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Direzione Nazionale PRC 12 Gennaio 2009 - Intervento di Alberto Burgio
Publie le martedì 13 gennaio 2009 par Open-PublishingDirezione Nazionale PRC 12 Gennaio 2009 - Intervento di Alberto Burgio
di Alberto Burgio
Diceva un grande maestro: «non giudicare, descrivi!», «non valutare, argomenta!». Per questo eviterò di commentare quanto ha qui detto Maurizio Zipponi a proposito del compagno Dino Greco, che saluto con rinnovata stima e al quale esprimo piena riconoscenza per avere accettato la proposta di dirigere il giornale del Partito. Non parlo di Zipponi perché so che altrimenti non mi riuscirebbe di astenermi dal formulare giudizi estremi. Mi limito a osservare che lo stile e il buon gusto sono come il coraggio: chi non li ha non può darseli.
Mi pare importante invece interloquire con il compagno Franco Russo, intervenuto contro l’ipotesi della sostituzione del direttore di Liberazione. Russo vi scorge la violazione del diritto al dissenso e fa l’esempio dell’eventuale dissenso di una Federazione: c’è il piccolo particolare che di Federazioni ce n’è oltre cento, di quotidiano uno soltanto. Ma soprattutto: Russo distingue tra democrazia procedurale (che rispetteremmo) e sostanziale (che violeremmo). Ma egli dovrebbe sapere quanto sia pericoloso insistere su questa distinzione. Cominciamo con il rispettare regole e procedure, che non sono mera forma ma, esse stesse, gran parte della sostanza della democrazia!
Quanto alla sostanza alla quale fa riferimento Russo, mi sembra che egli veda solo i diritti di una parte: di Sansonetti e della parte della redazione che lo sostiene. Mi chiedo come sia possibile che il compagno Russo non si avveda di negare, in questo modo, i diritti di tutti gli altri, della maggioranza, e non soltanto della maggioranza del gruppo dirigente, ma del corpo largo del Partito. È un classico: pur di non farsi carico delle contraddizioni, pur di non prendere partito in un conflitto, si assolutizzano le ragioni di una parte, finendo con il negare quelle di tutti gli altri e – guarda caso – dei più. È davvero una concezione paradossale della democrazia!
Infine, il compagno Russo sostiene che questo contrasto andava risolto con la discussione. Gli chiedo e chiedo a tutti voi: non c’è stata in tutti questi mesi discussione? Eccome se c’è stata, ma ha avuto un solo Leitmotiv, da parte del direttore del giornale e dei giornalisti a lui vicini: l’aggressione, l’insulto, il continuo dileggio nei confronti di Rifondazione comunista, del suo segretario, dei suoi dirigenti. Un dileggio che si è riversato su tutto il Partito, con grande giovamento di tutte le altre forze politiche: di tutte, a cominciare (certo non per caso) da quelle che esistono ancora soltanto nella mente di qualche compagno.
Oggi si dice, con toni accorati e garnde esibizione di sentimenti, che stiamo prendendo una decisione grave. Bisognerebbe chiedersi quali margini siano stati lasciati perché non si giungesse a questa decisione. C’era bisogno di tanta costanza nel deformare le posizioni altrui? nel disinformare a proposito del dibatttito interno? nel ridicolizzare o semplicemente occultare il lavoro del Partito? Prima si scatena la guerra, poi si piange per le rovine provocate: che senso ha tutto ciò? a che cosa serve?
Proprio questo, infatti, è il punto. Noi oggi andiamo al cambio del direttore di Liberazione. Ci arriviamo dopo un Congresso, non prima – e anche questo vorrei sottolineare, a beneficio di chi ha a cuore la democrazia. Io credo che per cambiare il direttore basti e avanzi la diversità di progetto politico alla quale ha fatto riferimento il compagno Ferrero nella sua relazione introduttiva. Basta e avanza, per il semplice fatto che se il progetto politico del direttore, diverso da quello del Partito, diventa la bussola del giornale, ne segue inevitabilmente che il Partito viene privato di una voce fondamentale verso l’esterno, per di più in un momento nel quale la mancanza di una delegazione parlamentare ci esclude pressoché totalmente dal circuito dell’informazione “indipendente”. Ma in questo caso c’è ben di peggio. C’è il fatto che il progetto di Sansonetti non è soltanto diverso da quello scelto dal Partito al Congresso di Chianciano (sempre a proposito di democrazia).
È opposto ad esso e totalmente incompatibile con esso. A Chianciano è prevalsa la volontà di continuare e rilanciare l’impresa politica di Rifondazione comunista e ha perso la proposta di sciogliere il Partito e di farne uno nuovo. Quest’ultima era ed è la proposta Sansonetti, che ha usato il giornale per sostenerla sia prima del Congresso (e già questo è stato un abuso gravissimo, una violenza nei confronti di quanti avevano un’altra posizione) sia dopo. Il giornale si è sempre battutto per lo scioglimento del Partito di cui dovrebbe essere la voce, questo – né più né meno – è il punto, e mi chiedo come si possa non ritenere che questo dato di fatto sia un motivo sufficiente per andare a un cambio della direzione del giornale.
E difatti qui è la chiave della questione. Chiedere a un Partito di svenarsi per mantenere in vita chi vuole cancellarlo è talmente assurdo che lo si può comprendere solo rovesciando i termini del ragionamento. Io mi sono convinto che si sia voluto andare così in là, evitando qualsiasi mediazione, qualsiasi dialogo, qualsiasi tentativo di convivenza, perché si è puntato dritto sulla esasperazione del conflitto. E lo si è fatto nella convinzione che questa esasperazione servisse sul piano politico. A che cosa? A giustificare la scissione? Non solo e non principalmente.
Dopo tutto una scissione non ha bisogno di grandi giustificazioni, benché prima e durante il Congresso sia sistematicamente giurato e spergiurato che non vi si sarebbe mai arrivati e che non si aveva affatto l’intenzione di farla finita con Rifondazione comunista. No, lo scopo ultimo di questo gioco al massacro era un altro. Era distruggere questo Partito. Farlo apparire respingente, chiuso in se stesso, privo di prospettive perché lacerato da quei conflitti estremi che, appunto, si faceva di tutto per scatenare. Per tutte queste ragioni a me pare che quanto prima concluderemo questa incresciosa vicenda, tanto meglio sarà.
Vorrei dedicare gli ultimi minuti del mio intervento a un passaggio importante della relazione del segretario. Riferendosi alle recenti polemiche sorte a proposito della scelta assunta da chi oggi dirige i Giovani comunisti di stampare sulle nuove tessere l’immagine della caduta del Muro di Berlino, il compagno Ferrero ha giustamente deplorato il modo in cui si svolgono le discussioni tra noi, «spaccando – così mi pare abbia detto – la mela in due metà che non hanno nulla in comune tra loro».
Ha ragione. Ma vorrei dire che questo modo di discutere non è un incidente, non è un caso, non è un effetto indesiderato. È esattamente in contrario. Questo modo di discutere deriva dalla precisa volontà di usare strumentalmente l’esistenza di idee e posizioni diverse per dividere il Partito e per governarlo, anzi comandarlo attraverso le divisioni, la creazione di fazioni (i fedelissimi contro gli infedeli nemici da sterminare o da mettere in condizioni di non nuocere). Il caso della discussione sulle tessere dei Giovani è emblematico, come ha dimostrato ancora da ultimo il vergognoso intervento fatto qui poc’anzi da Alfonso Gianni, zeppo di insulti e di bugie.
Capisco che distinguere tra un fatto storico e il significato simbolico che esso assume nel corso del tempo possa richiedere qualche sforzo di attenzione, ma non credo che il compagno Gianni sia a tal punto pigro da non averlo compiuto. Non credo che egli non abbia capito che tutta la discussione verte sul significato che l’immagine della caduta del Muro ha via via assunto nel corso di questi vent’anni. Allora perché viene a raccontarci del 1961, di quando il Muro fu erette e delle ragioni della sua costruzione? Capisco la propaganda quando si parla in sedi pubbliche. Capisco anche gli articoli di questo tenore su Liberazione, per tutte le ragioni che ho appena esposto. Ma almeno qui tra noi ci si potrebbe astenere da simili furbizie.
Dicevo del modo violento e distruttivo nel quale ci si è sempre confrontati in questo Partito, e del fatto che non sia casuale ma voluto. Ebbene, io penso che si tratti di un tema politico con il quale dobbiamo fare i conti, non in astratto, dibattendo elegantemente della cosiddetta “forma Partito”, ma molto concretamente perché è in questione gran parte della storia di Rifondazione comunista. Fino a questi ultimi giorni. Questa modalità è una chiave per capire che cosa ci sta accadendo dal Congresso in poi. Se le differenze diventano divisioni e le divisioni fazioni in guerra, è perché non si accetta nemmeno l’idea che si possa perdere o, ancor meno, avere torto. Così si comprende come mai tanti compagni che hanno diretto il Partito per anni e anni vengano qui a farci sempre la lezione, come se avessero alle spalle solo vittorie e successi. Mai una volta che si soffermino a riflettere sui propri errori.
Mai una volta che mostrino di avere pensato di aver commesso qualche errore. Vorrei dire che provo molta pena per questa incapacità di riflettere in modo critico e autocritico sulle proprie scelte. Mi sembra il segno della maggiore debolezza. Da qui credo discenda una violenza distruttiva che ha avvelenato i rapporti tra noi e indebolito questo nostro Partito. Speriamo di guarire da questo male, altrimenti sarà difficile andare molto lontano.