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Don Gelmini aggiornato

Publie le martedì 4 settembre 2007 par Open-Publishing

Ho aggiornato il Masada 514 su Don Gelmini, così si vede anche meglio che stinchi di santo siano quelli a cui il Cavaliere dà il suo appoggio
Veramente c’è da allibire.

Come è scandaloso doversi chiedere come mai la Chiesa, così pronta a sospendere a divinis uno come don Vitaliano della Sala, che pensa solo alle sofferenze e alle miserie della gente, sia invece così tollerante con figure così controverse e per quanto riguarda la pedofilia e per quanto riguarda la morale finanziaria o la megalomania personale.

Come mai Bertone così attento, come Ruini, a sindacare chicchessia e ad entrare così spesso nelle faccende dello Stato ha invece gli occhi così ciechi da non vedere ciò che si svolge entro la sua stessa Chiesa?

viviana

http://www.masadaweb.org

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Valerio Gigante

ADISTA

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Ha detto di essere vittima della “lobby ebraica-radical-chic” (ritrat¬tando poi lo scivolone, costatogli una valanga di critiche e la rinuncia dell’avvocato Franco Coppi a difenderlo), della massoneria, dei gay, del laicismo radicale, della magistratura anticlericale. Ma la vicenda di don Pierino Gelmini, indagato dai pm di Terni per presunti abusi sessuali nei confronti di alcuni ragazzi della Comunita’ Incontro (ad accusarlo, diversi ex ospiti della struttura da lui fondata e diretta) parte da lontano.

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La “vocazione” dei fratelli Gelmini

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Quella dei Gelmini e’ infatti una biografia lunga e con diverse zone d’ombra. Nato nel 1925 in provincia di Milano, ha vissuto e studiato in Lombardia. Ma e’ stato ordinato prete nel 1949 lontano dalla sua zona di origine, nella diocesi di Grosseto. Circostanza curiosa, che le note biografiche riportate sul sito web della Comunita’ Incontro spiegano cosi’: da Milano, Gelmini si presenta al vescovo di Grosseto, “diocesi bisognosa di clero”, e “si prepara al sacerdozio A quell’epoca il vero “don Gelmini”, quello famoso, non era lui, ma il fratello padre Eligio, esuberante frate minore che preferiva il cachemire al ruvido panno francescano, precursore di tante figure di preti mediatici e mondani che frequentano salotti, feste e studi televisivi. Padre Eligio era confessore e assistente spirituale di vip e calciatori (era, tra l’altro, il “cappellano” del Milan, oltre che amico intimo di Gianni Rivera), l’unico prete al mondo a poter vantare di aver concesso un’intervista al settimanale sexy Playboy, frequentatore di eventi mondani, nonche’ fondatore della comunita’ di recupero per tossicodipendenti «Mondo X» e del Telefono Amico.

Particolarmente dettagliata nel raccontare i primi anni di sacerdozio di don Pierino - che negli anni ‘60 diventa segretario del card. Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires fino al 1959, passato poi in forze alla Curia vaticana come Cancelliere di Santa Romana Chiesa -, la sezione del sito internet della “Comunita’ Incontro” dedicato alla biografia di Gelmini omette del tutto gli eventi che caratterizzano il periodo che va dalla meta’ degli anni sessanta al 1979. Sono infatti gli anni in cui per don Pierino iniziano i problemi con la giustizia e le vicissitudini giudiziarie.

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I primi guai giudiziari

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“Gia’ nel 1965 - racconta Marco Lillo in un articolo pubblicato dall’Espresso il 16/8 - un anno prima di darsi ai tossicodipendenti, il sacerdote aveva comprato la splendida tenuta di Caviggiolo con tanto di maniero e riserva di caccia a Barberino del Mugello, sull’Appennino toscano. I giornali dell’epoca raccontano che gli assegni per 200 milioni di lire (del 1965) con¬segnati alla Societa’ Idrocarburi per l’acquisto erano scoperti e il tribunale inflisse tre mesi di galera a don Pienino”.

Nel 1969 il prete acquista un’altra villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, una delle piu’ “in” dell’hinterland romano. La biografia ufficiale di Gelmini si limita ad accennare all’abitazione definendola “una casa piu’ ampia” di quella dove don Pienino aveva sino ad allo¬ra vissuto.

Per la precisione si trattava invece di una villa in cortina a due piani protetta da un largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, un vasto giardino in cui era custodita una Jaguar, piscina, due cani, tre persone a servizio: un autista, una cuoca e una cameriera. Insomma, se al fratello Eligio piaceva la bella vita, don Pierino non era da meno. Ma il tenore di vita di don Pierino viene compromesso dalla magistratura: il 13 novembre 1969 i carabinieri lo arrestano nella sua abitazione (grande scalpore sui giornali dell’epoca suscito’ la notizia che i carabinieri avevano trovato una Jaguar nel giardino di don Pierino) per emissione di assegni a vuoto, truffa e fallimento di una cooperativa di costruzioni collegata con le Acli di cui il sacerdote era tesoriere e che doveva costruire palazzine all’Eur. Gelmini viene anche coinvolto in un inchiesta che riguarda la ditta di import-export tra Italia e Argentina che aveva costituito sfruttando - si disse - le buone entrature ottenute attraverso i servizi resi al card. Copello.

Nel 1970 il prete ripara quindi all’estero, nel Vietnam del Sud, dove fa amicizia con l’ex arcivescovo della cittadina di Hue’, mons. Pierre Martin Ngo Di’nh Thuc, fratello di Jean Baptiste Ngo Di’nh Diem, dittatore del Vietnam del Sud, assassinato nel 1963, ormai caduto in disgrazia presso gli Stati Uniti. Ma anche in Vietnam Gelmini ha grane con la giustizia: proprio dall’ex-arcivescovo di Hue’, insieme a madame Nhu, vedova del fratello minore del presidente Die’m e per anni sua first lady, viene denunciato per appropriazione indebita. Nel 1971 torna in Italia. Ed entra in carcere. Il processo a suo carico si era infatti concluso con la condanna a quattro anni, che don Pienino scontera’ interamente.

Uscito di prigione - dopo aver trascorso un breve periodo di ritiro in Maremma per vo¬lonta’ delle autorita’ ecclesiastiche - nel 1976 don Gelmini torna in cella, ad Alessandria. Insieme al fratello Eligio e’ infatti accusato di aver ricevuto una bustarella di 50 milioni da Vito Passera, imprenditore in difficolta’ che puntava sui buoni uffici dei fratelli Gelmini per diventare console onorario della Somalia e ottenere facilitazioni nel commercio di burro tra gli Usa e il Paese africano. Stavolta pero’ in prigione don Pienino ci rimane poco tempo.

Assieme al fratello, viene prosciolto dalle accuse e nel ‘77 e’ di nuovo nella sua villa romana a Casal Palocco. Nel 1979 don Pierino, sulle orme del fratello (che nel 1974 era riuscito a farsi assegnare gratuitamente dal conte Lodovico Gallarati Scotti l’uso del suo castello di Cozzo Lomellina come sede del suo “Mondo X”), da’ inizio al business antidroga .

1979: nasce la holding della tossicodipendenza

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“Don Gelmini Spa”, titola il 16 agosto l’Espresso, ricostruendo la nascita dell’impero economico del prete antidroga. La prima comunita’ di recupero nasce ad Amelia, in provincia di Terni. Don Pierino si fa assegnare in comodato d’uso per 40 anni un frantoio abbandonato, il Mulino Silla, in una piccola valle chiamata delle Streghe, facendone la sede della sua nuova attivita’.

Nel 1988 sindaco di Amelia diviene l’ex leader della Cgil Luciano Lama. E’ lui a segnalate alla procura il fatto che a don Pierino i vincoli del piano regolatore stavano stretti e i piccoli casali abbandonati che andava acquisendo si trasformavano in enormi strutture senza le necessarie autorizzazioni. “Alla fine - racconta l’Espresso - tutto fu sanato, grazie anche ai socialisti della giunta”. Cosi’ le proprieta’ immobiliari della Comunita’ Incontro hanno potuto estendersi senza sosta, al punto da comprendere, nella sola provincia di Terni, boschi, uliveti, vigneti e pascoli per una ventina di ettari, oltre a diversi fabbricati sparsi tra Cenciolello, Porchiano e la strada di Orvieto.

Oggi la Comunita’ di don Gelmini conta ufficialmente 164 sedi in Italia e 74 nel mondo. Dati contestati pero’ da Stefania Nardini in un articolo comparso su Gente d’Italia, quotidiano italiano delle Americhe. La giornalista, che ha passato un periodo presso la Comunita’ Incontro, racconta di culto della personalita’, di body guard armati di pistola, di macchinoni di lusso (un vizio antico), di disparita’ nel trattamento degli ospiti, ma anche di cifre gonfiate a beneficio della sua immagine pubblica: “Si parla di 164 sedi residenziali in Italia - scrive la Nardini - e invece sono 64, di 180 gruppi d’appoggio che in realta’ sono una ventina, di un turnover residenziale di 12 mila persone (turnover in cui sono comprese semplici richieste di informazioni), di 126.624 ingressi in comunita’ tra il 1990 e il 2002, mentre attualmente si registrano non piu’ di 20 o 30 colloqui al mese, il che significa al massimo 360 ingressi all’anno, cifra che si riduce alla meta’ considerando coloro che rinunciano”.

Anche sui cospicui introiti delle Comunita’ i numeri sono incerti: “La trasparenza ammini¬strativa - racconta l’Espresso - non e’ mai stata una priorita’ della comunita’. Sul sito internet non c’e’ traccia del bilancio. Bisogna andare alla Camera di commercio a Roma per scoprire che la Comunita’ Incontro, organizzazione non lucrativa a fini sociali, e’ presieduta da una sconosciu¬ta: Umbertina Valeria Mosso, avvocato di 86 anni. Il comitato direttivo e’ composto dalle persone piu’ vicine a don Pierino, come Claudio Legramanti e Claudio Previtali e dal ‘don’, che e’ il segretario generale, ma con ampi poteri di gestione”.

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La politica: un ritorno di “fiamma”

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In ogni caso, il suo piccolo impero don Gelmini lo ha realizzato anche in virtu’ delle sue ottime entrature politiche, oltre che alle cospicue donazioni che il suo carisma ha saputo intercettare. Solo in occasione della megafesta per gli 80 anni di don Pierino, nel 2005, Berlusconi dichiaro’ di volergli devolvere 10 miliardi delle vecchie lire. Alla mega kermesse in onore del prete ottuagenario c’era anche un altro grande amico di Gelmini, l’allora ministro Mauri¬zio Gasparri. Insieme ad altri rappresentanti del governo, come Rocco Buttiglione e Pietro Lunardi, oltre a Gustavo Selva e ad una sfilza di sottosegretari. E ad un esponente della “Prima Repubblica”, l’ex ministro della Sanita’ Francesco De Lorenzo, da anni tra i volontari della “Comunita’ Incontro”.

A tanta benevolenza da parte del leader e degli esponenti della Casa della Liberta’, Gelmini ha sempre risposto con una indefessa militanza a destra, che - oltre ad intercettare verso Berlusconi il consenso di migliaia di visitatori ed ospiti (nonche’ delle loro famiglie) passati in co¬munita’ negli ultimi 30 anni - si e’ piu’ volte caratterizzata con la presenza di Gelmini a manifestazioni politiche ed elettorali. Lo si e’ visto spesso con esponenti di An (lo scorso anno, in campagna elettorale, era a fianco del candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno).

Nel 2006 don Pierino fu uno dei maggiori sostenitori della nuova legge sulla droga che ha eliminato la differenza tra droghe leggere e pesanti. “Grazie, Gianfranco, per la legge contro la droga, affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani”, disse don Gelmini ai delegati di An presenti alla conferenza programmatica del partito, il 5 febbraio 2006.

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Le accuse a don Gelmini: nella Chiesa, qualcuno sapeva

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Le recenti accuse di molestie sessuali hanno - per la verita’ - qualche precedente negli anni d’oro della Comunita’ incontro. Come quando, il 23 novembre 1991, venne ritrovato morto sgozzato a Rimini Fabrizio Franciosi, cittadino di San Marino, anni prima ospite della Comunita’ del Mulino Silla. Durante le indagini, il fratello della vittima racconto’ che poco tempo prima di morire Fabrizio gli aveva raccontato di aver subito da don Gelmini abusi sessuali in una casetta nel parco della comunita’. Nel 2003 don Antonio Mazzi, animatore della comunita’ per tossicodipendenti Exodus, ricevette la lettera di un ragazzo che raccontava di aver subito molestie sessuali da parte di don Gelmini nel 1993, quando aveva trascorso un periodo di sei mesi ad Amelia. Poi il giovane si era trasferito in una struttura di don Mazzi, con il quale si era confidato ed aveva continuato a mantenere rapporti epistolari. Ma Mazzi ha raccontato questi fatti solo nelle scorse settimane, quando il caso don Gelmini era gia’ scoppiato.

Sentito dal procuratore di Terni Carlo Maria Scipio e del pm Barbara Mazzullo, Mazzi ha comunque ribadito punto per punto cio’ che aveva gia’ rivelato circa il contenuto della missiva.

Nel 2004, un libro di Marco Salvia, “Mara come me” racconta la vita all’interno di una comunita’ di recupero di tossicodipendenti, delineata nei termini di un lager gestito da un prete bigotto e fanatico e da responsabili violenti. La storia e’ romanzata, ma il 23 gennaio 2005 il quotidiano il manifesto pubblica una lettera con cui l’autore usciva allo scoperto, dichiarando che i fatti narrati nel libro erano reali e che dietro la figura di don Luigi, il padre-padrone della comunita’, si celava don Pierino Gelmini.

E poi ci sono le accuse fatte da Bruno Zanin nel suo libro-autobiografia Nessuno dovra’ saperlo, in cui afferma di aver subito abusi sessuali da Don Gelmini all’eta’ di 13 anni (il capitolo che parla dell’abuso e’ stato messo online dall’autore all’indirizzo internet ).

Nel libro, Zanin, che e’ Stato negli anni ‘90 collaboratore di Radio Vaticana, racconta anche di aver parlato degli abusi all’allora direttore dei programmi dell’emittente, p. Federico Lombardi (oggi direttore della Sala Stampa vaticana) ed a mons. Giovanni d’Ercole, religioso orionino, capo ufficio della sezione affari generali della segrete¬ria di Stato del Vaticano, da sempre amico di don Pierino e da qualche mese direttore responsabile della rivista della comunita’ “Il Cammino” e dell’emittente Tele Umbria Viva, di cui Gelmini e’ proprietario.

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Titoli e sottotitoli

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Anche con la Chiesa cattolica i rapporti, a dispetto delle difese d’ufficio tratta che oggi vengono fatte di don Pierino come dell’ennesimo prete vittima delle persecuzioni mediatiche e laiciste, sono piuttosto tesi. Fin dal 1963, quando don Pierino inizio’ a fregiarsi del titolo di monsignore, senza esserlo, il Vaticano ha iniziato a diffidano dall’utilizzare quel titolo e in seguito lo ha anche sospeso a divinis. Sospensione poi ritirata, ma il titolo tanto agognato non arrivava. Nel 1988 Gelmini risolse allora il problema con un abile escamotage: pur essendo un prete di rito latino, aderi’ ad una Chiesa cattolica di rito orientale, quella melkita, e si fece insignire del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita. Titolo onorifico che non equivale certo a quello di vescovo. E nemmeno a quello di monsignore.

Nelle biografie “ufficiali” di don Gelmini pero’ il titolo ottenuto dalla Chiesa melkita e’ messo in grande evidenza insieme ad un’altra lunghissima sequela di bizzarri riconoscimenti: da “maggiore garibaldino e primo cappellano della Legione Garibaldina” a “gran comandante dell’Ordine di Ge’orge Washington”). Non solo per la sua altisonanza, ma perche’ da’ all’esuberante prete il diritto all’uso dell’anello, della mitra, della croce e del pastorale quando celebra la messa con rito greco (o avendo ottenuto dal Vaticano uno speciale permesso a celebrare con il doppio rito). Ma a don Gelmini certe sottigliezze liturgiche vanno strette e la messa continua a celebrarla in rito romano, vestendo pero’ i sontuosi paramenti greco-cattolici.

Una piccola rivincita con la gerarchia che tanto lo ha bistrattato don Pierino se l’e’ presa il 20 ottobre del 2000, quando Wojtyla ricevette in piazza San Pietro trentamila rappresentanti delle Comunita’ Incontro. La benedizione del papa polacco non ha pero’ migliorato i difficili rapporti con la Curia, che continua a non amarlo. Recentemente, al card. Francesco Marchisano, presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, che gli ha chiesto di fare un passo indietro per meglio difendersi dalle accuse, don Pierino ha risposto: “Mi chiede di fare un passo indietro? Lo faccia lui in avanti, in un burrone”. E comunque, ha tenuto a precisare don Pierino, “io non guido un’associazione religiosa, ma laica”.