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Dalla scuola alle fabbriche per una nuova stagione di opposizione
Publie le lunedì 27 ottobre 2008 par Open-PublishingTutti in piazza, ma il governo dice che non ritirerà il decreto Gelmini
Dalla scuola alle fabbriche per una nuova stagione di opposizione
di Simone Oggionni, direzione nazionale
Ora il governo ha paura. E quando ha paura il regime mostra i muscoli e lancia avvertimenti, schierando le forze dell’ordine contro le occupazioni.
Il presidente del Consiglio ha tenuto a farci sapere che «non arretrerà di un millimetro», e cioè che il decreto Gelmini (e i tagli, e lo svilimento della ricerca e del carattere pubblico dell’istruzione) non sarà ritirato.
Nemmeno il movimento arretrerà di un millimetro. Pacificamente, continuando a ragionare, a produrre protesta e al contempo le proposte necessarie per garantire un’alternativa reale allo sfascio che è alle porte. Mettendo in rete tra loro, come stiamo facendo, centinaia di migliaia di studenti, di insegnanti, di lavoratori della scuola, di genitori. Tornando in piazza il prossimo 30 ottobre, dando continuità alla mobilitazione eccezionale di queste settimane.
E’ questo che fa paura al governo: la crescita quotidiana e massiccia di un popolo che rifiuta lo smantellamento della scuola e dell’università italiana, la decurtazione dei già esigui fondi che sostengono il traballante edificio della produzione del sapere nel nostro Paese. E quindi lotta. Si mette in gioco in prima persona. Occupa. Autogestisce. Manifesta.
Il governo Berlusconi vorrebbe ripristinare la legalità e l’ordine costituito con le cariche della polizia e gli sgomberi forzati. Come se quelle migliaia di studenti, di ricercatori, di insegnanti che in queste ore stanno difendendo, con i propri corpi e i propri presidi permanenti, scuole e università di tutta Italia non lottassero per un principio di legalità superiore.
Quella che la Costituzione, nella tutela della libertà di riunione e di espressione del proprio pensiero, ancora garantisce. Quella che, sempre sul piano del diritto, difende l’istruzione e il suo carattere pubblico, universale, di massa.
Per ostacolare questo bene si ribalta ideologicamente la realtà e si mette in campo lo Stato di polizia, minacciando di reprimere e soffocare.
Ma questa pratica repressiva e autoritaria dello «stato d’eccezione» è una realtà che già conosciamo, che il movimento nato nelle nostre università ha già conosciuto nell’estate di pochi anni fa a Genova, oppure durante le tante manifestazioni dei lavoratori e dei disoccupati di Napoli, oppure ancora a Vicenza, nel vivo delle lotte contro la base militare statunitense.
Ogni atto di violenza e di sopruso, passato e presente, è stato e sarebbe un colpo mortale alla natura democratica del nostro Paese, alla sostanza e allo spirito del nostro Stato di diritto.
Perché ci sono manganellate promesse, ma ci sono manganellate già date, anche in questi ultimi giorni convulsi e potenzialmente decisivi. Come quelle di Milano, che nella nostra memoria (perché i movimenti, come si sa, hanno la capacità di narrare e tramandare con una velocità straordinaria la propria storia) rimarranno a lungo.
E nelle cariche subìte, nelle percosse, nella violenza il movimento impara, si addestra. Ma - lo sappia Berlusconi - è un insegnamento apparentemente paradossale quello che ne trae. Perché alla violenza non reagirà con la violenza, ma con l’intelligenza, la creatività, la capacità critica e di discernimento, la bravura nel rinforzare i legami di solidarietà e di comunanza e nel diffondere, come un virus salvifico, le nostre ragioni e le nostre parole d’ordine.
Tutto questo lo metteremo al servizio di un unico fine: costringere il governo a ritirare il decreto Gelmini e, per questa via, aiutare il Paese a rialzare la testa, uscendo dal torpore di questi mesi e inaugurando epidemicamente una nuova stagione di opposizione. Dalle scuole e dalle università alle piazze, alle fabbriche, ai mille luoghi del conflitto sociale.