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Danno più di quanto ricevono
di Manuela Cartosio
Presentato il Rapporto Ismu 2008. Molti dati e qualche perplessità. Nel 2030 gli stranieri saranno 8 milioni. «Aperti, ma con giudizio»
Danno più di quanto ricevono, ci servono, però è il momento di mettere in discussione l’assioma dell’immigrazione come convenienza. È il succo del XIV Rapporto sulle migrazioni redatto dall’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) della Fondazione Cariplo. L’edizione 2008 è come sempre ricca di dati. Qui ci concentriamo soprattutto su quelli inerenti il lavoro e i costi per la finanza pubblica.
Per valutare l’effetto dell’immigrazione sulla finanza pubblica il rapporto ha calcolato il beneficio fiscale netto (la differenza tra quanto si riceve dal sistema pubblico e quanto si versa) dei migranti e ha stimato il loro accesso al welfare. Poi li ha confrontati con dati corrispondenti per gli italiani. Il beneficio fiscale medio annuo di questi ultimi (2.800 euro) è il triplo di quello degli immigrati. Gli italiani versano all’erario il 54% di imposte in più rispetto agli immigrati (guadagnano e possiedono di più), ma hanno un "ritorno" triplo. Dall’indagine non risulta un maggior ricorso al welfare da parte degli immigrati. Tra loro, mediamente più giovani degli autoctoni, i pensionati sono l’8,4% (contro il 32,7% degli italiani). Gli stranieri accedono in percentuale leggermente inferiore degli italiani ad assegni familiari, cassa integrazione, indennità di disoccupazione, borse di studio.
Per il primo trimestre del 2008 l’Istat ha censito 2,3 milioni potenziali lavoratori stranieri. Un dato sottostimato, secondo l’Ismu che sottolinea i quasi 3 milioni di stranieri assicurati all’Inail nel 2007 (ma molti con contratto a tempo potrebbero essere stati conteggiati più volte). I migranti che effettivamente lavorano sono 1 milione 519 mila. Di questi, 586 mila sono donne. L’86% ha un contratto a tempo indeterminato. L’80% lavora a tempo pieno, ma metà delle donne è a part time. In calo le assunzioni non stagionali. In calo anche le assunzioni di immigrati programmate dalle aziende: il 20% del totale nel 2008, a fronte del 27% dell’anno precedente. I dati sulla disoccupazione, anteriori alla scoppio della crisi economica, vanno presi con beneficio d’inventario. Gli stranieri disoccupati erano 159 mila, di cui 96 mila donne (il tasso della disoccupazione femminile - 14% - è doppio rispetto a quello maschile e aumenta nel Mezzogiorno, in linea con i dati totali nazionali). La maggior parte degli immigrati (870 mila, per due terzi donne) lavora nei servizi. 350 mila sono occupati nell’industria, 254 mila nell’edilizia, 50 mila nell’agricoltura.
Perché le aziende italiane assumono gli immigrati? E’ proprio vero che lo fanno perché non trovano italiani disponibili? Laura Zanfrini, docente alla Cattolica, ha parecchi dubbi in proposito. «La propensione a ricorrere a personale immigrato non si spiega con le difficoltà di reperimento incontrate dalle imprese. Si spiega semmai con la ricerca di una manodopera a buon mercato e con la propensione a riprodurre le tendenze all’etnicizzazione che hanno investito taluni mestieri e settori». Detto altrimenti: se le imprese pagassero di più, gli italiani disposti a fare quai lavori si troverebbero. Il ragionamento (se si escludono le badanti e i raccoglitori di pomodori) non è infondato. Ma va maneggiato con cautela: rischia di finisce diritto nella geremiade contro gli immigrati che «rubano» il lavoro agli italiani.
Dei 4 milioni e 300mila immigrati presenti in Italia, 650 mila - stima l’Ismu - sono irregolari. Nel 2030 saranno il doppio (proiezione Istat). Oggi ci sono 6 stranieri ogni 100 italiani, tra vent’anni ce ne saranno quasi 15. Ma l’apporto straniero non sarà sufficiente ad annullare la caduta della natalità e a impedire la crescita dell’indice di dipendenza degli anziani (il carico pensionistico e sanitario sul Pil). Quest’ultimo, senza stranieri, aumenterebbe del 54%. Con 8 milioni di immigrati, crescerebbe comunque del 43%. Questo futuro dietro l’angolo fa dire all’Ismu che è necessario smetterla con il «domandismo» (delle aziende e delle famiglie con il nonno da assistere) e con la logica della convenienza a breve raggio. «Gli immigrati non vanno valutati esclusivamente come risorsa per mandare avanti la produzione o per supplire alla bassa riproduttività degli italiani». Parole sante.
Ma poi si aggiunge: « E’ necessario che il ritmo dei nuovi ingressi vada di pari passo con le capacità della società ospite... Altrimenti, il fenomeno potrebbe accrescersi a ritmi patologici col rischio di generare più problemi di quanti sia in grado di risolvere». Di nuovo, il linguaggio è soft ma la ricetta non è molto diversa da quella leghista (o di un Pd eventualmente al governo). Ma non sarà Maroni a fermare i migranti. E neppure, senza offesa, l’Ismu.