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Condannato al massimo della pena per crimini ... impossibili fisicamente e biologicamente

Publie le lunedì 1 gennaio 2007 par Open-Publishing
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Da News Italia Press: http://www.newsitaliapress.it/interna.asp?info=131176&sez=265

Avenal-Milano - "Caro Gesù ti scrivo per dirti cose che Tu già sai, cose che ti dico da mesi, anni, c’è sempre li, in quel carcere dall’altra parte del mondo, un uomo. Quell’uomo sta soffrendo, perseguitato dalla ’giustizia’ umana, e tu sai che cosa vuol dire essere perseguitati, essere crocefissi, insieme a lui io sto portando la tua croce, ma ti prego non sopravvalutarci così tanto, siamo stanchi, non riusciamo più a reggerne il peso" Un Lettera a Gesu Bambino molto particolare.
42 anni, toscano di nascita ma cittadino del mondo fin da giovane, Carlo Parlanti, dal 2004 è incarcerato negli Stati Uniti, con l’accusa di aver stuprato la sua ex convivente, Rebecca White. "Una denuncia che avrebbe dovuto essere stroncata sul nascere", dice la compagna di Carlo, Katia Anedda, mostrandoci i quintali di carte processuali e raccontandoci i dettagli della denuncia che apparirebbe davvero poco credibile "secondo la testimonianza della White il Parlanti l’avrebbe violata inserendo l’avambraccio e la mano aperta nella vagina procurandole gravi perdite di sangue", e a tutto ciò non sono seguiti controlli medici.
Una vicenda poco conosciuta, sia in Italia che in America, perché a Katia è stato detto che meno polveroni si alzavano meglio era, "ora capisco che non è così", dopo aver speso oltre 150 mila euro in parcelle di avvocati e mentre Carlo, condannato a 9 anni di detenzione, non riesce accelerare i processi di Appello, né, tanto meno, rientrare in Italia per scontare la pena vicino alla famiglia, a meno che non rinunci a dimostrare la sua innocenza rifiutando gli Appelli.
Katia è provata, ma combattiva, noi l’abbiamo incontrata al ritorno dal suo ennesimo viaggio a Roma in giro per Ministeri, per spiegare, chiedere, implorare lo Stato Italiano, perché "quell’uomo che sta soffrendo, perseguitato dalla giustizia umana", il suo uomo, possa continuare a sperare ... magari in Gesù Bambino.
"Katia, dammi i fatti, a me interessano solo fatti" e lei, l’angelo custode di Carlo, ligia, mi riempie di documenti... in mezzo qualche fotografia, giusto per ricordare a me, o forse a se stessa, che prima di tutto è una donna innamorata, poi una testimone serena, una fredda investigatrice, una che combatte per una causa alla quale crede fino in fondo ... indipendentemente dall’amore, dal quale, anzi, a tratti, sembra estraniarsi, lo si vede nei passaggi in cui Carlo diventa "il Parlanti". Sono i passaggi più duri del racconto, quelli che fa fatica raccontare, perché certe cose non è facile trasferirle dal pensiero alla parola, verbalizzarle significa dare loro consistenza, concretezza, verità, fin tanto che restano nel pensiero invece c’è ancora sempre la possibilità che non sia vero nulla.

Katia, chi sei e quali rapporti hai con Carlo Parlanti?
Ho conosciuto Carlo Parlanti nel 1992, un anno dopo, circa, abbiamo iniziato una relazione affettiva, e dopo pochi mesi sono andata a convivere con lui. Per tre anni, dal 1993 al 1996 abbiamo diviso la stessa casa, seppur con qualche problema di convivenza, normale in tutte le coppie. Nel 1996 Carlo ha accettato una proposta di lavoro negli Stati Uniti, dove si è recato nell’agosto dello stesso anno per perseguire la sua carriera di manager Informatico con la multinazionale statunitense Dole. Io sono rimasta in Italia e per i successivi 5 anni la nostra relazione è diventata un misto tra amicizia ed affetto. Nell’agosto 2002 Carlo si è trasferito nuovamente in Italia e abbiamo subito ricominciato la nostra convivenza, a Pozzuoli, dove io mi ero trasferita per questioni professionali. Carlo era deluso dalla sua vita di relazione negli Stati Uniti e voleva riprendere a vivere in Europa. Prima ha svolto delle consulenze specialmente in Inghilterra, poi ha accettato la posizione di Executive Officer per una società in Gibilterra, infine, ad aprile del 2004, ha accettato la posizione di Manager IT per una società irlandese che si occupa di prenotazioni alberghiere via internet.

Perchè era andato negli Stati Uniti?
Era il suo sogno. E realizzò il suo ’sogno’ di fare l’esperienza statunitense nel 1996. Già l’anno precedente, quando lavorava come capo progetto in JDEdwars, che ha sede a Denver, spesso vi si recava negli Stati Uniti per corsi di aggiornamento o consulenza. Era affascinato dal modo di vita e professionalità americano, e soprattutto era convinto che l’esperienza statunitense gli avrebbe dato delle ottime possibilità di carriera, o di costituire una sua società in Italia. Verso la fine del 1995 non era molto soddisfatto del suo lavoro in JD Edwars, avevamo anche qualche piccolo problema di coppia, decise così, l’anno dopo, nel ’96, appunto, di mollare casa, lavoro e compagna (ai tempi ero io), e cominciare questa nuova avventura. E’ stato negli Stati Uniti sei anni. La sua vita in America si snoda tra il successo, la carriera e i soldi, collezionando una lunga serie di flirt, frequentando anche donne più mature e con un difficile passato alle spalle.

Al rientro in Italia cosa fece, che tipo di vita lavorativa svolgeva, visto che, mi è parso di capire, che viaggiasse molto, sia in Europa che in Canada?
Come ho già detto, cominiciò a fare consulenze e trattare per la posizione di Executive Officer per una società in Gibilterra, la B.I.S.C.A, e per quest’ultimo motivo, visto che uno degli azionisti di B.I.S.C.A è canadese, ha viaggiato qualche volta in Canada.

Ci spieghi l’accaduto per il quale oggi siamo qui a parlare e Carlo è rinchiuso in un carcere americano con una condanna a 9 anni?
Nel 2004 ci siamo trasferiti insieme a Milano, dove ci eravamo conosciuti nel 1992, ed i nostri piani erano di continuare a vivere insieme, mentre lui telecommutava con l’Irlanda, visitando Dublino su base mensile. Nel luglio 2004, ad un controllo passaporti in Dusseldorf, dove si era recato per l’acquisizione di una società, Carlo è stato arrestato per un ordine di cattura internazionale della contea di Ventura, (California) risalente all’agosto del 2002, stesso mese e anno del suo abbandono degli Stati Uniti. Il 16 luglio 2002 Carlo si era recato per lavoro nel Missisipi, a Gulfport, dove intratteneva da più di tre mesi una relazione con una collega di nome Cecilia Howlels. Avrebbero speso la settimana lavorando in Gulfport e nel weekend festeggiando insieme in New Orlines. La ex convivente di Carlo, Rebecca White, realizzato che la storia tra loro due era davvero finita e sentendosi tradita e abbandonata, lo ha denunciato alle autorità di Ventura, per averla picchiata, rapita e violentata. La denuncia è stata presentata il 18 luglio 2002, mentre lui era a Gulfport, ma i fatti, secondo la presunta vittima, risalirebbero al 29 giugno 2002. Chi avesse voglia di leggere la denuncia, si renderebbe conto che già sul nascere questa denuncia avrebbe dovuto essere bloccata. All’arresto di Carlo, a Dusseldorf, insieme alla famiglia, abbiamo contattato il Consolato italiano di Colonia e l’Ambasciata italiana a Berlino. L’Ambasciatore in due occasioni scrisse al Ministro di Giustizia tedesco chiedendo di valutare bene il caso ed evitare l’estradizione, in quanto i fatti erano molto dubbi e le prove inesistenti, e la stessa denuncia non presentava estremi per procedere con l’azione legale. Naturalmente la Germania, che non entra nel merito delle accuse, avrebbe fermato l’estradizione solo nel caso ci fosse stata una richiesta in tal senso dall’Italia. Nel frattempo, in Italia, vennero coinvolti diversi politici e Ministri. I Ministri, così come la Corte Europea dei diritti umani, giustificarono il loro disinteresse a procedere sostenendo che gli Stati Uniti sono un Paese garantista e che per tanto bastava affidarci ad un buon avvocato. Nel frattempo, l’avvocato assunto prima dell’estradizione, Marilee Marshal, chiese un anticipo troppo alto per affrontare il processo -aveva già percepito una ingente somma di denaro per le prime investigazioni e per tentare di evitare l’estradizione. Dopo l’estradizione, Marilee Marshal abbandonò il caso, perché non avevamo la somma richiesta, 80.000 $, da anticipare per affrontare il processo. Estradato e arrivato in USA il 3 giugno 2005, Carlo fu affidato ad un avvocato d’ufficio americano, il quale mi consigliò un avvocato privato, in quanto il caso si poteva presentare duro e contorto essendo un accusa di violenza sessuale compiuta da uno straniero. Tra i nomi, mi indicò, come il migliore, Ron Bamieh. Mr. Bamieh, accettò l’incarico con un anticipo di 25.000$, somma molto inferiore a quella chiesta dalla Marshall, l’avvocato precedente che aveva chiesto 80 000$, naturalmente dopo averne percepiti precedentemente 25.000 per la consulenza, mentre Carlo era ancora in Germania. Nonostante il disappunto mio e di Carlo, per mesi Mr. Bamieh ha cercato un accordo con la pubblica accusa, pur di non affrontare il processo.

Torniamo in Germania, e all’estradizione negli Stati Uniti.
5 luglio 2004, Carlo viene arrestato in Germania e subito vengono assunti l’avvocato tedesco Francesca Lieb e l’avvocato italiano Cesare Bulgheroni, dello studio Sutti a Milano. Furono fatti due ricorsi alla Corte tedesca e due alla Corte europea, per permettere l’estradizione in Italia. L’avvocato Bulgheroni fece aprire un fascicolo alla Procura milanese, secondo la nostra legge, un italiano accusato all’estero di violenza sessuale può essere processato in Italia. La procura italiana richiese una rogatoria agli Stati Uniti la cui risposta arrivò dopo 5 o 6 mesi, e solo a seguito delle insistenze da parte nostra e dell’avvocato verso il Ministero. La mamma di Carlo, nell’aprile del 2005, manifestò sotto il Ministero di Giustizia, fu accolta dall’allora Ministro Castelli che
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Messaggi

  • Dall’articolo non si capisce perchè il reato sarebbe "impossibile" comunque è noto che il sistema giudiziario americano fa acqua da tutte le parti. Partecipai ad un congresso di avvocati a S.Francisco alcuni anni fa e mi confrontai con molti colleghi e colleghe americane di molti stati e quello che mi hanno detto è roba da far accaponare la pelle. Tanto per fare degli esempi: in molti stati i giudici sono di nomina politica per cui l’unico requisito è essere finanziatori della campagna elettorale del governatore o suoi parenti , la laurea è un optional tanto che la maggior parte di loro è laureata in filosofia o storia ed alcuni non sono laureati;mancano le aule(scordatevi i film)per cui per la maggior parte delle udienze si svolge affittando camere d’albergo di alberghetti fuori mano e quindi economici; manca personale per i continui tagli di bilancio(cosa che peraltro sta avvenendo anche da noi); gli avvocati di ufficio sono giovani che vogliono fare esperienza sulla pelle di poveracci, sono pagati malissimo e per pagare i debiti d’onore(le università sono carissime) accettano un numero di casi spropositato tanto che talvolta dormono in aula(verissimo), inoltre certe volte non fanno l’interesse del loro cliente perchè sperano, mostrandosi compiacenti, di essere assunti dalla contea come avvocati dell’accusa; in alcuni stati i giudici sono votati col rischio di votare il più "piacione" e non il più preparato; solo in pochi stati si fa un esame per giudice; il sistema è estremamente complesso con un gran numero di coti di contea, distrettuali, federali con conseguenti difficoltà di giurisdizione ed un numero di appelli quasi infinito che, teoricamente dovrebbe garantire l’imputato, ma in pratica garantisce solo ricche parcelle; essendo votati o di nomina politica tendenzialmente i giudici perseguono più i reati compiuti da poveracci che da persone di un certo rango dato che i poveri raramente si iscrivono nelle liste elettorali oppure quei reati che finiscono sui giornali e quindi possono garantire notorietà e rielezione(negli S.U. l’azione penale è a discrezione del giudice) ed ecco anche perchè gli stranieri che compiono reati negli Stati Uniti è meglio che si raccomandino a qualche santo e si preparino a sborsare almeno un centinaio di migliaio di dollari.
    In queste condizioni il rischio di errori giudiziari è fortissimo tanto che da uno studio di un’ università americana (purtroppo ho scordato il nome ma mi pare Yale)almeno un terzo dei condannati è innocente o avrebbe avuto diritto a pene molto inferiori (famoso è rimasto il caso di un sedicenne nero condannato a morte per un omicidio ma era in aula per aver rubato un’autoradio ma il suo avvocato dormiva e non si è accorto dello scambio di fascicoli). Morale? Tutto è possibile!