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Direzione nazionale 2 Dicembre 2008 - La relazione di Paolo Ferrero

Publie le giovedì 11 dicembre 2008 par Open-Publishing

Direzione nazionale 2 Dicembre 2008 - La relazione di Paolo Ferrero

Cari compagni e compagne, innanzitutto vi propongo di non affrontare oggi la discussione su Liberazione. Mi risulta che il Consiglio di Amministrazione della MRC abbia predisposto il piano di rilancio e lo abbia inviato alle organizzazioni sindacali. Questo piano completo però la segreteria non ha ancora ricevuto e quindi non possiamo valutarlo. Inoltre vi sono state le dimissioni dell’amministratore delegato della Mrc e di un altro membro di Consiglio di Amministrazione. Appena ci saranno forniti tutti gli elementi valuteremo questa situazione assai contraddittoria e decideremo il da farsi in via definitiva. Resta invece inteso che il Cpn del 13 e 14 pv discuteranno dell’indirizzo di Liberazione e degli altri strumenti comunicativi che il partito ha o di cui si deve dotare.

La profondità della crisi
La crisi che è esplosa non è di breve periodo ma è la caratteristica di fondo della fase che attraversiamo e con cui dovremo fare i conti. La crisi finanziaria è solo un aspetto di una crisi più profonda e strutturale e che risiede nel fallimento delle politiche neoliberiste basate sui bassi salari e sulla precarizzazione del lavoro. Noi dobbiamo avere la consapevolezza che ci troveremo a fare i conti con una fase lunga di recessione economica e con il tentativo di utilizzarla come strumento di ristrutturazione interna al capitale medesimo. E’ in corso un uso politico della crisi, con un suo utilizzo ai fini di un ulteriore riduzione di diritti e un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei nostri referenti sociali.
Sulla scenario politico mondiale, due fatti sono intervenuti per segnare in maniera forte questo passaggio.
Il primo è la vittoria di Obama nelle elezioni statunitensi. Tutti abbiamo giustamente sottolineato quanto di positivo ci sia in questo successo, sia sul piano simbolico che su quello dell’attivazione del protagonismo del tessuto militante statunitense.
Dai primi passi, sembrano emergere elementi interessanti di attenzione sulle politiche ambientali (le lobbies del petrolio erano tutte schierate dall’altra parte) e la propensione verso misure di protezione delle imprese USA. Naturalmente, è partita del tutto aperta vedere quali conseguenze ne discenderanno sul versante delle politiche sociali. Sul piano, invece, delle politiche internazionali, il grado di continuità con le precedenti amministrazioni si annuncia assai più alto. Forse una maggiore attenzione al canale diplomatico piuttosto che all’intervento militare, ma non mi sembra sia presumibile un cambio di indirizzo.
L’altro avvenimento è l’attentato terroristico di Mumbai. La spirale guerra terrorismo continua a fare disastri e continua nella sua tragica capacità di autoalimentarsi. Ciò rilancia in maniera molto forte la necessità della costruzione di un movimento pacifista in grado di combattere su tutti e due i versanti, in grado, quindi, di porsi come forza autonoma sia rispetto le dinamiche della guerra preventiva che da quelle del terrorismo, di assumere la capacità di costruzione di civiltà dentro la crisi di civiltà che questa spirale ci consegna.
Propongo questa valutazione generale della fase: siamo dentro una crisi profonda, una crisi del capitalismo che le forze che hanno gestito il neoliberismo cercano di gestire in termini adattativi. In questo contesto gli elementi che rischiano di prevalere sono, sul versante internazionale la spirale guerra terrorismo e su quello interno il conflitto orizzontale, la guerra tra i poveri. La crisi delle politiche neoliberiste non ha di per se uno sbocco a sinistra e in Italia vediamo chiaramente il consolidarsi di culture populiste reazionarie. La capacità di collocarsi dentro questa crisi con una proposta egemonica forte, che prefiguri uno sbocco a sinistra non è automatica ma è tutta da costruire e sta nelle nostre mani. Dalla capacità di dare una risposta da sinistra alla crisi del capitale dipenderà la ricostruzione di un ruolo storico dei comunisti in questo paese. Oggi questo passa in primo luogo per il rafforzamento dei movimenti e la costruzione di un movimento politico di massa.

Un intervento pubblico regressivo
Le classi dirigenti si stanno muovendo con un assoluta disinvoltura nella violazione dei principi che pochi mesi fa incarnavano. L’intervento pubblico non è più demonizzato ma esso viene attivato nella piena riproposizione degli elementi fondanti del ciclo neo liberista.
Sul piano europeo c’è un fortissimo investimento sul lato della salvezza delle banche e un modesto intervento anticiclico; parallelamente, vanno avanti gli elementi di destrutturazione dei diritti del lavoro come la direttiva sugli orari e nulla viene fatto in termini di redistribuzione del reddito.
Per quanto riguarda il caso italiano, queste caratteristiche sono ancora più accentuate. Da un lato sulle banche c’è una ingente disponibilità di risorse che prevede la possibilità di sostituire i manager ma esclude a priori l’idea di una gestione pubblica del credito.
C’è un grande rilancio delle grandi opere distruttive dell’ambiente, un taglio pesante sulla scuola, sul welfare e la messa in discussione del contratto nazionale di lavoro. Non c’è nulla sul versante del lavoro dipendente e c’è una forma di elemosina (la social card) nei confronti di alcune fasce più deboli e socialmente disgregate.
La logica di questa manovra è di mantenere intatto e aggravare il regime di bassi salari con l’obiettivo di distruggere il potere e la capacità di costruzione di consenso del sindacato e delle autonomie locali; parallelamente si accelera sulle privatizzazioni, dal sapere all’acqua. Ai diritti e alla contrattazione collettiva si vuole sostituire l’elemosina di stato attraverso l’azione diretta del sovrano: il governo. Elargizioni dall’alto, in funzione della costruzione di consenso diretto del governo tra la popolazione, stritolando tutti coloro che stanno in mezzo.

Il movimento per la scuola pubblica
In questo contesto noi non abbiamo avuto un autunno pacificato, non c’è stato quel deserto sociale che taluni paventavano al Congresso. Anzi, c’è stata una ripresa di mobilitazione molto forte che è concretamente cominciata con la manifestazione del’11 di ottobre. Sarebbe sbagliato leggere quella manifestazione come l’innesco del movimento, ma indubbiamente essa ci ha permesso di essere dentro questa ripresa di movimento. Il movimento sta andando oltre la pura contestazione delle misure del governo. Vi è una positiva "eccedenza" di significati, di simboli, di piattaforma che parla di una soggettività nascente. Di questo fenomeno è indice anche l’utilizzo delle manifestazioni che vengono convocate dalle organizzazioni storiche, ma che vengono "utilizzate" dal movimento per far emergere una soggettività che va molto al di la.
Caso emblematico di questo è il mondo della scuola. Noi ci troviamo qui dinanzi al fatto che si è mosso un intero settore, dagli insegnanti, agli universitari, agli studenti sino ai genitori delle elementari. Io credo che questo sia un movimento molto politico, a partire dalle parole d’ordine che ha assunto e che sono diventate immediatamente patrimonio di tutti ("la vostra crisi non la paghiamo"). Non si vedeva da tanto tempo una capacità di interazione tra studenti e insegnanti come è avvenuta dentro quel movimento. Io credo che un elemento di forte politicità sta esattamente in questo dialogo tra i saperi sociali e in una capacità di questi saperi sociali di non presentarsi solo nella loro veste sindacale, ma in una veste politica. cioè nella capacità di saper cogliere il nodo del sapere come bene pubblico. Un movimento fortemente politico, quindi, ma che non ha visto nelle forze politiche quali esse sono oggi il proprio interlocutore. Mi pare del tutto normale. La crisi della politica non si supera in un attimo e negli ultimi due anni, nell’esperienza del governo Prodi e della sua maggioranza, non siamo stati capaci di tradurre in pratica le nostre intenzioni. Sulla conoscenza, sulla scuola, in molti altri campi, non siamo stati un punto di riferimento. L’esperienza concreta delle persone impegnate nel movimento è che qualunque sia il governo che hai di fronte, ti devi difendere dalle cose che farà. Anche da quello che è stato il nostro governo. Tornare ad essere un punto di riferimento per i movimenti è un percorso tutto da fare; tanto per cominciare, noi dobbiamo stare nel movimento invece di chiedere al movimento di stare con noi.

La centralità dello sciopero generale
L’altro elemento forte della ripresa dei movimenti di lotta è dato dalle scelte della Cgil: dall’opposizione alla manomissione della contrattazione nazionale, al rifiuto di firmare alcuni contratti (con l’eccezione pesante della vicenda Alitalia), allo scontro sulla manovra economica del governo.
Io penso che questo sia un punto decisivo perché è evidente che la possibilità della costruzione di un movimento politico di massa, dargli continuità nel tempo e di far dialogare i diversi soggetti sociali passa in larga parte attraverso il fatto che la Cgil prosegua con coerenza lungo la linea di autonomia che ha scelto. Questo non perché la Cgil sia sufficiente da sola, ma perché la sua mobilitazione costituisce un elemento di ossatura per tutti i movimenti, affinché soggetti, tra loro differenti, autonomamente possano partecipare e incontrarsi. Da questo punto di vista, lo sciopero generale del 12 dicembre, convocato da Cgil, sindacalismo di base, studenti, è un punto sia un passaggio importantissimo.
Dentro questa crisi occupazionale la riuscita dello sciopero non sarà automatica; la consapevolezza delle difficoltà ci deve spronare a lavorare pancia a terra per il successo dello sciopero generale e per la riuscita di tutte le manifestazioni che si svolgeranno. Dobbiamo dare una centralità assorbente allo sciopero generale, sapendo che è un primo passo per la ricostruzione del potere dei lavoratori nei luoghi di lavoro e per la ricostruzione di un nuovo movimento operaio.

Il ruolo del Pd
Sul piano politico, la situazione si può definire così: una polarizzazione tra la politica del governo da un lato e le iniziative di movimento dall’altra. In questo quadro, il Pd ha contraddizioni pesantissime. Il fatto che non sia in grado di esprimere una posizione sullo sciopero generale e che abbia problemi ad esprimersi sulla riforma della contrattazione è la manifestazione della volontà politica di non rompere con la Confindustria. Ciò dimostra una precisa scelta: la volontà di una collocazione terzo forzista tra il governo e il movimento. Le proposte che Bersani avanza per aprire il dialogo con il governo sul versante della manovra economica non rappresentano una alternativa ma solo una cosmesi, una sorta di "mettere una pezza".
Noi dobbiamo quindi evitare come la peste di arruolarci per i conflitti interni al Pd. Noi dobbiamo sviluppare e costruire una capacità di iniziativa politica autonoma, lavorare e investire sul movimento, sul dialogo tra i diversi movimenti, perché lo sbocco politico del movimento è la sua vittoria, non una delega a noi.

Il coordinamento della sinistra
In questa prospettiva abbiamo proposto il coordinamento della sinistra al fine di costruire una opposizione di sinistra consistente e qualificata. Io credo che noi dobbiamo proseguire su questo piano e arrivare in settimana a verificare se si riesce a coagulare qualcosa, perché per adesso le interlocuzioni sono assai articolate.
Dobbiamo evitare le alternative paralizzanti che vedono da un lato la costruzione di impossibili partiti unici della sinistra e dall’altra il nulla quando non lo scontro fratricida in nome di una unità della sinistra sul fare. Una sinistra contro governo, padroni e - quando serve - Vaticano. Questa prospettiva non esclude la ricerca di convergenze con le altre forze di opposizione quando questo è possibile. Dico soltanto che una piattaforma che tenga assieme la difesa del contratto nazionale di lavoro, la redistribuzione del reddito, i diritti civili, il no alla guerra e alle grandi opere che distruggono l’ambiente, può farla solo la sinistra.

La dimensione europea è strategica
Venerdì e sabato c’è stata la conferenza del Partito della Sinistra Europea. Io penso che sia un fatto importante essere riusciti a darsi un programma comune per le elezioni. E’ la prima volta da tantissimi anni che la sinistra riesce a darsi un programma comune a livello europeo. Quello europeo è per noi il terreno decisivo dello scontro politico perché risulta evidente a tutti che una modifica seria delle politiche economiche avviene a quel livello. Quello europeo è il livello a cui va portato lo scontro con il capitale per non essere residuali. Inoltre noi dal livello europeo, dalla sinistra europea, possiamo oggi, nella sconfitta, trarre linfa e sostegno. Investire sul piano europeo vuol dire investire sul progetto: di fronte a una crisi come quella che abbiamo, il partire dai no è decisivo; ma se ci si fermasse ai no saremmo sicuramente condannati alla sconfitta. Progettualità sulla riconversione ambientale e sociale dell’economia, sul controllo pubblico del credito, sull’attacco alla speculazione finanziaria unita alla proposta della redistribuzione del reddito, sull’allargamento dei diritti dei lavoratori, sulla de mercificazione dei beni pubblici. Progettualità per rispondere alla crisi del capitale con una proposta di uscita a sinistra.
Funzionale a questo, è il rilancio del lavoro dell’inchiesta, per capire esattamente cosa succede ai lavoratori dentro la crisi. Ci abbiamo investito, è uscito il questionario su Liberazione, si sta lavorando su una serie di territori. Dobbiamo farla rapidamente perché l’inchiesta è decisiva per avere uno sguardo non ideologico su come oggi i lavoratori vivono la crisi.

La ripresa del partito
Per fare tutto questo, dallo sciopero generale al lavorare nei movimenti, dall’intrecciare lotte e progetto, è necessario un salto di qualità nell’iniziativa del partito. Da settembre abbiamo fatto molto ma in modo assolutamente disomogeneo; a macchie di leopardo. Per fare un salto di qualità serve una discussione franca al nostro interno. Dobbiamo capirci su cosa vogliamo fare. Lo dico ai dirigenti della mozione 2. Se si ritiene che la battaglia politica interna sia finalizzata alla modifica dell’indirizzo politico di rifondazione comunista, questo va benissimo; ogni minoranza ha il diritto di lottare per diventare maggioranza. Ma io penso che in questi mesi noi siamo andati molto oltre questa situazione. Non è facile capire se la dialettica interna a rifondazione punta alla modifica del suo indirizzo politico o alla sua dissoluzione. Questo è un problema politico di prima grandezza. Pongo questo problema perché ritengo che, nella differenza di valutazioni politiche e di prospettive, sia necessario arrivare a qualche punto di chiarezza. Altrimenti rischiamo la dissoluzione reciproca in un contesto di sostanziale inefficacia di lavoro politico; qualsiasi cosa venga proposta dalla segreteria è azzoppata dall’interno, prima ancora del doversi confrontare con l’esterno.
Il progetto di lavoro che qui ho provato a delineare è per me un terreno di confronto e di iniziativa politica che permette a tutti di mantenere le proprie opzioni politiche di fondo, lavorando però alla ricostruzione e al rilancio di Rifondazione Comunista. C’è un problema di affinamento qualitativo, ma abbiamo un problema di rilancio quantitativo dell’intervento di rifondazione perché non è indifferente se il prc sta in campo o meno nella riuscita degli scioperi e nella capacità di costruire iniziative.
Far uscire il partito da una discussione interna infinita per costruire una capacità di intervento politico sul territorio e sui luoghi di lavoro: per me questo è l’obiettivo decisivo. Il punto, però, è che si può fare solo se c’è un grado di condivisione di tutti sull’utilità di questo partito. Penso quindi sia possibile e necessario un rilancio unitario del partito ma appunto, nella condivisione dell’utilità di Rifondazione Comunista.
Aggiungo una cosa perché non ci siano equivoci: le questioni relative alla nostra partecipazione alle elezioni europee e alle amministrative non sono state affrontate in questa relazione; così come, sul versante dell’iniziativa sociale, non ho citato la questione referendum, su cui stiamo continuando a lavorare per verificare la fattibilità di una campagna politica.
E’ stata una scelta consapevole per avanzare una proposta di apertura politica unitaria e non far precipitare la discussione su temi su cui ci sono oggi opinioni molto differenti.