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Cosa deciderà il vertice deL G20 ?

Publie le lunedì 21 settembre 2009 par Open-Publishing
2 commenti

lunedì 21 settembre 2009

Temo proprio che anche stavolta, nonostante sia stato chiamato in causa per oltre due anni, il mai troppo compianto John Maynard Keynes non avrà modo dall’alto dei cieli di vedere la nascita di un ordine economico internazionale meno ingiusto di quello che, nonostante la sua ferma opposizione, nacque nel lontano 1944 a Bretton Woods, la seconda importante conferenza internazionale cui ebbe modo di partecipare, ma che forse lasciò ancora più amareggiato di quanto lo fosse abbandonando i lavori della conferenza di pace di Parigi dopo la fine del sanguinosissimo primo conflitto mondiale.

Certo, quel sistema dollarocentrico ma ancorato a quel relitto barbarico dell’oro era molto più ordinato e regolato di quello esistente nel luglio del 2007, poco prima che prendesse vita la tempesta perfetta, perché nessuno dei partecipanti a quella conferenza avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare quella miscela di globalizzazione, finanziarizzazione e deregolamentazione selvaggia che ha fatto seguito alla dichiarazione unilaterale di inconvertibilità del dollaro in oro decisa da Nixon il 15 agosto del 1971.

Nonostante le dichiarazioni di fuoco dei maggiori leaders mondiali, quel sistema regna incontrastato anche oggi, così come si è persa ogni traccia sia della nuova conferenza che avrebbe dovuto disegnare le nuove regole e i nuovi limiti cui sarebbero state soggette le varie entità operanti nel mercato finanziario globale, sia della riforma delle agenzie di rating, per non parlare della tela di Penelope tessuta prima dal Financial Stability Forum e poi dal Financial Stability Group, entrambi presieduti dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi.

I venticinque mesi di vita della tempesta perfetta sono stati fittissimi di incontri formali e informali tra i leaders del mondo industrializzato, ma nessuna misura concreta ha coronato questi spesso defatiganti incontri, pranzi, cene, con il dovuto corollario di incontri preparatori tra gli sherpa, mentre alcune delle decisioni scaturite sono andate in direzione diametralmente opposta rispetto all’impeto regolatorio dei vari Gordon Brown, Angela Merkel o Nicolas Sarkozy, ufficialmente esterrefatti di fronte ai comportamenti che avevano portato le economie dei loro paesi a un passo dal baratro.

Il rallentamento della caduta del prodotto interno lordo dei principali paesi industrializzati, il rally delle borse dopo i minimi toccati nel mese di marzo dell’anno scorso, la prosecuzione delle politiche più che accomodanti perseguite dalle banche centrali sono tutti elementi che hanno favorito una minore attenzione alla necessità di riforma, anche se vi è la piena consapevolezza che, in assenza di un serio sforzo in tal senso, molto difficilmente tornerà quella fiducia degli investitori indispensabile perché vi possa essere una vera ripresa.

Eppure vi è molta attesa per le decisioni che verranno prese nel corso della settimana che si apre nel vertice del G20 in quel di Pittsburgh, in particolare dopo la durissima requisitoria di Barack Obama sulla scarsa memoria degli uomini della finanza rispetto a quanto è accaduto nei primi venticinque mesi di tempesta perfetta, un atto di accusa veemente, ma che rischia seriamente di restare lettera morta se non riuscirà a convincere gli altri diciannove partecipanti al vertice che è oramai giunta l’ora di varare nuove regole e rafforzare la mission e i poteri degli organismi preposti a vigilare sui mercati finanziari, inclusa la neonata Authority che dovrebbe occuparsi della tutela dei consumatori statunitensi.

Marco Sarli

http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/09/cosa-decidera-il-vertice-del-g20.html

Messaggi

  • Caro Marco,
    quando sento parlare o leggo di neonate Autority mi assalgono cattivi pensieri così come quando vengono nominate le Commissioni d’Inchiesta.
    Sono io che sono pessimista, anche dopo aver condotto una quasi inutile battaglia dentro la BNL (gennaio 2002) per i Tango Bond?
    Saluti

    luigi

    • lunedì 28 settembre 2009

      Ho avuto seriamente la tentazione di non occuparmi di quanto è accaduto nel corso del vertice del G20 svoltosi nei giorni scorsi a Pittsburgh, l’ennesimo vertice che si è sostanzialmente occupato di stilare un agenda, di prendere in esame i quattro documenti elaborati dal Financial Stability Board e di decidere se in futuro sarà questa l’assise determinante per l’economia e la politica globale, ridimensionando il ruolo del G8 a poco più di un’occasione di dialogo tra vecchi amici, prima che ne venga sancita ufficialmente la soppressione.

      Eppure, almeno sulla carta, di carne al fuoco ve ne era davvero tanta, anche se, come al solito, si è visto molto più fumo che arrosto, pur dovendosi riconoscere lo sforzo di Stati Uniti e Cina nel delineare un accordo quadro che chiama i singoli paesi a prendersi le proprie responsabilità sugli squilibri strutturali da essi stessi prodotti.

      L’illusione che si trattasse di una nuova Bretton Woods è durata lo spazio di un mattino, anche se va detto che si è discusso della riforma dei due pilastri nati da quella conferenza storica, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, mentre si pensa di attribuire un ruolo più formale e istituzionale al Financial Stability Board, l’organismo presieduto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che, rispetto al precedente Financial Stability Forum, prevede la presenza di esponenti delle banche centrali di paesi che siedono a pieno titolo nel G20.

      Dei quattro documenti illustrati da Draghi, la stampa internazionale si è soffermata in prevalenza sulla questione dei compensi variabili dei banchieri, ma non meno importanti sono quelli che si occupano del cosiddetto moral hazard, cioè di quei comportamenti tenuti da entità protagoniste del mercato finanziario globale che contano abbastanza palesemente sul fatto che qualcun altro poi caverà loro le castagne dal fuoco, della questione del cosiddetto principio del too big to fail o della necessità di far transitare nei mercati regolamentati tutte o quasi le operazioni in derivati che spesso transitavano altrove.

      Sull’ultima di queste questioni, quella che riguarda l’immenso mercato dei derivati, qualcosa sta effettivamente accadendo, almeno stando alla lettera inviata dalle principali banche globali che si dichiarando disponibili a far transitare le loro operazioni attraverso la clearing house presso la Federal Reserve di New York, ma temo che la strada da percorrere per giungere a una situazione più regolata sia ancora lunga.

      Per quanto riguarda invece la questione della difficoltà di giungere al fallimento delle entità di grandissime dimensioni, credo che il chiarimento fatto di fronte a una commissione del Congresso dall’ex numero uno della Federal Reserve e attualmente consigliere di Obama, Paul Volker, dovrebbe aver fatto cadere le speranze degli investitori istituzionali, sui quali gravano una parte rilevante delle perdite complessive legate alla tempesta perfetta, di essere salvati al pari delle grandi banche, anche se è abbastanza difficile pensare che possano essere lasciati al loro destino i fondi pensione o grandi fondi di investimento.

      Il problema non è purtroppo soltanto accademico, ove si pensi che, oltre a una considerevole esposizione nei prodotti più o meno tossici della finanza strutturata, le non banche sono gravate dal 47 per cento dei prestiti sindacati di importo superiore ai 20 milioni di dollari a rischio, quasi metà cioè di un aggregato che, a seconda dei criteri utilizzati, va da 447 a 643 miliardi di dollari!

      Marco Sarli

      http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/09/il-g20-stila-lagenda-delle-cose-da-fare.html