammesso la propria responsabilità. Radislav Krstic, al tempo comandante dei Corpi della Drina, che insieme al generale Lazarevic eseguì direttamente gli ordini di Mladic, è stato condannato a 35 anni di prigione per genocidio. Ratko Maldic e Radovan Karadzic sono ancora latitanti. I soldati olandesi, che avevano la responsabilità nell’enclave e che non hanno impedito che il crimine avvenisse, hanno ricevuto la medaglia al valor militare dal proprio governo.
Dall’11 luglio del 1995 le Donne in Nero di Belgrado non hanno mai smesso di esprimere compassione per le famiglie, le amiche e gli amici delle vittime, chiedere che fossero giudicati e condannati i responsabili dei crimini commessi, scrivere lettere di protesta, parlare in pubblico e in privato, organizzare manifestazioni. Per dieci anni, ogni anno, si sono recate sul luogo del crimine, hanno stabilito contatti diretti con le donne di Srebrenica, con i parenti degli uccisi. Hanno sperato, e noi insieme a loro, che dopo la caduta del regime dittatoriale, nell’ottobre 2000, ci sarebbe stata una rottura con la politica criminale del regime di Milosevic. Si sbagliavano, ci sbagliavamo: proprio allora iniziava la negazione istituzionalizzata dei crimini. La negazione continua ancora oggi, anche se il video proiettato al Tribunale internazionale dell’Aja nella scorsa primavera ha mostrato inequivocabilmente soldati serbi che umiliano, spintonano, ingiuriano, sputano addosso, prendono a calci le vittime e trasferiscono cadaveri (come se così potessero ingannare la storia, l’opinione pubblica internazionale e le famiglie delle vittime).
A dieci anni dal genocidio il Parlamento serbo non riesce ad adottare una risoluzione sul massacro di Srebrenica. A dieci anni dal genocidio le Donne in Nero di Belgrado, e noi con loro, continuiamo a rivolgersi ai cittadini di nazionalità bosniaca e a tutto il popolo della Bosnia Erzegovina per dire ancora una volta: «Sappiamo della morte di tutti e di ciascuno, conosciamo il vostro dolore e la vostra sofferenza, non siamo riuscite a fermare i crimini, continuiamo a cercare le responsabilità, il genocidio di Srebrenica è la nostra vergogna, perdonateci per non essere riuscite a evitarlo».
Il 10 luglio in piazza della Repubblica a Belgrado le Donne in Nero - con la partecipazione di rappresentanti italiane, tedesche, israeliane, statunitensi - hanno organizzato una veglia commemorativa di protesta. Presenze contemporanee di attiviste della rete internazionale si sono svolte in Italia, Belgio, Germania, Spagna e USA.
L’11 luglio Donne in Nero da tutta la Serbia e non solo... si recheranno nel luogo del crimine per esprimere ancora solidarietà alle famiglie delle vittime e parteciperanno all’incontro commemorativo di Potocari: «Non dimentichiamo - dieci anni dopo il genocidio di Srebrenica».
Noi Donne in Nero di Como invitiamo tutte, tutti, a non dimenticare Srebrenica, perché solo ciò di cui si ha memoria non si ripete. Invitiamo tutte, tutti, ad unirvi a noi, osservando 10 minuti di silenzio (uno al giorno dall’11 al 20 di luglio alle 18) come atto di rispetto per le vittime del genocidio, di compassione e di solidarietà con le loro famiglie, le loro amiche, i loro amici, ma anche contro la negazione dei crimini commessi anche in nostro nome, come richiesta di condanna per tutti gli organizzatori, i comandanti, e gli esecutori del genocidio di Srebrenica. Perché non c’è riconciliazione e pace senza verità e giustizia.
Noi Donne in Nero di Como invitiamo tutte, tutti, a non distogliere lo sguardo: dopo il massacro di Srebrenica, all’inizio di agosto, l’esercito croato ha bombardato la Krajna; 250.000 serbi sono fuggiti dalla Croazia; nei dieci anni trascorsi da allora il mondo intero si è balcanizzato. Le stragi e le vittime delle stragi sono aumentate; si sono moltiplicati gli attentati suicidi, le azioni terroristiche, le guerre, le invasioni, le occupazioni. Guerre e terrorismo parlano lo stesso linguaggio: un linguaggio di morte sia che a parlarlo siano persone vestite di stracci, in divisa, o in doppiopetto.
Noi non ci rassegniamo, siamo sempre più convinte che per vedere una striscia di futuro sia indispensabile svelare i crimini, condannarli e guardare in faccia le responsabilità. Da quelle di chi ha realmente premuto il grilletto, a quelle di chi ha dato l’ordine di farlo, a quelle di chi ha sostenuto i responsabili, a quelle di chi ha accettato un regime criminale come partner per concludere la pace, come nel caso degli accordi di Dayton sottoscritti solo qualche mese dopo Srebreniza dalle tre parti in conflitto (serbi, bosniaci musulmani e croati) e firmati da Milosevic e Karadzic, salutati da Bill Clinton come «costruttori di pace».




