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Dal ruolo del sindacato alla Palestina: i temi della prima giornata del social forum europeo
Publie le sabato 16 ottobre 2004 par Open-PublishingSi è aperto ieri a Londra il terzo social forum europeo.
Il movimento rilancia «Guardiamo al futuro»
di Salvatore Cannavò, Londra
Ad alcuni può sembrare un rito. Che si ripete identico negli anni. Un rito fatto delle stesse parole, degli stessi slogan, delle stesse conferenze, con gli stessi temi. C’è chi critica la struttura - troppo confusionaria - chi il sindaco di Londra - troppo manovriero - chi i gruppi di estrema sinistra. Resta una domanda di fondo: cosa spinge tanta gente a partecipare a un simile appuntamento? Ieri mattina le presenze si contavano già in ventimila, la conferenza sulla Palestina ne ha contati quasi duemila, quella sul Terzo mondo, 1500. C’è chi decide di seguire un seminario perché poi ci farà la tesi, chi invece perché lavora su quel soggetto da anni. Le motivazioni sono tantissime e attengono alla natura di uno spazio politico e ideale in cui la domanda di partecipazione è più forte dell’offerta e in cui la critica all’esistente trova ancora una risposta. Anche quando, come ora, affiorano difficoltà sul futuro e sulla prospettiva. Non a caso, tra i dibattiti più affollati di ieri ci sono state le tre sessioni - due al mattino e una nel pomeriggio - dedicate proprio al "futuro del movimento". Che ci siano difficoltà non lo nasconde nessuno, ad esempio nelle discussioni sulla composizione dell’agenda conclusiva e sulle priorità dei prossimi mesi con i francesi immersi nella Costituzione europea (Chirac ha indetto il referendum e la sinistra alternativa, compresa una fetta di socialisti, voterà no), gli inglesi alle prese con la guerra di Blair, i tedeschi con l’Agenda sociale di Schroeder, gli italiani con un 30 ottobre che va costruito con maggiore determinazione.
Il futuro del movimento
Ma un movimento che discute di tutto questo mostra una certa vitalità e dunque è difficile sostenere che sia in crisi. Nel dibattito di ieri, comunque, le domande più dirette le ha poste un ospite che ti aspetteresti sentir parlare d’altro: Tariq Ramadan. L’intellettuale musulmano ha esordito definendo il futuro del movimento soprattutto come un’occasione per «aprire le menti». E ha proposto due sfide, quella democratica all’interno del movimento stesso - «chi è che davvero prende le decisioni, come si garantisce la partecipazione? Lo chiedo come autocritica perché sono parte di questo movimento e voglio migliorarlo» - e quella, più generale, di fuggire dal rischio dell’eurocentrismo ma anche dall’ossessione dello scontro di civiltà e dall’ideologia della paura che la campagna contro il terrorismo sta alimentando in occidente. L’approccio di Ramadan, quello di guardare al futuro, alle prospettive, è l’approccio che caratterizza tutti gli interventi. Pierre Khalfa, di Attac France, che è intervenuto in mattinata, chiede anche lui cosa «vogliamo fare davvero» nel momento in cui l’ideologia neoliberista mostra segni di crisi senza però che il movimento sia ancora in grado di guadagnare dei risultati. «Siamo alla terza edizione del forum sociale europeo, dice l’esponente francese, eppure hanno realizzato la Costituzione europea; come invertiamo i rapporti di forza?». Lui propone di elaborare strategie di azione che puntino al rilancio delle mobilitazioni: la proposta è una grande manifestazione europea a Bruxelles sulle questioni sociali in occasione del Consiglio intergovernativo del prossimo 30 marzo. Alessandra Mecozzi, della Fiom, intervenuta alla stessa sessione, ripropone tre elementi cari all’esperienza del movimento italiano, l’unità ma anche la radicalità e, soprattuto, l’autonomia del movimento il quale deve essere capace di preservare le sue differenze e di farle divenire un valore. Anche lei non accetta la definizione di crisi del movimento così come la respinge Patrizia Sentinelli della segreteria di Rifondazione - «questo è un movimento destinato a durare» dice - che invita il Forum a riversarsi in miriadi di vertenze territoriali «anche per restituire valore al primato della politica».
Sindacato globale
La discussione sul futuro del movimento non può non fare i conti con la presenza e il ruolo del sindacato. Quello inglese è molto visibile e il fatto che la sala sponsorizzata dall’Unison - l’importantissimo sindacato dei lavoratori pubblici - si riempia del tutto per ascoltare la conferenza su "Privatizzazioni e aiuti al terzo mondo", tenuta da sindacalisti inglesi, colombiani, indiani e da intellettuali di movimento come George Monbiot, è significativo. Lo rileva anche Gianni Rinaldini, segretario della Fiom, che in mattinata ha partecipato a una delle conferenze introduttive - quella sulla "globalizzazione" - e che sottolinea come «dalla diffidenza si sia passati all’interesse». Il fatto è, dice ancora Rinaldini, che nonostante le difficoltà del neoliberismo la sua offensiva ha avuto un’accelerazione soprattutto nel contesto internazionale e su questo i sindacati sono ancora deboli. «Senza un livello internazionale non riusciamo neppure più a fare la contrattazione» e il social forum costituisce un «forte incentivo» in questa direzione. Un contributo in questo senso lo offre anche il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, che per un giorno mette da parte il dibattito interno ai sindacati o le sirene del patto sociale con Montezemolo e si sofferma sul ruolo del Wto, sull’interdipendenza dell’economia mondiale, su come tutelare anche a quel livello i diritti dei lavoratori.
Un Forum antirazzista
Le facce del forum sono multicolori, come quelle della maggioranza degli abitanti di Londra. Certo, il livello medio dei partecipanti risponde ai requisiti più tradizionali: giovani, bianchi, studenti per lo più. Le facce differenti sono una minoranza ma molte di loro popolano una partecipata conferenza contro il razzismo affiancata da forum e riunioni tematiche. A dominarli tutti, l’idea di rilanciare, da Londra, una giornata europea per i diritti dei migranti. La propone nella plenaria il presidente dell’Arci, Paolo Beni, e in serata l’assemblea di preparazione del meeting conclusivo la discuterà insieme alla manifestazione europea di Bruxelles, alla giornata mondiale contro la guerra che gli inglesi propongano si tenga il 19 febbraio e ad altre date.
Con la Palestina nel cuore
Se sulle altre iniziative il dibattito è ancora aperto, sulla Palestina ieri sono state ribadite alcune certezze. La prima è che questo popolo in movimento ha la lotta palestinese nel cuore. La vera e propria "standing ovation" che in serata ha salutato la presenza di Mustapha Barghouti e del refusnik israeliano Yonathan Shapira (il suo rifiuto di pilotare gli elicotteri ha fatto il giro del mondo) da parte di oltre duemila persone dicono di questo affetto e di questa solidarietà. La seconda è che la lotta contro l’occupazione deve fare un salto in avanti. Ieri sera Barghouti ha fatto una proposta: lanciare un movimento per le «sanzioni contro Israele», sul commercio d’armi, sugli affari, sui rapporti diplomatici. Su questo il Forum si è già reso disponibile a costruire una rete europea e a coordinare le iniziative, sapendo che non si tratta più solo di offrire solidarietà ma di battersi per una causa comune. Perché, come spiega Michel Warshawski nel seminario mattutino - nel quale intervengono due altri refusnik, Matan Kaminer e Adam Meor, appena usciti di prigione per la loro obiezione di coscienza contro l’occupazione dei Territori - «la Palestina è il modello della guerra globale permanente e il Muro è il simbolo concreto dello "scontro di civiltà". Quindi ci riguarda tutti, come l’Iraq, prima dell’Iraq. Anche qui si costruire un’agenda e si propongono iniziative: la prima è il 9 novembre, giornata mondiale contro la costruzione del Muro, la seconda il 10 e 11 dicembre, in cui si svolgerà la giornata europea di solidarietà alla lotta plaestinese.




