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Contributo alla riunione del comitato direttivo di Punto Rosso del 27 maggio p. v.

Publie le lunedì 30 maggio 2005 par Open-Publishing

Contributo di Luigi Vinci (Punto Rosso)

Milano, 19 maggio 2005

di Luigi Vinci

Siamo periodicamente obbligati all’analisi della situazione dell’area politica, sociale e di movimento della sinistra di alternativa e alla definizione del percorso della sua ricomposizione in un soggetto politico unitario dotato di ampia influenza e di durevole capacità di mobilitazione. Infatti la condizione magmatica di quest’area ne cambia periodicamente la situazione e impone periodicamente l’aggiornamento delle azioni dal lato della sua ricomposizione. Si noterà il carattere di massima di queste formulazioni. Il fatto è che la prospettiva organizzativa di questa ricomposizione andrà definita dal complesso dei suoi attori politici, sociali e di movimento e che tentare di presupporla sarebbe un errore assai grave, quasi quanto l’errore di proporle il ricalco delle forme organizzative tradizionali (novecentesche) di partito.

1. La situazione appare complicata e incerta, intanto, sul versante della sinistra politica di alternativa e segnatamente del suo attore di gran lunga più coerente riguardo alla prospettiva della ricomposizione dell’intera area e cioè di Rifondazione Comunista. Le elezioni regionali sono state un test importante delle potenzialità e dei limiti di Rifondazione. Le potenzialità sono segnalate innanzitutto dallo straordinario risultato pugliese. Nel momento in cui Rifondazione riesce a rompere la resistenza della sinistra moderata a esperienze di democrazia partecipativa e di elaborazione dal basso del programma essa apre pure la strada a grandi risultati di partecipazione e di consenso. Le potenzialità inoltre sono segnalate dalle diffuse simpatie nel popolo di sinistra, segnatamente nelle forze di movimento. Tuttavia il risultato delle elezioni regionali, quello delle amministrative siciliane più recenti e lo stesso risultato di lista pugliese indicano anche l’esistenza di un limite in parte anche strutturale delle potenzialità di Rifondazione; essa quindi non riesce a raccogliere direttamente su di sé il consenso della maggioranza di quel popolo di sinistra che propende per un’alternativa di sistema, di quello che, in altri termini, hanno sedimentato le grandi mobilitazioni new global e pacifiste di questi anni e che direttamente o indirettamente si raccoglie in una miriade di organismi sociali, culturali, ecc. grandi e piccoli, in una parte della base elettorale dei DS e in parti importanti della CGIL.

La questione andrebbe analizzata con attenzione da parte di Rifondazione stessa. L’impressione è che questo partito proponga a quel popolo di sinistra che propende per un’alternativa, e più in generale al popolo di sinistra tout court, un sovraccarico di legami alla storia e ai simboli di una parte della sinistra del Novecento che da un lato è molto complicato e dall’altro è accettabile solo da una minoranza, data quanto meno la tragedia di questa storia. Le nuove mobilitazioni di movimento è evidente che si muovono ricostruendo simboli e linguaggi, più in generale tendono a un paradigma nuovo della trasformazione sociale, inoltre è evidente che questo fanno a partire da obiettivi pragmaticamente definiti: non può perciò che derivarne un’estraneità e a volte anche una diffidenza dinanzi al sovraccarico di cui sopra proposto da Rifondazione. In più l’impressione è che sia in parte riuscita nei mesi scorsi un’operazione della sinistra moderata di caratterizzazione di Rifondazione come sorta di partito dei pierini, rinviando alle calende greche la sfida sulle "primarie" e così impedendo a Rifondazione di cominciare a esprimere in modo organico ed efficace la sua idea di uscita del paese dalla sua crisi economica, sociale, morale, istituzionale. Questo per la chiarezza non significa che la sfida a Romano Prodi sulle primarie non sia stata una notevole idea, cioè un tentativo che andava fatto di avvio di una discussione a larga partecipazione sul programma e un tentativo di definizione delle candidature alle presidenze regionali sempre tramite larga partecipazione. E infatti è stato proprio questo tentativo ad aprire tecnicamente e politicamente la strada all’affermazione di Nichi Vendola. Ma il fatto è pure che la sinistra moderata quell’idea ha saputo neutralizzarla, tirando per le lunghe, e parimenti ha saputo gestirla a negativo per capitalizzare lei il desiderio unitario elementare nel popolo di sinistra di unità contro il governo della destra. Si può infine forse aggiungere che Rifondazione ha tardato negli anni scorsi a capire l’esistenza in Italia, per la particolare configurazione della destra, di un rischio elevato sul versante della qualità della democrazia e quindi ha ritardato a porsi in sintonia con il desiderio del popolo di sinistra di unità per battere la destra.

Queste considerazioni benché naturalmente parziali e approssimative ci aiutano a mettere a fuoco alcuni ragionamenti generali e alcuni compiti. I ragionamenti. Il primo è che l’orientamento di internità e non egemonico rispetto al movimento adottato da Rifondazione costituisce un contributo molto importante alla prospettiva di ricomposizione dell’intera area di sinistra di alternativa; il secondo è che Rifondazione tuttavia non è strutturalmente in grado di fungere da nucleo aggregante; il terzo è quindi che occorre che entrino in campo in quest’area anche altre soggettività politiche; il quarto è che questo tuttavia non deve poi significare andare a una coalizione di ceti politici, che sarebbe di fatto un tentativo egemonico di ceto politico sul movimento, quindi in concreto che l’operazione FED di sinistra proposta qualche tempo fa da Asor Rosa e da Rossana Rossanda è un errore; il quinto è che quindi occorre che eventuali altre soggettività politiche si distinguano per una modalità simbolica e linguistica adiacente a quella del movimento, inoltre si distinguano per modalità di organizzazione di sé simili a quelle a rete proprie delle esperienze di movimento, pratichino un’idea non egemonica e di internità al movimento; il sesto è che queste soggettività evitino di entrare in emulazione a Rifondazione ma le siano per così dire complementari, operino accanto a essa, cooperino con essa elettoralmente, ecc.; il settimo è che esse non siano tuttavia associazioni collaterali subalterne ma abbiano una loro reale autonomia di posizione e di iniziativa. Insomma se Rifondazione da sola non ce la può fare un sodalizio di organismi politici può invece farcela. I compiti. Il primo è che si tratta di insistere nella nostra iniziativa di elaborazione di obiettivi, così come è stato con il nostro appoggio all’esperienza di Altra Lombardia, e di stimolo a esperienze di democrazia partecipativa, in vista delle elezioni politiche nonché di quelle amministrative dell’anno prossimo; il secondo è che queste iniziative vanno rivolte a una platea la più larga possibile di popolo di sinistra; il terzo è che quindi esse vanno intraprese, in modo particolare per quanto riguarda le elezioni amministrative, in una relazione unitaria allargata con organismi culturali, sociali e di movimento; il quarto è che si tratta di dare un contributo deciso e incondizionato a ogni tentativo di costituzione di soggettività politiche di sinistra di alternativa con i caratteri appena detti. Infine c’è anche da ragionare su cosa proporre al movimento: ma questo lo vediamo più avanti.

2. Questo ragionamento rinvia ovviamente anche all’esperienza recente di Altra Lombardia. Si è trattato intanto di un’esperienza esemplare, pur con tutti i limiti del suo carattere locale, dal punto di vista della costituzione di quel tipo di soggettività politica; inoltre di un’esperienza esemplare dal punto di vista del rapporto a Rifondazione Comunista, quanto meno alla sua federazione milanese, essendo poco chiaro perché a livello nazionale e su Liberazione essa non sia stata valorizzata. In secondo luogo si è trattato del primo smarcamento politico non parziale e perciò non suscettibile di "rientrare" da parte di componenti di partito, di sindacato e di movimento dentro o contigue ai DS. In altre parole Altra Lombardia ha anticipato il processo che dopo le elezioni regionali è suscettibile di precipitare sulla scia delle dimissioni di Pietro Folena dai DS, della sua proposta di costituzione di un’associazione politica e dell’interesse manifestato nei confronti di questa proposta da parti importanti della CGIL e di altri organismi.

Si tratta qui di un’opportunità da cogliere in tutta quanta la sua notevole potenzialità e quindi da appoggiare con molta determinazione e al tempo stesso con molta attenzione nei confronti delle specificità e delle esigenze delle forze e delle figure che coinvolge e dei problemi che ha di percorso. In particolare non può essere in alcun modo sottovalutato che essa è suscettibile di raccogliere una parte non piccola del disagio in quel popolo di sinistra che è contiguo ai DS per gli orientamenti moderati e subalterni del gruppo dirigente di questo partito così come una parte non piccola della CGIL; e a monte di ciò non può essere sottovalutato che smuovere a sinistra parte di questa gente sino a emanciparla da ogni subalternità ai DS, politica, culturale, elettorale, è tra le condizioni importanti (non l’unica, certo: però necessaria) della costituzione della sinistra di alternativa in un soggetto politico unitario effettivamente dotato di ampia influenza e di durevole capacità di mobilitazione. Non si tratta di bubbole. Come abbiamo visto con Altra Lombardia una grande quantità di ex militanti o anche di militanti DS, operanti o meno nella CGIL, non solo è in sofferenza ma è alla ricerca di un riposizionamento politico. Inoltre abbiamo visto che perché questo riposizionamento cominci ad avvenire occorre che qualche figura di rilievo dentro a questa parte della sinistra funga da catalizzatore. Con Altra Lombardia questo è avvenuto avendo come catalizzatore la figura di Mario Agostinelli, in sede nazionale questo può avvenire avendo in questo ruolo la figura di Pietro Folena, e naturalmente altre che a lui si associno. Occorre anche sottolineare che non esistono muraglie cinesi tra le aspettative di leadership credibili in questa parte del popolo di sinistra e in quello degli organismi di movimento: lo dimostra il fatto che quando Sergio Cofferati si candidò alla guida del movimento la quasi totalità del movimento guardò a lui con entusiasmo. Come insegna Gramsci i partiti nascono quando già alcune loro condizioni si siano costituite, e tra queste oltre a una base attiva e di simpatie di una certa consistenza e a quadri diffusi c’è anche un embrione di gruppo dirigente: e la necessità di tali condizioni e in particolare dell’ultima non appare oggi per nulla venuta meno rispetto a ieri, benché siano molto cambiate le aspettative relative all’esercizio e alle forme organizzate della politica. In un incontro con Pietro Folena e Francesco Martone abbiamo quindi discusso di una disponibilità di Punto Rosso non solo ad appoggiare il loro lavoro di costituzione di un’associazione politica ma anche a farne parte.

Giova anche sottolineare che l’appoggio a questo lavoro andrebbe dato non solo perché il suo contenuto coincide con la nostra prospettiva ormai "storica" orientata alla ricomposizione della sinistra di alternativa ma anche perché quest’appoggio appare tra le condizioni importanti del successo di questo lavoro. In politica d’altronde gli obiettivi si realizzano praticandoli, non certo stando a guardare cosa succede.

Si pone anche qui la necessità di mettere a fuoco qualche compito. Si tratterebbe in primo luogo di impegnare su questo versante la nostra influenza, i nostri legami, che non sono solo milanesi, la nostra capacità di riflessione, di proposta e di iniziativa. Si tratterebbe in secondo luogo di allargare il potenziale espansivo di quest’associazione oltre i confini di ciò che può venirle dal versante DS e da quello della CGIL e cioè di consentirle di comprendere pure figure e forze di movimento di altra posizione culturale e di altra storia politica.

3. La situazione vede anche una difficoltà sul versante del movimento nel senso precisamente di una sua difficoltà in sede di realizzazione di grandi mobilitazioni di significato generale. In parte si tratta dell’effetto della convinzione abbastanza diffusa di non esserci riusciti a fare i risultati che le grandi mobilitazioni da Genova in avanti, contro la globalizzazione capitalistica o contro la guerra, si proponevano. In realtà le grandi mobilitazioni sono state fondamentali in tutto l’Occidente e forse non solo e in modo particolare in Italia nella determinazione di grandi cambiamenti di opinione pubblica, quindi per esempio nella modificazione in Italia degli orientamenti elettorali di maggioranza: tuttavia alle mobilitazioni hanno partecipato e soprattutto hanno guardato masse di popolo anche elementari, poco sperimentate politicamente, quindi semplicemente orientate a sperare in un risultato immediato anziché riuscire a guardare anche alla conquista di posizioni, dato il carattere necessariamente articolato della lotta politica nelle condizioni dell’Occidente. In parte inoltre si tratta dell’effetto del fatto che il pragmatismo e il carattere magmatico (anche per la grande quantità di organismi particolari) del movimento non gli hanno consentito di tenere a bada la pletora di operazioni settarie di cui è stato oggetto, promosse da grandi e piccole organizzazioni politiche, da gruppi di scolastici e a volte anche da stati maggiori di associazioni, quindi di tenere a bada le attitudini alla competizione capitalistica e alla bega in permanenza tra microapparati o microgruppi dirigenti o microleader. In parte infine si tratta del fatto che il movimento a un certo momento ha guardato a Sergio Cofferati come all’agente della sua ricomposizione politica ed è stato buggerato. Tuttavia le grandi risorse umane, politiche, culturali e morali del movimento non solo continuano a esserci ma si sono ancora espanse. Esso infatti attualmente è impegnato su una notevole quantità di obiettivi più focalizzati ma al tempo stesso di enorme significato sia per il merito che sul terreno simbolico: basti pensare alla battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, a quella contro la riforma Moratti della scuola, a quella contro la direttiva Bolkestein, a quella contro la legge 30, al referendum sulla fecondazione assistita, alle mobilitazioni a difesa della Costituzione, alle mobilitazioni ovunque contro il saccheggio del territorio.

Giova fare anche presente come il movimento lavorando a fondo sugli orientamenti della popolazione italiana abbia lavorato anche nel senso di radicalizzazioni più o meno significative sul versante della sinistra moderata, contribuendo così non solo alla creazione di zone di disagio per la subalternità al liberismo e agli Stati Uniti di Bush ma riorientando a sinistra più o meno significativamente quadri e militanti e non solo sui tempi della lotta al liberismo e alla guerra ma sulla democrazia partecipativa, i beni comuni, la ridemocratizzazione della democrazia, la trasformazione sociale. Non inganni dunque il fatto che di "esponenti" di rilievo se ne stiano oggi separando pochi dai DS: ciò che conta è la portata potenziale in basso del processo di smarcamento che si è avviato e inoltre che esso investa estesamente la CGIL.

4. Dobbiamo tuttavia chiederci pure se nell’attuale frazionamento del movimento su temi e obiettivi specifici ci sia anche un’indicazione magari solo embrionale relativa a una sua potenziale riunificazione su un obiettivo generale. Abbiamo avuto una sorta di primo ciclo di grandi mobilitazioni con l’obiettivo di "un altro mondo possibile" e un secondo ciclo con l’obiettivo del ritiro delle truppe italiane dalla guerra di Bush e dei suoi satelliti all’Iraq: c’è quanto meno in nuce la possibilità di un terzo ciclo?

Una risposta positiva forse c’è: tutto quanto si sta attualmente muovendo, sul piano delle mobilitazioni dei lavoratori o comunque di natura sociale come su quello delle mobilitazioni contro la privatizzazione dell’acqua o contro la legge sulla fecondazione assistita o la riforma Moratti ecc. come su quello della difesa della democrazia, tende a combinarsi sempre più esplicitamente all’aspettativa della cacciata della destra prima possibile dal governo e comunque tende intensamente ad auspicare una vittoria elettorale dell’Unione. Inoltre sono in queste mobilitazioni obiettivi che vogliono essere accorpati al programma dell’Unione, se non verranno strappati prima, o comunque obiettivi e attese che richiedono di essere elaborati in obiettivi di programma da parte dell’Unione. Dobbiamo dunque esplorare la possibilità di trasformare quest’aspettativa e questi obiettivi di programma espliciti o impliciti delle attuali battaglie di movimento in una serie di iniziative e di passaggi che portino a grandi mobilitazioni generali di movimento e più in generale del popolo di sinistra. Ci sono state le grandi giornate per "un altro mondo possibile", quelle contro la guerra, perché no allora una grande giornata per la cacciata della destra dal governo, una grande manifestazione a Roma, una grande giornata di manifestazioni locali, ecc.?

Un eventuale incremento delle mobilitazioni attuali nel senso della loro ricomposizione in un movimento generale, giova sottolineare, sarebbe anche di grande ausilio nella correzione della situazione attuale in fatto di elaborazione, o meglio di non elaborazione e di polverone, del programma dell’Unione, in parte per i corposi residui culturali liberisti in testa al grosso dei suoi ceti e delle sue figure principali, in parte per le proposte politiche liberiste o i pasticci sul versante della partecipazione italiana all’occupazione USA dell’Iraq che ogni tanto questa o quella figura tira fuori, in parte per l’irresolutezza e probabilmente l’indifferenza ai contenuti di Romano Prodi, in parte per l’emergente tentativo di ricomposizione di un centro politico moderato da parte della maggioranza della Margherita, in parte per la debolezza del rapporto di forze della sinistra politica di alternativa alla sinistra moderata, in carenza di grandi mobilitazioni generali, in parte per l’attitudine della sinistra politica di alternativa a preferire l’insistenza su questo o quello slogan anziché impegnarsi con vigore anche in proposte di programma dotate di una qualche organicità. Tutto ciò ovviamente configura un rischio di debolezza delle future mobilitazioni elettorali dal lato dell’Unione e dei partiti che la compongono e offre alla destra qualche opportunità di recupero della sua attuale crisi verticale di consenso.

Riprendiamo così il ragionamento sui compiti. Si tratterebbe, ovviamente dopo aver discusso se quest’ipotesi di un terzo possibile ciclo di mobilitazioni generali obiettivamente regge e aver eventualmente capito che sì, di proporla pubblicamente, di costruirci assemblee pubbliche, di discuterla con il complesso delle nostre interlocuzioni di movimento, sociali e politiche. Si tratta poi, e dobbiamo averlo molto chiaro ed essere su questo molto determinati, e che quest’ipotesi valga o non valga, di lavorare a contribuire alla costruzione di un programma di fase dell’Unione, in vista delle elezioni politiche, che definisca l’uscita del paese dalla crisi generale nella quale le politiche liberiste di quindici anni, le politiche restrittive di bilancio imposte dai Trattati europei e l’irresponsabilità affaristica della destra l’hanno infilato, con significativa attenzione a una combinazione tra operazioni di periodo di risanamento economico, democratico, istituzionale e morale e misure che ricostituiscano rapidamente coperture sociali, protezioni del lavoro dipendente e miglioramenti delle condizioni materiali della maggioranza sociale.

5. Proviamo in ultimo ad allargare l’angolatura del ragionamento. Perché la ricomposizione della sinistra di alternativa in soggetto politico unitario appare oggi più che mai necessaria.

La risposta nei suoi termini generali è molto semplice: perché la separazione, il carattere di parzialità incomplete, per molti aspetti mutilate, e quindi il carattere frammentario sul terreno dell’iniziativa propri sia delle componenti politiche che di quelle sociali e di movimento della sinistra di alternativa impediscono alle une e alle altre di riuscire a trasformare la conquista di posizioni e i risultati parziali in uno sfondamento politico, cioè in un riequilibrio stabile dei rapporti tra sinistra di alternativa e sinistra moderata e in una prospettiva di governo che oltre a una prospettiva di rimedio ai guai del paese e ai disastri sociali provocati dal liberismo e dal governo della destra sia anche una prospettiva di trasformazione sociale. Questa prospettiva è all’ordine del giorno in America latina; dobbiamo riuscire ad aprirla anche in Europa.

Vediamo meglio. Non è il caso di esporre un ragionamento, sarebbe troppo lungo, sulle ragioni della crisi della sinistra, moderata o di alternativa, in Italia come in Europa occidentale, sulle ragioni più in generale di crisi della democrazia, quindi della partecipazione politica; giova invece richiamare gli effetti più rilevanti e che più ci interessano di questa crisi. Basta infatti questo richiamo a far comprendere la necessità di quella ricomposizione. Sul versante della sinistra di alternativa si ha una condizione di povertà qualitativa abbastanza impressionante: la sua militanza si è enormemente ridotta di competenze e di presenze nel complesso del tessuto sociale, è in larga parte ripiegata in attività tutte interne o di generica propaganda, è spesso fratta in componenti settarie e rissose; i suoi gruppi dirigenti appaiono spesso casuali e di basso profilo; lo stesso le sue rappresentanze istituzionali. Press’a poco identica è la situazione della sinistra moderata, benché essa disponga di ben più significative risorse umane e di quadri. Tuttavia non c’è esperienza di movimento o lotta sociale o sul territorio che non veda impegnati militanti di Rifondazione Comunista, DS, anche verdi o Comunisti Italiani; ma parimenti essi in genere agiscono in proprio, con supporti deboli o il più delle volte inesistenti da parte dei loro partiti. Sul versante degli organismi sociali e di movimento si è invece avuta un’espansione e mette soprattutto conto di sottolineare come competenze, esperienze, capacità di mobilitazione sociale, capacità di campagne mirate siano ormai largamente centralizzate in questi organismi. Tuttavia questa militanza non riesce a fare il salto del passaggio alle altre forme di esercizio della politica, tra le quali quelle fondamentali del livello istituzionale e del livello di governo (beninteso ciò non significa che gli organismi di movimento dovrebbero occuparsene direttamente: però dovrebbero occuparsene attentamente, intelligentemente e durevolmente); inoltre questa militanza sconta il carattere altamente ciclico delle sue capacità di mobilitazione. Si è così venuta costituendo una divisione del lavoro che vede i partiti occuparsi sempre più solo o quasi solo di elezioni e di politica in sede istituzionale e di governo e gli organismi di movimento di mobilitazioni e di campagne. Va detto in modo molto chiaro che questa divisione del lavoro va rotta: essa è pericolosissima, tende in concreto infatti a lasciare quasi tutto il campo di sedi fondamentali della politica e della prospettiva del governo alla sinistra moderata. Si tratta in altri termini di una condizione che tende semplicemente a lasciare intatto l’esistente sociale capitalistico, con il suo liberismo o il suo semiliberismo e le sue guerre.

6. A sua volta anche una politica orientata alla ricomposizione della sinistra di alternativa può avvalersi di un ragionamento breve e in larga parte intuitivo. C’è infatti relativamente poco da inventare riguardo alle sue coordinate generali: si tratta quanto meno oggi della composizione in una rete sempre più strutturata e capace di agire in modo coordinato su tutti i terreni della politica e della mobilitazione sociale del complesso delle forze politiche, sociali e di movimento che aderiscono alle idee della lotta al liberismo e alla guerra proposte dai movimenti new global e pacifisti, che aderiscono agli obiettivi della difesa dei beni comuni e dell’allargamento della loro sfera, che individuano nella democrazia partecipativa non solo un mezzo efficace della mobilitazione sociale e della ridemocratizzazione della politica ma anche il modo, in solido alla democrazia rappresentativa, dell’autogoverno sociale e della trasformazione sociale. Più in là si vedrà. Non mancano comunque in giro per il mondo esperienze di ricomposizione, dal Brasile all’Uruguay.

Qualcosa meno di cento e cinquantotto anni fa Marx ed Engels buttavano giù a Bruxelles in una locanda sulla Grande Place una bozza del Manifesto del partito comunista: nel quale sta scritto che i comunisti non intendono essere separati dal "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" bensì semplicemente esserne la parte che gli propone un processo di emancipazione umana universale e totale; che quindi essi non intendono in alcun modo imporsi al movimento reale come suo comando e forzarlo a darsi obiettivi e a prendere strade diverse da quelle che esso stesso si dà attraverso la partecipazione attiva e discorsiva del complesso dei suoi membri e delle masse umane che vi si riconoscono e attraverso la sua diretta esperienza. E’ sembrato che Rifondazione Comunista decidendo la propria internità al movimento e dichiarando la rinuncia a ogni operazione egemonica nei suoi confronti proponesse una strada originale, nuova. Si è trattato invece della traduzione nel lessico contemporaneo e in nuove condizioni di ciò che indica il Manifesto. Niente di strano tuttavia che questa decisione sia apparsa come una strada nuova: il comunismo novecentesco è stato infatti prevalentemente e spesso esclusivamente orientato da una concezione militaresca del proprio rapporto al movimento e ai suoi organismi e da un’idea autoritaria e tutta elaborata in proprio del socialismo.

Anche la nostra esperienza milanese di questi anni, che consiste ormai da parecchio nella messa in rete di quanti fossero parte intelligente e propulsiva, quali che ne fossero le storie politiche, delle esperienze di mobilitazione di movimento e di quelle associative e sociali sottese e che è culminata recentemente nell’appoggio ad Altra Lombardia, si è mossa su queste coordinate. Naturalmente ognuno di noi l’ha elaborata con il linguaggio che gli è proprio, che non è necessariamente quello del Manifesto, in attesa che il movimento completi la produzione di un nuovo linguaggio comune e ne espanda l’uso. E oggi si può dire che questa nostra esperienza non solo ha avuto riscontri e riconoscimenti positivi sempre più ampi ma che ci ha pure insegnato in progress qualcosa sulle coordinate generali di una politica di ricomposizione della sinistra di alternativa. Infatti questa nostra esperienza ci ha consentito una crescita politica e culturale comune, di coinvolgere in questa crescita migliaia di persone, giovani soprattutto ma non solo, e così anche di produrre un percorso che non è più solo pragmatico ma è anche di costruzione di elementi di un paradigma comune della trasformazione sociale, e questo non in maniera cervellotica ma tenendo sempre i piedi per terra.

Si tratta perciò di continuare su questa strada, parimenti periodicamente di verificarla e di riaggiustarla.