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Differenza tra destra e sinistra

Publie le lunedì 21 marzo 2005 par Open-Publishing

di Piero Sansonetti

Ieri i movimenti sono tornati nelle piazze in moltissime città dell’occidente. Ci sono state grandi manifestazioni a Roma, a Bruxelles, a Londra, a Tokio, ce ne sono state decine negli Stati Uniti. Con quali rivendicazioni, con quali idee? Con due idee, che stanno diventando -combinate tra loro - l’elemento che unisce, da forza, rende riconoscibile la sinistra. La prima idea è la convinzione che la guerra sia il riassunto di tutto il peggio della civiltà umana di questi cinquemila anni; e che la guerra moderna sia addirittura la degradazione assoluta delle relazioni tra persone, popoli, Stati.

La seconda idea riguarda il lavoro e la sua dignità. E’ un’idea che rifiuta la prepotenza del mercato e la sua dittatura sulla politica e sulla cultura moderna. Cioè respinge la condizione normale di vita e di funzionamento dei grandi paesi europei asiatici e americani. E chiede una riforma della politica - una vera e propria ristrutturazione - che porti al ribaltamento del rapporto tra lavoro e profitto.

C’è un legame tra queste due battaglie? O sono solo terreni di una alleanza tattica tra pezzi diversi di opposizione (sindacati, giovani, partiti di sinistra radicale, gruppi vari cattolici e marxisti)?

Credo che ci sia un legame molto forte: in questo primo scorcio del nuovo millennio la lotta per la pace e la lotta per la dignità e la libertà del lavoro stanno quasi identificandosi l’una nell’altra. Per un motivo semplice: il capitalismo moderno, a guida americana, ha militarizzato la globalizzazione. E ha fuso l’aspetto militare e l’aspetto economico della sua penetrazione nel mondo, della sua ricerca di dominio.

Quello che noi chiamiamo liberismo - e che è un insieme di idee politiche, di pratiche economiche, di meccanismi di organizzazione della società, del lavoro, dello Stato - ha trovato le sue certezze nell’uso della forza. Ha rinunicato alla via pacifica e negoziale: alla politica. Sia sul piano militare, sia sul terreno sociale. Sapete cos’è la Bolkestein (contro la quale ieri hanno sfilato 100 mila persone a Bruxelles)? E’ un regolamento europeo che smantella le legislazioni del lavoro, le rende inapplicabili, e consente una riduzione drastica dei salari e dei diritti.

Lo fa in un modo semplicissimo: stabilisce che i lavoratori possono circolare liberamente per l’Europa ma che manterranno contratti di lavoro, paghe e diritti dei loro paesi d’origine. Cosa vuol dire? Che un polacco può lavorare in Italia, e il costo del suo lavoro sarà più o meno la metà del costo del suo collega italiano che fatica accanto a lui. Risultato: si impennano i profitti, calano i salari, sale la disoccupazione, scompare la forza contrattuale che nell’ultimo secolo ha garantito un minimo di equilibrio tra lavoro e capitale. E’ una specie di rivoluzione reazionaria. Non è esagerato dire che la Bolkestein si muove in una prospettiva di "Capitalismo di guerra". Il capitalismo di guerra non è una scelta di classi dirigenti feroci e insensibili: è lo sbocco naturale di una crisi del liberismo che non è più capace di governare gli squilibri che ha creato, e allora - per non mollare l’osso di quella globalizzazione - ha solo la strada di una svolta fuoriosa e armata.

Vedete bene che siamo a un punto della storia nel quale si fronteggiano due prospettive: quella del capitalismo liberista di guerra, e un’ipotesi opposta, che si basa sul disarmo e sull’idea di porre il lavoro e i diritti al centro dell’organizzazione sociale. Le strade intermedie sono scomparse, non se ne vedono. Si diceva qualche anno fa che i confini tra destra e sinistra stavano sfumando. Invece sono più che mai marcati. Sono le due alternative, nettissime: una società dove il mercato guida un regime che non ammette mediazioni, o una società basata sul lavoro, i diritti, la pacificazione.

http://www.liberazione.it/giornale/050320/LB12D6F6.asp