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Dentro la segreta avventura dell’interpretazione
Publie le sabato 27 maggio 2006 par Open-PublishingIn «Frammenti per una teoria dell’inconscio» Gabriella Ripa di Meana indaga questioni che investono anche l’estetica
di Lucilla Albano
Frammenti per una teoria dell’inconscio di Gabriella Ripa di Meana, uscito da Biblink editore da qualche mese (e quindi pure online, secondo le caratteristiche di questa casa editrice), offre anche a chi non si occupi di psicoanalisi moltissimi punti di interesse, di cui ne prelevo sinteticamente tre: l’inconoscibilità e l’imprevedibilità dell’inconscio; l’esercizio dell’ascolto del suo linguaggio e dei suoi significanti; l’avventura dell’interpretazione. Sono temi che attraversano anche i campi dell’estetica, dell’ermeneutica e dell’epistemologia, con l’ambizione, all’altezza dei risultati, di tessere un discorso divulgativo ma insieme problematico e dirompente, filtrato da una scrittura raffinata e limpida, esente dai trabocchetti e dalle civetterie di un parlare criptico e per iniziati. Quello dell’inconscio, ci spiega l’autrice, è un concetto non semplificabile che rischia, nelle illusioni, nei malintesi e nelle banalizzazioni della società odierna, di perdere la valenza scandalosa, eversiva e peculiare della concezione freudiana, dove si vede il soggetto diviso tra l’indistruttibile forza del desiderio e la piena responsabilità dei propri atti. Quello dell’inconscio è un sapere che agisce in noi a nostra insaputa sorprendendoci, è «l’altro che è in noi e decide per noi senza perciò esonerarci da alcuna responsabilità». Ripa di Meana chiama etica dell’inconscio quella secondo cui il soggetto raggiunge la libertà e la responsabilità del proprio agire «tramite le conseguenze inattese dei suoi atti e non in virtù delle loro premesse sorvegliate e avvertite». È una sorta di abbaglio collettivo, ci avverte l’autrice, credere che le avventure degli affanni e delle angosce si possano censurare, adattare o prevenire, come si cerca di fare per le malattie del corpo e con le cure farmacologiche. La segreta rete di segni, che delinea insieme ai nostri desideri anche la nostra unicità, non si aggira con furbizie e scorciatoie per modellare comportamenti, riempire lacune o raggiungere funzionalità, produttività e successo; né si avvale, in alternativa, di una ascesa anarchica verso un «godimento a ogni costo». E neppure esibisce, sostituendolo illusoriamente all’oggetto perduto - ontologicamente mancante, come spiega Ripa di Meana - «l’oggetto trovato, garantito».
Avere messo al centro dell’interesse e del soggetto fenomeni futili e irrilevanti (gli atti mancati), mondi oscuri, notturni e divinatori (i sogni) o complessi sintomatici, dando a tutto questo un senso — «il senso vitale della nostra esistenza» — è proprio l’atto più eversivo della scoperta freudiana dell’inconscio. Un inconscio che non esiste in sé ma solo «nel dire mentre viene detto», in sprazzi che emergono come un lampo per poi sparire; un inconscio che non si fa cogliere se non sotto forme travestite e mascherate. E quanto tale mascheramento sia sottile e impervio da smascherare, l’autrice ce lo racconta nella parte successiva del suo lavoro, avendoci avvertito che la conoscenza dell’inconscio non può chiudersi in un sapere scolastico e definito, ma può essere raggiunto solo per frammenti, approssimazioni e ipotesi.
Sul piano teorico e negli esempi clinici della sua pratica analitica, emerge nel lavoro di Gabriella Ripa di Meana anche tutto il peso e l’importanza della lezione di Lacan, nonché la sua attenzione esclusiva e perspicace alla lettura e alla interpretazione del significante, al suo aspetto sonoro e formale, a un ascolto - quello dello psicoanalista nei confronti del paziente - leggero, «insensato», arriva a dire l’autrice. Un ascolto in grado di «produrre la verità dell’altro», dell’altro che abita in noi e il cui effetto è inatteso e imprevedibile. Emerge così, da parte della psicoanalista, un talento quasi di decifratrice di enigmi, di rebus o di acronimi, espresso anche nella rilettura e rivisitazione di due exempla di Freud: una amnesia, il nome del pittore Signorelli, e un sogno, l’iniezione a Irma, diventati emblematici del metodo interpretativo freudiano. Al contrario di quanto avviene nell’enigmistica, però, questa capacità di lettura non si riduce alla risoluzione di un indovinello o all’ accesso a una rivelazione, ma approda alla sorprendente acquisizione di una singolarità soggettiva. La distinzione tra quello che si potrebbe definire il desiderio apparente e il desiderio inconscio che, essendo per l’appunto inconscio, è difficilmente afferrabile al di fuori dell’iscrizione nel transfert e nel set analitico, è una delle lezioni più proficue che, per un non analista, possono essere colte in questo libro. Passando attraverso i concetti di desiderio, di rimozione, di negazione, di fantasma, di fuorclusione e di transfert, Ripa di Meana mette in gioco questioni che investono anche l’oggetto estetico e l’opera poetica: lo fa, per esempio, nel capitolo titolato Inconscio e interpretazione, proponendo un parallelo tra il discorso poetico e quello analitico, in cui interpretare significa anche far conoscere i limiti della comprensione, procedendo per lampi e per schegge che illuminano frammenti di verità. Mettendo in scacco il proprio sapere fino a significare il proprio fallimento, facendosi carico di ogni lacuna e di ogni oscurità e sostenendone la funzione e la creatività.
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