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Diritto a comunicare e sovranità popolare di Enrico Giardino [1]
Publie le domenica 6 agosto 2006 par Open-Publishingdi Carmelo R. Viola
E’ un saggio poderoso, per dati, fonti, concetti e proposte su uno dei diritti essenziali e inderogabili della persona umana in una civiltà degna della nostra specie. E’ quindi un libro da leggere attentamente e da meditare, opera di un “esperto del settore”, l’ingegnere ed ex dirigente Rai, Enrico Giardino. Si tratta del diritto, attivo e passivo, di comunicare: idee, fatti, analisi, quanto costituisce l’esperienza culturale e sociale, politica e artistica, ideativa e creativa, che non si esaurisce in sé stessa ma è base costante su cui costruire un tessuto interpersonale sempre più rispondente alla pratica effettiva della democrazia, intesa nel senso etimologico di “governo di popolo”. E’ un lavoro, scritto da uno che conosce la lingua ed ha uno stile forbito (qualità non molto frequenti), pervaso dalla rabbia per l’esistente e dalla passione per un rinnovamento radicale della società - del nostro paese e del mondo - che solo un comunista vero può esprimere e che noi condividiamo pienamente.
Non mi addentrerò nei meandri strettamente tecnici (Rai, Mediaset, network, satellite, analogico, digitale e via divagando) e non solo perché esulano dalle mie competenze specifiche, (io rivendico il diritto alla mia ignoranza!) ma anche perché l’esiguità di spazio per una recensione facilmente pubblicabile mi consiglia di attenermi al discorso sociologico, che è poi la sostanza dell’elaborato.
L’A. ha conservata intatta la sua convinzione ideologica non per fede o inerzia ma per costante conferma critica dell’uomo cosciente e onesto oltreché dello studioso impegnato in tutta l’accezione del termine secondo lo spirito marxista di “teoria e prassi”. Quanto ai fini perseguiti dall’A. come altrettante ragioni di vita, con cui lo Stesso s’identifica, ci troviamo sulla stessa lunghezza d’onda. Pertanto, le mie considerazioni critiche vanno intese proprio nel senso voluto dall’A.: come esercizio del diritto-dovere di comunicare per arricchire-aggiornare la propria esperienza e, nello stesso tempo, ove possibile, l’habitat comune. L’A. non ripropone la “dittatura del proletariato”, ma una “democrazia costituzionale” con l’esercizio effettivo della sovranità popolare e il concomitante potere di revocare (con delibere collettive) i delegati inadempienti e/o indegni. Ma l’A. è come innamorato della nostra Costituzione, che richiama con un’insistenza un tantino eccessiva perfino in una stessa pagina e ne invoca, oltre ai primi quattro articoli (relativi rispettivamente alla sovranità, ai diritti inviolabili, all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e al diritto al lavoro), l’art. 21 (specifico, per quello che l’A. chiama “Diritto A Comunicare”), l’art. 41, relativo alla libera iniziativa economica privata, e l’art. 43, che prevede imprese collettive di servizi pubblici essenziali. Prendo atto di un marxista entusiasta di una Costituzione, quella italiana, che marxista non è.
In diversi articoli editi, io ho parlato di due Costituzioni, accostate, prodotte rispettivamente dalla corrente socialcomunista (o liberale-socialista) e da quella conservatrice, capitalista e confessionale. Non poteva essere diversamente. Una vera matrice consociativa con un prodotto ibrido. Benedetto Croce definì l’art. Sette un “assurdo giuridico”, ma tale era - ed è - tutto l’impianto costituzionale intessuto così bene da essere passato inosservato ad “eminenti costituzionalisti”, e a dispetto di quanti ne fanno una bandiera della “Resistenza”.
Tutto il male sociale giustamente lamentato da Giardino - e non solo in campo mediatico ma anche in quello internazionale, con la “fogna a cielo aperto” (parole dello scrivente) del potere militare Usa - ha una spiegazione come dire “fisiologica” (più avanti dirò “biosociale”) ed una causa (“eziologia”: se vogliamo dirla come i medici) proprio nella decantata Costituzione. La quale contiene certamente tutti gli articoli nobili, cui fa riferimento l’A. - articoli che io condivido e sottoscrivo - ma, come nei cromosomi i geni recessivi cedono a quelli dominanti, così - con totale analogia - l’art. 41 domina su tutti gli altri, e non poteva - e non può - essere diversamente perché l’iniziativa economica privata o è libera o non è quella che dice di essere. Ora il nostro è un sistema capitalista (e non dico niente di nuovo) “impresocentrico”, cioè che “gira attorno all’impresa”, la cui libertà (dalla quale non può prescindere) è tuttavia una “autocoazione”, in quanto DEVE sempre fare qualcosa: DEVE produrre qualcosa, DEVE far consumare quanto produce, DEVE “comprare lavoro” (dice bugiardamente “dare lavoro”). Come una trottola, se cala di giri, si rovescia da un lato ed esaurisce la propria attività.
La motivazione dell’impresario è - e non potrebbe essere diversamente - quella di trarre profitti parassitari dai lavoro-dipendenti. Se è vero - ed è vero - che l’impresario è un uomo di affari, le sorti del nostro paese - come di ogni altro capitalista - dipendono paradossalmente dal successo di affaristi! Tale successo è il prodotto che fa parte di quello “interno lordo”, detto Pil, e attorno a cui girano i conti pubblici e il concetto alchimistico di inflazione. Il Pil è LA ricchezza (si tratti pure dell’auto che ha ormai portato le città all’asfissia per sovrabbondanza e per inquinamento). E agli industriali, paladini dell’art. 41 - si deve gratitudine ed onore perché, nel loro esclusivo interesse, riducono la disoccupazione: la necessità strumentale diventa un merito morale al punto che taluni ricevono l’onorificenza di “cavalieri del lavoro” da parte del presidente della Repubblica.
Ma per far consumare i loro prodotti, non si affidano alla superdecantata “legge della domanda e dell’offerta”, ma si affrettano a produrre essi stessi la domanda attraverso la pratica della pubblicità, che è già bugiarda nella denominazione , perché sottintende l’attributo “consumistica”, che esclude l’informazione, così giustamente cara all’A. del saggio in questione. La pubblicità - una delle voci preminenti della comunicazione televisiva (pubblica e privata), oltre ad essere una contraddizione, è spazzatura mediatica (nel senso autentico della parola) e, dal punto di vista del diritto naturale, un vero e proprio crimine da assimilare alla catechesi infantile, risolvendosi in persuasione occulta ovvero subliminale.
La Costituzione o è socialista o è capitalista. Non può essere l’una e l’altra cosa. Il liberalesimo è semanticamente il padre del socialismo ma, di fatto, è assunto come conferma storica del capitalismo giocando sulla parola “libertà”. Infatti, la libertà economica ci riporta ai primordi della “libertà di predazione” e fagocita le libertà incompatibili come quella della comunicazione. Se la nostra Costituzione è - come è - capitalista (ex famigerato art. 41), essa stravolge tutta la parte “accessoria”, compreso l’art. 11, che i nostri governanti e presidenti calpestano con disinvoltura come si pigia l’uva nei palmenti, parlando di “missioni umanitarie” e di simili barzellette. E l’opposizione - che è più fuori che dentro il parlamento - in quanto forza recessiva, è costretta a subire la forza dominante. Il potere giudiziario non persegue il crimine della pubblicità - né quello delle false missioni umanitarie - per la stessa ragione dinamica: esso è “autonomo nell’applicazione delle leggi, fatte dal potere dominante”. E, seppure abbia la facoltà d’interpretarle, non osa più di tanto!
La spiegazione - oso credere scientifica - di quanto avviene trova una spiegazione sistematica nella biologia sociale, versione naturalistico-biologica della scienza sociale. L’uomo nasce animale e dalla giungla mutua la predazione come modus vivendi: da questo nascerà un certo modo di produrre beni e servizi che sarà chiamato erroneamente economia, mentre si tratta solo di PREDO-nomia. Il capitalismo non è UNA economia ma è LA predonomia. Dall’uso di una moneta non più strettamente di scambio (strumentale), è nata ed è cresciuta enormemente la monetocrazia: una piovra, locale e internazionale (mondiale) di banche (di norma, istituti di usura e ladrocinio) e di borse, gestite dai maggiori imprenditori-predatori transnazionali, con cui finisce per fare i conti ogni singolo Stato, come quello nostro, che con quegli istituti contrae dei debiti (oltre che con il proprio popolo!). In un contesto di “predonomia monetocratica” gli articoli nobili della Costituzione restano necessariamente lettera morta.
Secondo la biologia sociale l’uomo, che non ha ancora superato lo spirito e la logica della predazione, è, per la specie, un “antropozoo”. Gli “antropozoi” più forti sono dei geni dominanti sugli esemplari mansueti o sui soggetti più evoluti come i vari Errico Giardino. Ebbene, la situazione politica ed “economica”, italiana e internazionale, è nelle mani di antropozoi “dominanti”, contro cui l’A. e il sottoscritto abbiamo il solo strumento della comunicazione “contro” (o controinformazione) sommerso dal clamore della comunicazione “affaristica”, e quindi demagogica, falsa e fuorviante, di antropozoi, padroni del sistema a carico di soggetti deboli o evoluti, che ne sono le vittime. L’apoteosi dei calciatori mercenari, vincitori dei mondiali, è un esempio lacrimevole di quanto appena detto.
Il livello ufficiale della civiltà è ancora quello primitivo-adolescenziale, che ci dà una “giungla antropomorfa” (da prendere alla lettera): l’èra dell’uomo adulto sarà - semmai arriverà - quella del vero Stato “di diritto” (in quanto risposta ai diritti naturali), di cui al momento non è il caso di parlare; “sociale” in quanto al servizio della collettività, dove la sola condizione di nato comporta la tutela globale vita natural durante, “etico” (nel senso etimologico della parola). Pertanto, invece, di aspettarsi l’impossibile rispetto di articoli “coreografici”, proprio da marxisti (ma anche solo da socialisti), bisogna gridare “abbasso il capitalismo” (inteso nella sua accezione globale di sfruttamento, concorrenza, mercato e così via) ed organizzare l’unica rivoluzione oggi possibile, quella ”culturale e mediatica”, degli uomini contro gli antropozoi che chiamano sviluppo la crescita del Pil e lasciano ai margini la povertà ed ogni disagio esistenziale dovuto alla prevaricazione, magari legale, di predatori, che oltre a possedere la maggiore fetta dei mass media e del crimine pubblicitario, dispongono di sconfinate aree furtive di paradiso terrestre. La resistenza degli antropozoi dominanti, che usano mezze cartucce tipo Bush, spiega anche l’imperialismo Usa, prodotto biosociale della concorrenza predonomica in campo internazionale. Tutto è strettamente interattivo come in un organismo vivente sui generis.
Il lavoro, che si può dire antologico, di Enrico Giardino è prefazionato da Giuseppe Ferrara, uno dei noti “addetti ai lavori”, il quale mi ha sorpreso nel sentirgli dire di nutrire “troppa stima per la Del Ponte”, il famigerato Pubblico Ministero del tribunale dell’Aja dall’A. definito con piena ragione “fantoccio”. Si tratta infatti di un obbrobrio giuridico. Stando così le cose ed avendo presente lo schema della biologia sociale (compagna, non avversaria, del marxismo), tutto diventa intelligibile. A pag. 137 l’A. esorta a “dare risposte scientifiche e razionali ai problemi attuali”: è quanto fa la biologa sociale. A pag. 17 esorta a costruire “una rete comunicante attiva”: lo faccio da sempre e, da alcuni anni, anche con un’editoria fuori commercio attraverso cui stampo e diffondo dei veri libri (quaderni), utilizzando i contributi volontari degli affezionai per la copertura delle spese vive. A pag. 21 distingue giustamente l’astratta libertà dal concreto diritto (vale proprio per l’astratto liberalesimo). A pag. 46 scrive che “le tecniche espressive, scritte, orali ed audiovisive dovrebbero essere insegnate nelle scuole di ogni ordine”, il che è totalmente condivisibile. Condivisibile è anche “il metodo della democrazia partecipativa” - di cui parla a pag. 97 - ma anche questa, come altri rapporti realizzabili “dentro” il sistema vigente, restano tutt’al più degli àlibi a favore del sistema stesso, se non puntano verso il socialismo. C’è da cambiare tutto ab imis (dalle fondamenta) sempreché non sia troppo tardi.
Vige e impazza la destra anche se si fregia di sinistra. La sinistra vera comincia da uno Stato capace di organizzare il lavoro e di distribuirne i prodotti a tutti i membri della collettività secondo equità e bisogno e con l’uso di una moneta di scambio (passiva) In tale contesto “si gestisce l’esistente”: se esistono beni di consumo, non si comprende perché uno non possa acquistare il proprio fabbisogno “per mancanza di danaro”! E se esiste tutto il materiale edile e tutto il personale lavorativo occorrenti, non si capisce perché non si possa costruire un ospedale “per mancanza di fondi”! Questa è la più grande contraddizione. La Sicilia per decenni ha mandato al macero quantità incalcolabili di agrumi solo per una questione di mercato, mentre bambini e ammalati (e non solo) ne avevano bisogno!
Analogamente, se esistono gli strumenti per comunicare, non si comprende perché alcuni possano servirsene per mandare in circolo (mediatico) tutte le menzogne che vogliono (come fa anche la Rai) mentre milioni di cittadini non possano comunicare le verità di cui sono in possesso. Non comprendo perché il TG3-RaiNews escluda dalle sue pur buone comunicazioni mattutine, l’aurea teoria del Nostro Giardino (e la scienza biosociale dello scrivente ma anche altre cose). In tale contesto, come ho scritto non poche volte, il canone è un vergognoso pizzo di Stato aggravato dal fatto che il costo della spazzatura pubblicitaria grava sui prodotti pubblicizzati.
L’ordine esistente è razionale-manicomiale in cui è normale quanto abbiamo detto fin qui e quindi anche il “monopolio dei giornalisti”, la menzogna della legge uguale per tutti, inaccessibile ai poveri perché cara, la menzogna “dura lex sed lex”, , perché la legalità non è sinonimo di legittimità morale, la mafia, struttura fisiologica del capitalismo, spacciata per “corpo estraneo”, la feudalizzazione dell’Onu e, per finire, gli “ottundori sociali” come quello del calcio, capace di “ottundere-addomesticare” centinaia di milioni di soggetti di diritto (naturale e positivo), in nome di un “agonismo ludico” (da circo romano!), stupido e fuorviante dai reali problemi sociali!
Per amore della Costituzione italiana, l’A. concede alla predonomia dominante delle considerazioni non proprio in linea con il suo dichiarato marxismo, per esempio, in fatto di imprenditoria (che è predazionismo, privato o statale) ma, come ho detto in apertura, il Suo lavoro riveste un’importanza non comune, prodotto di uno del mestiere che sa quel che dice. In appendice (p. 175) la proposta di una “Carta universale dei diritti comunicativi di popoli, cittadini-utenti e lavoratori della comunicazione”, che io non riesco a immaginare fuori di una società socialista. “La COMUNICAZIONE - dice l’A. - è parte fondamentale della vita individuale e dei popoli: è uno strumento decisivo del comportamento per tutti i membri della comunità mondiale”.
(Rec. Libro Giardino - 11.07.06 - 2308)
[1] “Diritto a comunicare e sovranità popolare” - Enrico Giardino - Pref. di Giuseppe Ferrara - Fratelli Frilli Editori - Pagg. 208 - Genova, marzo 2003.