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Diaz, l’orrore corre via radio in un nastro rivive la notte dell’odio
Publie le giovedì 8 giugno 2006 par Open-PublishingNell’aula-bunker sentito ieri per la prima volta il documento audio sull’irruzione
Diaz, l’orrore corre via radio in un nastro rivive la notte dell’odio
Si sente un urlo secco "Braccia contro il muro", poi le grida di terrore dei presenti
Il registratore azionato da un giornalista tedesco al momento dell’arrivo degli agenti
MASSIMO CALANDRI
«BRACCIA contro il muro, faccia a terra!» è un urlo secco, cui seguono le grida di terrore dei presenti, il trambusto di chi scaraventa banchi e sedie da una parte all’altra, il rumore di chi fruga tra le cose. «Chiedi cosa ne dobbiamo fare, di questi», dice il poliziotto via-radio. Vuole sapere se anche le persone trovate all’interno della scuola Pascoli, quella che ospita il Media Center con i giornalisti, debbano fare la stessa fine dei 93 trovati all’interno della Diaz (e massacrati di botte, prima di essere ingiustamente arrestati).
Il nastro ascoltato ieri mattina nell’aula-bunker - che ospita il processo ai 29 superpoliziotti e agenti responsabili dello sciagurato blitz negli istituti scolastici di via Cesare Battisti - è il primo ed unico documento dell’»altra» irruzione, nell’edificio di fronte a quello dove si scatenarono gli uomini del reparto Celere. Una irruzione che fu del tutto casuale, dicono i poliziotti: una sorta di incidente, un errore di percorso. Credevano di essere alla Pertini-Diaz e quando si resero conto dell’errore tornarono sui loro passi.
Versione che tuttavia regala non poche perplessità, se è vero che nel corso dell’intervento volò qualche manrovescio di troppo, alcuni computer furono distrutti e soprattutto sparirono i video girati e le fotografie scattate dalle persone che potevano testimoniare i soprusi commessi nella scuola dall’altra parte della strada. Ma come: i giornalisti filmavano il sanguinario blitz alla Diaz, e i poliziotti - per colpa di un «deprecabile equivoco» - salivano le scale della casa di fronte, menavano sganassoni e soprattutto si impadronivano delle bobine (facendole scomparire)? Per i pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, alcuni funzionari ed agenti devono rispondere di peculato, perquisizione arbitraria e violenza privata.
Fu un giornalista tedesco, Marco Trotta, a far partire il suo registratore - avendo cura di nasconderlo nello zaino - al momento dell’arrivo degli agenti. Secondo Laura Tartarini, che tutela gli interessi di alcune vittime del blitz del 21 luglio 2001, quei rumori e quelle voci sono «la prova provata che non fu un incidente», ma una sorta di Diaz-bis. Un’operazione cinicamente programmata. «Per quattro anni la polizia ha raccontato che quella non era una perquisizione, adesso è chiaro che i capi di imputazione sono interamente giustificati.
Non c’era nulla di casuale in quel secondo blitz». I legali degli imputati, invece, sostengono che il nastro non ha portato nulla di nuovo. Dice Marco Corini, difensore del vice-questore Salvatore Gava, il più in vista tra gli indagati per questa vicenda: «Parole. Rumori, caos. Nient’altro».
E però, qualcosa d’altro c’è. Si può ascoltare il parlamentare europeo Luisa Morgantini che chiede di entrare, e qualcuno che la caccia via: «Lei qui non ha autorità». Si possono sentire le voci di giornalisti italiani e stranieri che testimoniano le brutalità commesse delle forze dell’ordine: «Stiamo filmando tutto!», dicono. Che fine hanno fatto quei filmati? Scomparsi durante un’irruzione che tutto sembra tranne che un «deprecabile equivoco».
lavoro repubblica