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De ’Il caimano’, ovvero l’invasamento

Publie le giovedì 30 marzo 2006 par Open-Publishing
3 commenti

Nel film di Moretti ci siamo noi italiani.

In fondo tutti i protagonisti del film sono persone che B lo avevano votato, forse senza nemmeno capire perché, gente di vari tipi, piccola, un po’ fallita, ognuno molto preso nelle proprie piccole faccende personali, poco politicizzato, col suo piccolo caso male avviato, di strette vedute, con qualche tipizzazione: la moglie che si rifugia nella musica, l’attore porco, la segretaria fedele, il socio che si dà un’altra possibilità, le due lesbiche, i bambini ansiosi e tormentati alla ricerca dell’impossibile pezzetto di Lego giallo che dovrebbe completare l’insieme per dargli un senso ma non si trova, la famiglia che non lega più ma nello stesso tempo è afflitta da una psicosi da appiccicamento, il cattivo gusto imperante ma un cattivo gusto in cui si è perso anche il senso di ciò che potrebbe essere buon gusto. E’ la piccola commedia delle miserie personali.

Nella vicenda il popolo non c’è mai e, quando nell’improbabile finale appare, non è più un insieme umano fatto di volti e di persone ma una massa abnorme, inquietante, demoniaca, muta e invasata, un insieme folle di ombre nere, cieco, irrazionale, cattivo, ormai plagiato e disumano, per cui al regista non è dato nemmeno un finale catartico, e quella sentenza, che è diventata ormai l’unica scena di un film mai girato, l’unica scena che ormai vorremmo vedere anche noi, non può riscattare più nulla, perché il danno che è stato fatto è troppo grande e nessuna sentenza potrà mai purificarlo.

Il regista fallito, sciatto, piccolo, l’anti-eroe per eccellenza, privo di punti di riferimento, scarso di voli e di coraggio, attaccato alla sua povera produzione di filmetti squallidi, esageratamente ansiogeno e emotivo, non può nemmeno essere condannato o compatito, è la fisiologica vittima di se stesso, della sua natura miserella, della sua mancanza di determinazione, di cultura, di valore, dell’"Italietta" tutta, un personaggio per cui si prova pena ma poca, perché sentiamo che il suo finale è scontato, discende dai suoi limiti, un protagonista che non si riscatta nemmeno in quella chiusa alla Bugnuel che non pare nemmeno uscita da lui o dalla giovane regista e fa balzare in alto il film con una nota tragica e sublime, mentre prima era stata una commedia sbilenca e malmessa ("in fondo la vita è sempre una commedia"), dove ciò che emerge con dura violenza è ora la potenza del male.

Un male che ha le fattezze di B ma potrebbe anche non averle, dal momento che ci sono tre attori diversi che lo rappresentano e l’ultimo è lo stesso Moretti, come a riportare l’enigma al proprio io più oscuro.

Quello che ci ha colpito è che attraverso i tre attori così diversi, B non dice altre parole che quelle che realmente ha detto, non c’è una sgrammatura diversa dalla realtà, non c’è una ipotesi, un riferimento, una illazione; scompaiono anche le figure ombra di B, tutto è filologicamente corretto, ma i tre B dicono sì le parole che B nella realtà ha detto, ma con tre voci e facce e accenti diversi, e quelle parole, allora, appaiono come spogliate dal loro interprete deputato, come distaccate da quell’insieme coatto che è il personaggio B, prive della sua voce melodica, del suo sorriso accattivante, della sua aria da clown; le parole allora balzano come nude in un contesto vuoto, deprivate del fascino ipnotico, della recitazione conturbante, dell’elemento scenico e stridono appieno in tutto il loro spietato squallore.

Il male, a quel punto, non è più il personaggio, o l’attore o il corpo recitante ("Voglio che non abbia gente attorno, dice il regista, voglio che sia solo"), un corpo disarmonico, falsato, artificiale, come di pupazzo a molla che è solo un portatore scelto ma non la fonte, e appare qualcos’altro, qualcosa che non è più umano ed è l’ombra nera del finale, non il male come era apparso nella valigia sbrandellata piena di soldi caduta in modo grottesco dal cielo come inviata da un fato negativo, il male che prima non aveva corpo o aveva falsi corpi e che ora è entrato nel popolo che ne è stato plagiato, prima era indossato da un attore e falsificato come un vestito vuoto ma ora è diventato tangibile perché ha preso la nostra forma reale, è entrato nella massa ma essa non ha più tratti umani e realizza atti malvagi.

E’ a quel punto che cominciamo ad avere paura.

Ogni film di Moretti ci pare sempre un film mancato ma è proprio questa mancanza il suo fascino. Il capolavoro basta a se stesso, conchiude la storia in sé, ci fa diventare superflui, ma l’opera imperfetta ci tocca nelle nostre parti imperfette e le scuote, le spinge a un lavoro di perfezionamento, come se fosse l’imperfezione del mondo, la sua miseria, la sua carenza a chiederci cosa abbiamo intenzione di fare, noi, per integrare ciò che non c’è.

L’imperfezione di Moretti si avvale di personaggi naturalissimi, proprio perché anti eroici, e la scena finale non chiude ma apre il problema del male che supera qualunque potere e ci richiama a quel pericolo che non viene definito da nessuna sentenza, che non viene riscattato da nessun popolo, che non viene combattuto da nessun partito e che resta enigmatico ed eterno. Che cosa faremo noi?

Messaggi

  • il male che prima non aveva corpo o aveva falsi corpi e che ora è entrato nel popolo che ne è stato plagiato, prima era indossato da un attore e falsificato come un vestito vuoto ma ora è diventato tangibile perché ha preso la nostra forma reale, è entrato nella massa ma essa non ha più tratti umani e realizza atti malvagi.

    E’ a quel punto che cominciamo ad avere paura.
    E’ proprio questo il senso del film,che comincia col titolo di uno dei filmetti in cui era specializzato " Cataratte"
    Tutti sanno,ma molti preferiscono non vedere,dice Moretti.
    E poi il finale,a mio avviso non è poi tanto improbabile.
    Un’esplosione in tribunale,i cittadini che sprofondano i giudici sotto un coro di fischi.
    Spero che l’esplosione non arrivi,ma con quello che si sa su berlusconi c’è da tremare.
    Quanto ai fischi ai giudici,berlusconi,Fini,Casini e tutta la destra fanno molto peggio nei loro attacchi quotidiani all’ordine giudiziario.
    E il loro gregge di pecore non fà che ripetere i loro insulti contro i magistrati che,se vince berlusconi,saranno imbavagliati dal caimano.

    Conosci Rhinocéros di Ionesco,Viviana?
    Ecco,la differenza è che Ionesco parlava del passato.Moretti,purtroppo del presente
    Patrizia

    • à mon amie Patrizia
      Eugène Ionesco, grande drammaturgo rumeno, scrive nel ’58 un’opera teatrale surreale, intitolata “Rinoceronti”.
      In una luminosa domenica mattina il protagonista vede improvvisamente un rinoceronte che passa di carica, l’animale più stupido che ci sia, pura aggressività stolida e feroce. E’ un’epidemia: gli uomini si stanno trasformando in rinoceronti. A poco a poco le persone che il protagonista conosce si trasformano tutte, anche il suo più caro amico. Alla fine gli sembra di esser rimasto solo in un mondo di umanoidi bestiali e si trova a combattere con una strana fascinazione che vuole trasformare anche lui in bestia. Il rinoceronte rappresenta la barbarie racchiusa in ogni uomo, un elemento di violenza pura che attraverso la distruzione e la separazione getta l’universo nel caos.

      “Je reste ce que je suis. Je suis un être humain. Un être humain.*”

      Io voglio restare ciò che sono. Io sono un essere umano. Un essere umano.

      “You say we’re not responsabile… We are, we are...”

      Voi pensate di non essere responsabili. Lo siamo, lo siamo..

      Si comincia somigliando ai rinoceronti di Ionesco, col conformismo di massa, l’inerzia, il solipsismo egoico.. poi si diventa ‘I demoni’ di Dostojevskij con la connivenza col male, la mafia, la P2, il neoliberismo, il militarismo, l’odio per l’altro, l’integralismo, l’aggressione alla giustizia… E sono questi esseri non più umani ma umanoidi a nutrire le dittature.
      Il protagonista tenta di avvisare in mondo del pericolo ma il suo grido si perde e ogni volta egli è deriso, scansato, stravolto da una dialettica stolta, che tutto confonde, senza che una mente lucida lo comprenda, così che alla fine anch’egli comincia a dubitare di se stesso e inizia pericolosamente ad aderire al cambiamento

      viviana

    • Tu sai spiegare molto meglio di me come l’umanità è fragile
      Beranger,l’unico che sfugge all’attrattiva dei rinoceronti,è rimasto solo a combatterli.
      Forse soccomberà,ma avrà salvato la sua umanità.
      Il nostro caimano,speriamo,farà meno vittime.
      Ma avere(avuto) il lavaggio del cervello da parte di un pregiudicato è una grave macchia per l’Italia
      Patrizia