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Diliberto ri-rifonda il comunismo ?????
Publie le martedì 2 giugno 2009 par Open-Publishing1 commento
I suoi “compagni” di partito lo chiamano DiliBerija, in onore del capo degli sgherri stalinisti, e già questo basterebbe per descrivere il personaggio.
Tuttavia aldilà del folklore, Diliberto è nel solco della tradizione togliattiana: un social-imperialista che utilizza la sua retorica per incanalare la protesta operaia sui binari morti del riformismo senza riforme. Diliberto, che oggi si spaccia per “comunista” e “anticapitalista”, annovera tra le sue frequentazioni il massone sardo Nicola Grauso e “vanta” una storia politica che con la sinistra non ha nulla a che fare!
Alla fine degli anni ‘90 uscì da Rifondazione con Armando Cossutta e Marco Rizzo per soccorrere il governo di centrosinistra, e in cambio ottenne l’incarico di Ministro di Giustizia nel governo D’Alema. Nel dicembre del 1998 Diliberto firmò la convalida all’arresto di Apo Ocalan, portavoce del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Nel marzo del 1999 quando il suo governo avviò i bombardamenti su Belgrado, il ministro Diliberto dalla sua comoda poltrona non mosse un dito, continuando imperterrito a sostenere un governo criminale.
Ma non si limitò a questo, nel febbraio del 1999 l’ex guardasigilli si spinse oltre, rafforzando gli apparati della repressione di Stato, di suo pugno firmò il decreto legge che dava vita ai GOM (Gruppi Operativi Mobili), un reparto della polizia penitenziaria che si contraddistinse nel luglio del 2001 a Genova per la brutale repressione attuata nella caserma Bolzaneto.
Dopo cinque anni ai margini dalle stanze del potere e costretto suo malgrado all’opposizione, con il nuovo governo Prodi, Diliberto, riprese con tutta la pseudo “sinistra” responsabilità di governo, prima sostenendo finanziarie antioperaie e poi passando al sostegno di tutte le guerre imperialiste!
Oggi Diliberto gioca tutto sulla ruota della rimozione storica, sperando che esca un numero in grado di permettergli di tornare in parlamento.
Tuttavia siamo certi che la prospettiva di un’alternativa di società non passa dai parolai come Diliberto ma dal protagonismo di classe. Fare tabula rasa di questi opportunisti è quindi la premessa per la ricostruzione. Ricordare le nefandezze di questo “anticapitalista” da salotto è pertanto un’operazione d’igiene politica necessaria, alla quale non potevamo sottrarci.
dal sito del pcl forli cesena
Messaggi
1. Diliberto ri-rifonda il comunismo ?????, 6 luglio 2009, 19:46, di Francesco Specchio
Quando uno apre una porta si scopre spesso che ha spalancato un portone, e scopre pure che su quella piazza in tanti avevano spalancato un portone. Il problema era che chi stava dietro alle porte non si consultava con gli altri.
Una volta si sarebbe definita mancanza di vigilanza rivoluzionaria.
Parto dalla mia esperienza, quella dei compagni campani che uscirono dal PRC per liberarsi della cravatta che ci tenevano stretta al collo da un lembo il bertinotti tramite i suoi boys, e dall’altro il vice-re bassolino e la sua corte.
Qualche compagno, col senno del poi, dirà: dalla padella nella brace. Comunque entrammo nel 1994 nel PdCI, con l’impegno a portare avanti un’ opposizione seria a bassolino.
Ed ecco, invece, che la prima cosa che si organizza, con tanti di noi un po’ perplessi, ma convinti dall’ipotesi che il ‘progetto’ fosse quello di reinvertire il processo devastante delle privatizzazioni in salsa napoletana, è un incontro con un tale elia valori (siamo ben oltre i due anni non ancora confessati dal diliberto) su una proposta definita IRI-CAMPANIA. Auspice dell’incontro un ex-sindacalista, attuale segretario regionale di stretta osservanza diliberto, che vantava un frequentazione con lui, quando quegli comandava in IRI e conduceva, sotto l’attento “controllo” del sindacato, lo spezzatino e le privatizzazioni del gruppo agro-alimentare SME. Bene, con tutta la considerazione che uno può avere dell’ex(di tutto), è difficile attribuire al sindacalista una consuetudine così stretta con i piani alti della massoneria. Per altro l’idea non fu applicata, perchè il buon bassolino, che forse di logge poteva intendersene, e quindi poteva lavorare senza entrature, dovette subire l’opposizione spietata di noi altri compagni, quelli senza grembiulino, contro i termovalorizzatori, contro la legge sanatatoria definita urbanista (peggio delle berlusconi), contro la privatizzazione di acqua, sanità e trasporti.
Insomma, noi conducevamo le lotte ed altri tentavano di venderle a bassolino. Comunque, tempo tre anni, e l’idea decolla in Lazio, si chiama Sviluppo LAZIO, ha gli stessi padrini, diliberto e valori, e lì trova un pdci normalizzato e gli assessori in quota tutti “ben disposti”. A fare che, a ricostruire un pezzettino di partecipazioni statali? No cari, a regalare ai privati quote consistenti di soldi nostri ai privati, rampanti ed aggressivi, organizzati dall’ottimo valori, uno dei pochissimi che i palazzi grandi, dal san pietro al palazzo giustiniani, alle ambasciate, a quelli “segreti”, li frequenta tutti.
Ora sicuramente qualche compagno, taluno furbastro, talaltro in legittima ingenuità, chiederà come mai ce ne siamo accorti solo ora. E qui ritorna la metafora dei portoni.
E ritorna l’esigenza di un’analisi concreta della realtà concreta, a partire da quella del nemico di classe.
Con il vizio del buonismo, dell’affabulazione, della pretesa di considerare la mafia, i servizi, le logge come deviazioni e non come pure espressioni, ben interne, del potere del capitale, abbiamo cessato di essere vigili, abbiamo creduto ad un sacco di frottole e non ci siamo accorti che, come canta i grande Lolli, il “nemico è nelle nostre stesse scarpe”. Compagni, liberiamoci delle scarpe e del loro lercio contenuto, e impariamo a marciare a piedi nudi . Francesco Specchio 6luglio2009