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Contro la scissione, dialettica e coralità delle scelte
Publie le lunedì 26 gennaio 2009 par Open-PublishingContro la scissione, dialettica e coralità delle scelte
di Marco Albeltaro
L’uscita di Nichi Vendola e compagni dal Prc mette in evidenza almeno due elementi sui quali giova riflettere. Il primo è l’impiego della verità nella lotta politica; il secondo è invece la trasformazione molecolare che la cultura delle destre ha operato anche in una parte della sinistra.
La verità dunque. «In politica si potrà parlare di riservatezza, non di menzogna nel senso meschino che molti pensano: nella politica di massa dire la verità è una necessità politica, precisamente» scriveva Gramsci nei Quaderni. Anche senza scomodare il Grande Sardo appare evidente che in una società fondata sulla menzogna e sull’inganno, il compito storico dei comunisti (di coloro cioè che intendono rivoluzionare la società partendo proprio dalle sue fondamenta) sia di opporre alla menzogna imperante dei granelli di verità, tentando di andare ad inserirsi nei suoi più subdoli meccanismi, bloccandoli.
Ma la verità nel nostro partito è stata, evidentemente, solo unilateralmente perseguita. E non da Nichi. Vendola si è infatti sperticato nelle settimane del Congresso a dire che lui ed i compagni che lo seguivano non pensavano ad alcun superamento del Prc. Che l’esistenza di Rifondazione non si discuteva e via seguitando. Si supponeva perciò che quelle rassicurazioni fossero valide non solo per il frangente di tempo in cui venivano pronunciate (della serie «non penso di distruggere Rifondazione» e poi, sottovoce, «almeno nei prossimi cinque minuti»…) ma anche per il futuro. Anche, verrebbe da dire, nel caso, poi verificatosi, di sconfitta al Congresso.
Toccò invece alle compagne ed ai compagni dei documenti che sarebbero poi andati a costruire la maggioranza raccoltasi attorno a Paolo Ferrero sentirsi additare come falsificatori e menzogneri perché impegnati a denunciare il progetto liquidazionista di Nichi Vendola. L’amara ironia della Storia ci mostra ora uno scenario chiaro. Vendola mentì. Mentì spudoratamente perché non è credibile che la sconfitta al Congresso abbia rappresentato un momento di non ritorno, un evento in cui Rifondazione comunista è divenuta un’altra cosa rispetto a ciò che era stata nel passato. La sconfitta al Congresso è stata invece il pretesto per realizzare il progetto che Nichi avrebbe realizzato anche vincendolo: fondare una nuova forza politica che andasse oltre il Prc. Questo evento è sintomtico del secondo elemento di riflessione che ho posto all’inizio dell’articolo: la degenerazione culturale che ha intaccato una parte della sinistra.
Ciò che più rende manifesta la degenerazione è l’individualismo. È l’elemento individuale che schiaccia quello collettivo.
Un Congresso è un luogo di confronto, di dialettica. È un momento di costruzione politica. È l’avvio di una nuova fase per un partito ed ha come finalità, oltre alla sanzione di una linea politica, anche l’apertura di un nuovo dibattito tra vincitori e sconfitti. Un Congresso è ciò che i congressi sono stati nel Prc fino a Chianciano: uno spazio di confronto e (anche) di scontro.
Io ne ho “persi” tanti di Congressi, tranne l’ultimo. E non mi è mai balenata per la testa l’idea di abbandonare il partito solo per il fatto di non condividere la linea maggioritaria. Non sono uscito nemmeno quando qualcuno indicò la porta a chi non era d’accordo. Ed ho lavorato con tante compagne e compagni per il partito in tanti momenti difficili. Molti hanno lavorato per le primarie anche quando non ne condividevano l’impiego; per la campagna elettorale per la Sinistra l’Arcobaleno anche quando quella scelta provocava l’orticaria e via seguitando. Quando insomma si è anteposto al proprio momento individuale quello collettivo mostrando di essere comunisti. Di fare i comunisti.
E di non anteporre la scelta individualistica (come invece la destra suggerisce di fare) alla coralità che ha fatto (e fa!) del Prc un partito rivoluzionario. Di impiegare, infine, proprio quello strumento che la destra vorrebbe espungere dal lessico della politica: la dialettica; che è costruzione colletiva dell’egemonia e non sottrazione dalle proprie responsabilità.