Home > Don milani 17/10/1965
Sergio Paronetto
17 ottobre 2005
1965: quarant’anni fa.
In febbraio la risposta ai cappellani militari toscani che hanno definito
l’obiezione di coscienza al servizio militare "espressione di viltà". In
ottobre la lunga "Lettera ai giudici" confluita, con la prima, nello
splendido libretto "L’obbedienza non è più una
virtù".
Meditando sui fatti contemporanei, sul ruolo educativo della scuola,
sull’urgenza di testimoniare la sua fede cristiana e sull’importanza della
Costituzione italiana, don Lorenzo Milani indica un orizzonte culturale,
apre un cammino pedagogico, diventa maestro di
pace.
La sostanza del messaggio milaniano consiste nel richiamo alla gravità della
guerra moderna, nell’appello alla sovranità del cittadino, nella centralità
della coscienza responsabile. Davanti all’accusa dei cappellani militari,
don Milani si fa carico del turbamento dei suoi ragazzi e scrive ai giudici:
"Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce
all’ingiustizia.
Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al
sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi
responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande
’I care’. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ’Me ne
importa, mi sta a cuore’. È il contrario del motto fascista ’me ne
frego’.
Richiamandosi a Socrate, a Gesù Cristo e a Gandhi, don Milani insegna la
"tecnica dell’amore costruttivo per la legge" che può portare a "pagare di
persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha
coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede". Questo
dovrebbero fare oggi i cittadini italiani, soprattutto i credenti davanti
alla guerra basandosi su tre principi del
diritto:
a) L’Italia ripudia la guerra secondo l’articolo 11 della Costituzione
b) Anche il soldato ha una coscienza
c) La responsabilità in solido
a)La parola ripudia, osserva don Lorenzo, è molto ricca di significato, è
una parola globale, "è un invito a buttar tutto all’aria: all’aria buona" e,
quindi, a ripensare la storia alla luce del verbo ripudia, a scoprire che
quasi tutte le guerre sono da registrare sotto la voce offesa, aggressione,
massacro.
b) Il soldato non deve obbedire quando l’atto comandato è manifestamente
delittuoso. Non hanno un minimo di parvenza di legittimità le decimazioni,
le rappresaglie, le deportazioni, le torture, le guerre coloniali, l’uso di
armi vietate dal diritto internazionale. L’obbedienza cieca ha prodotto
criminali di guerra. Per fortuna molti hanno disobbedito anche in passato.
Tra essi "cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri.
Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli
della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D’Annunzio e ci han
regalato il fascismo e le sue
guerre".
c) È per questo che va dichiarata la responsabilità in solido. Lo scoppio di
una guerra è frutto di una lunga preparazione cui hanno collaborato in
tanti. Ma ognuno è responsabile. Nessuno può tacitare la coscienza
scaricando su altri il peso di un massacro, se vi ha partecipato (anche solo
nella Croce Rossa). Occorre "avere il coraggio di dire ai giovani che essi
sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la
più subdola delle tentazioni,
che
non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio,
che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di
tutto".
Oggi giunge a terribile maturazione lo scenario strategico militare previsto
dalle ultime pagine di "L’obbedienza non è più una virtù" dove spiccano due
questioni.
1. Ormai la guerra uccide prevalentemente i civili, "le armi attuali mirano
direttamente ai civili" ("Si salveranno forse solo i militari"). Le
statistiche ufficiali dell’ONU sulle guerre dell’ultimo mezzo secolo
confermano il suo giudizio. Il 90% delle vittime è composto da
civili.
2. La guerra "giusta" non esiste più. "La guerra futura" - cioè le guerre di
oggi, le nostre guerre - sarà "o aggressione o vendetta". Non solo. Il
carattere delle armi moderne ci spinge a dichiarare che "è in gioco la
sopravvivenza della specie
umana".
A tali guerre "il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere".
Insomma la guerra è uscita per sempre dai sempre discussi criteri di
razionalità (ammesso che l’abbia mai
avuta).
In questo don Milani è molto vicino alla "Pacem in terris" (1963), a quel
passo dove Giovanni XXIII afferma che "nell’era attuale, che si gloria di
possedere l’arma nucleare, è assurdo pensare che la guerra possa servire per
ristabilire i diritti violati". È assurdo. È impossibile.
L’alienum a ratione esprime proprio l’idea di assurdità totale, di patologia
cerebrale, di alienazione mentale. Un educatore deve sempre rammentare che
la guerra è sconfitta della cultura e dell’educazione. Se insegnanti e
studenti accettano la normalità della guerra, la scuola fallisce. La civiltà
decade. L’educatore che esalta o difende la guerra (o che si mostra
indifferente ad essa) non sa educare. Dovrebbe cambiare mestiere.
Don Milani ci offre l’esempio di una scuola per la pace. È cosciente di
quello che afferma la Carta dell’ Unesco: "Poiché le guerre hanno inizio
nella mente degli uomini, è nella mente che bisogna costruire le difese
della pace". La guerra oggi è come il terrorismo. La guerra-terrorismo
colpisce gli inermi per disarmare gli armati. Trascina nel fango ogni
bandiera perché assume il peggio della storia, delle ideologie e dei
fanatismi e celebra le sue vittorie senza curarsi delle sofferenze umane.
È per questo che molti sono andati e vanno ancora in carcere in vari Paesi
del mondo fedeli alle indicazioni della coscienza sovrana e responsabile!
Che 800 veterani del Vietnam e della prima Guerra del Golfo hanno invitato i
loro colleghi soldati a disobbedire agli ordini della guerra in Iraq per non
macchiarsi di assassinio.
Che 14.000 intellettuali statunitensi hanno firmato un documento contro
l’illegalità della guerra all’Iraq.
Che molti studenti e soldati israeliani si sono rifiutati di combattere nei
territori occupati.
Che Rachel Corrie è stata uccisa...
Davanti alla spaventosa novità della guerra moderna ritorna il valore
dell’articolo 11 della Costituzione italiana. Il verbo ripudiare è
fortissimo. Vuol dire rifiutare la guerra come un fenomeno ripugnante, cioè
refrattario, disdicevole, disgustoso, incompatibile, nauseabondo, nauseante,
odioso, stomachevole, sconveniente.
Per ripudiare la guerra, specifica la Costituzione, è necessario mobilitare
gli organismi internazionali. L’articolo 11 ha una valenza planetaria.
Nella Costituzione italiana e nella Carta dell’ONU s’avverte in profondità
lo spirito della nonviolenza intesa come azione per la pace con mezzi di
pace, nuovo diritto internazionale, impegno per la libertà, per la
giustizia, per la democrazia, per la
solidarietà.
Si è compreso che oggi ogni guerra è sempre una shoà, un gulag, una
Hiroshima.
Ripensare don Milani vuol dire non rassegnarci. Alzarsi in piedi. Resistere
e progettare. Formarsi e agire. Mettersi in
rete.Sviluppare un grande movimento per il disarmo. Boicottare l’economia di
guerra. Organizzare l’obiezione di coscienza al sistema della
guerra.Promuovere forme ampie e articolate di disobbedienza civile.
Scegliere la forza creativa della nonviolenza.