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Destra delusa, rivince la sinistra. Torino, Roma e Napoli all’Unione

Publie le mercoledì 31 maggio 2006 par Open-Publishing

de Stefano Bocconetti

E alla fine, i problemi se li è trovati in casa solo la destra. Ieri è stata la giornata dello spoglio del voto amministrativo. Il primo test elettorale dopo il varo - sei giorni fa - del governo Prodi. Ha partecipato molta meno gente rispetto ad un mese e mezzo fa, ha votato meno gente rispetto alle amministrative del 2001 - meno 5 per cento alle regionali in Sicilia, addirittura meno 14 per cento alle provinciali - ed è quasi impossibile tentare un raffronto coi risultati del 9 aprile, visto la presenza di qualcosa come mille liste locali. Un voto, insomma, che non aveva valore politico. Eppure - perché negarselo? - un po’ di preoccupazione c’era fra i leader dell’Unione. Troppo forte, troppo spinta la campagna di Berlusconi che incitava - un po’ come aveva fatto alla vigilia delle politiche - le sue truppe a inviare un «avviso di sfratto» a Prodi.

Così s’è votato. Le urne, però - come ormai avviene da qualche tempo a questa parte - hanno consegnato un quadro assai diverso da quello preventivato. La «spallata» invocata dall’ex premier non c’è stata. Al contrario, l’Unione avanza in percentuali ovunque. Davvero, ovunque. Avanza anche in Sicilia. Dove certo si conferma l’udiccino Cuffaro, col 52%. Ma dove Rita Borsellino arriva al 42 e qualcosa. Riducendo di metà il distacco di cinque anni fa. Non solo, ma la Borsellino ottiene quasi otto punti in più rispetto ai voti di lista.

Ma la Sicilia - «dove comunque, nonostante l’avanzata dell’Unione, Cuffaro è riuscito a trattenere parte del suo elettorato», attraverso una particolare rete di costruzione del consenso, per usare l’eufemismo di Franco Giordano - ma la Sicilia, l’esito di quella consultazione si diceva, era in parte scontato.

Gli occhi erano puntati altrove, sulle grandi città. A Milano, se come sembra dall’ultima proiezione, l’ex Ministro Moratti ce la farà, sarà per il rotto dalla cuffia. Qualcosina sopra il 50 che priverebbe lo sfidante Bruno Ferrante del ballottaggio. Ma comunque vada, resta il dato. Che le destre hanno perso quasi quattro punti, in appena un mese. Dal 9 aprile. E hanno disperso il vantaggio di 20 punti che avevano nel 2001. Esattamente come a Roma, dove la «passeggiata» di Veltroni - supera il 60% - nasconde il crollo - anche qui quantificabile attorno al 4/4,5 per cento - del’ex ministro Alemanno. Che arriva, sì e no, al 38. E che comunque può vantare un risultato migliore di quello dell’ex ministro Buttiglione che a Torino, contro Chiamparino, si ferma al trenta. La performance peggiore fra tutti i candidati del centrodestra, in tutta Italia.

Prima si parlava di preoccupazioni fra i leader del centrosinistra. Preoccupazioni, avrebbe poco senso negarlo, che riguardavano soprattutto Napoli. Dove la destra - che ha candidato per le comunali Berlusconi capolista di Forza Italia - già alle politiche aveva messo in discussione la vittoria dell’Unione. Al Senato, addirittura, la casa delle Libertà era stata ad un passo dal ribaltone (impedendo comunque che nella regione scattasse il superpremio di maggioranza per Palazzo Madama che forse avrebbe dato più tranquillità al governo Prodi). Ora, invece, tutto è tornato «normale». Rosa Russo Iervolino sarà sindaco al primo turno, le destre sono dieci punti dietro.

E questo è solo una parte dei risultati di ieri, quelli di cui s’è parlato in tv. Perché poi ci sono i dati provinciali (dove una provincia dovrebbe cambiare colore dell’amministrazione: quella di Reggio Calabria, che dal centrodestra passa di mano e così l’Unione vincerebbe cinque a tre nella speciale classifica provinciale), ci sono i numeri delle altre comunali. Con Benevento, Crotone, Arezzo che sono conquistate dal centro-sinistra. Fino al caso limite di Catanzaro: dove la destra, fino a ieri al governo, farà da spettatrice al ballottaggio fra il candidato dell’Unione e quello della Lista Di Pietro.

Insomma, a conti fatti, chi si trova nei guai è solo l’opposizione. Anche perché la destra, laddove ce l’ha fatta - e ricordiamolo sempre comunque al di sotto delle aspettative - non ce l’ha fatta con tutta la destra. Chi vince, insomma, è quasi solo l’Udc. Si parla di Totò Cuffaro ma non solo. Perché, per dirne un’altra, nel voto siciliano decisivo è stata l’affermazione della Lega autonomista (e anche un po’ leghista) di Lombardo. Che stravince a Catania, surclassando Forza Italia, ma si afferma un po’ ovunque. E l’Udc diventa un pezzo, un pezzo rilevante del risultato della destra anche nel resto d’Italia. Fra le fila dell’opposizione, tornano in auge insomma i diccì. Un dato non smentito dalla pessima figura di Buttiglione. Che, infatti, da tutti - compreso dai suoi elettori - viene percepito come il più filoberlusconiano dei leader centristi. Tornano i vecchi diccì, al punto da terremotare la rappresentanza della destra. Un solo dato, quello di Torino: dove Forza Italia semplicemente si dimezza, dal 35 al 17 e qualcosa (una Torino, dove, vale la pena ricordarlo, Rifondazione passa dal tre e mezzo a quasi l’otto per cento, stando ai primi risultati; ma il successo del Prc sembra un altro dei dati di questa tornata anche se al momento in cui andiamo in macchina non ci sono ancora numeri certi).

E questo rimescolamento fra le fila delle destre è destinato ad avere effetti immediati. Perché da qui ad un mese ci sarà un nuovo voto, il referendum. Su quella riforma voluta e dettata dalla Lega. Referendum che nella strategia di Berlusconi doveva diventare lo strumento principale per mandare in aria la delicata costruzione di Prodi. Ora, i giochi si riaprono. E i mal di pancia centristi sono destinati a moltiplicarsi, a dilatarsi. Fino probabilmente a mettere in discussione l’idea stessa che il voto sulla riforma leghista sia l’occasione giusta. Se Berlusconi, insomma, non è riuscito a motivare i suoi in questa tornata amministrativa, è assai difficile immaginare che lo potrà fare l’ultima domenica del prossimo mese. In un referendum dove non conta il quorum. E se crescesse la voglia di disimpegno rispetto all’elezione di fine giugno, altri effetti potrebbero prodursi a catena. Il voto di ieri, insomma, la conferma dell’Unione e l’arretramento della Casa delle Libertà, rischia di mettere in difficoltà soprattutto lui, Berlusconi. E magari potrebbe essere l’occasione per aprire una discussione vera, su cosa significhi fare opposizione. Se abbia ancora senso chiedere di ricontare i voti o magari imponga qualcosa di più. Ieri, i vari Cesa e via dicendo, già qualcosa facevano capire: come se insomma in qualcuno fosse tornata la voglia di politica. Ma forse è ancora presto.

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