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Donne e violenza, un contributo al dibattito

Publie le giovedì 3 luglio 2008 par Open-Publishing
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Donne e violenza, un contributo al dibattito

di Ilaria Lista, circolo PRC Pavia

Il bellissimo film "Vogliamo anche le rose" della regista Alina Marazzi, uscito nel 2007, offre degli spunti molto interessanti per il dibattito fortunatamente sempre vivo sull’eterna, dolorosa questione della violenza contro la donna.

La regista, nota per l’intenso e femminile film-documentario “Un’ora sola ti vorrei”, ci dà con la sua ultima creazione un film forte e femminista nel senso più bello della parola, con lo scopo di raccontare la liberazione sessuale della donna a partire dagli anni Sessanta, e di conseguenza la condizione della donna in quei decenni apparentemente lontani e invece ancora così vicini a noi. Condizione che in parte è sconosciuta alle giovani donne e, in generale, ai giovani, oggi.

Sparse qua e là nel film, ecco queste note dolorose, in mezzo a molte altre: fino all’anno 1975 il Diritto famigliare consacrava il marito a capo della famiglia (art. 144); l’adulterio femminile era considerato una delle ragioni per ottenere la separazione con la colpa di lei – l’adulterio maschile no (art. 151); il delitto d’onore, previsto nel Codice penale fino al 1980, era punito con una pena minima e considerato un’attenuante dell’omicidio.

Cosa più nota, la donna aveva il dovere e l’obbligo di astenersi dai rapporti sessuali fino al matrimonio. Si pensi poi che la contraccezione era considerata dalla legge italiana degli anni Sessanta reato contro la stirpe (la pillola sarà legalizzata solo nel 1971 nel nostro Paese): tutto questo cosa voleva dire? Innanzitutto l’aborto, per una giovane coppia non sposata, per non suscitare scandali e il rifiuto della famiglia; aborto clandestino estremamente doloroso e rischioso, fino al 1978 (legge 194).

Oppure, per contro, famiglie numerose, in cui il dovere della donna era fare figli e crescerli, spesso rinunciando al proprio lavoro e dunque all’autonomia economica e non solo. La maternità non era una scelta.
Non si può evitare di notare il miglioramento che si è realizzato negli anni, rispetto a quei tempi, nella condizione della donna; tuttavia, come è noto, le conquiste ottenute non sono proporzionate allo sforzo e non sono ancora sufficienti.

Ancora oggi, troppo spesso, la maternità non è una scelta.

Il lavoro precario nega troppo spesso e troppo a lungo il diritto alla maternità, e alla paternità.

La donna è discriminata ancora troppo spesso sul posto di lavoro: come è noto lo stipendio recepito dalla donna all’interno di molte professioni è regolarmente inferiore a quello dell’uomo; una giovane donna in età da figli fatica troppo spesso a trovare un’occupazione stabile, in quanto ritenuta poco produttiva. Una gravidanza costringerebbe infatti i datori di lavoro a concederle la scomoda, sconveniente maternità pagata.

Ancora oggi è poco riconosciuto il doppio lavoro della donna. Il fatto stesso che esista il problema del doppio lavoro significa che non si è raggiunta una reale parità dei diritti e dei doveri, nella famiglia, tra uomo e donna.

Ancora oggi infine la donna è consigliata da altri su ciò che deve fare del proprio corpo – su ciò che può fare o meno – soprattutto in relazione al diventare madre. Si pensi alla discussione sull’aborto e sulla fecondazione assistita. In Italia assistiamo purtroppo a continue ingerenze delle gerarchie vaticane, del papa, della chiesa cattolica su temi come questo: il destino dell’Italia è stato segnato da sempre dalla presenza del papa nel bel mezzo del suo territorio, proprio a due passi da Roma, città dalla quale i governi regolarmente lo elogiano e lo eleggono a consigliere.
Bisogna dire che le gerarchie di tutte le Chiese si sentono da sempre autorizzate ad intervenire nella vita della donna (e non solo), svelando la loro essenza maschilista e conservatrice.

Per quanto riguarda la violenza in senso più stretto, come non ricordare l’arretratezza dell’Italia nella legislazione sul tema. Solo nel 1981 è stata abolita la concessione del matrimonio riparatore allo stupratore; solo dal 1996 lo stupro è considerato reato contro la persona e non contro la morale. Non esiste poi, in Italia, una legge sulla violenza nelle famiglie che preveda una prevenzione.

Un problema sociale come quello della violenza sulla donna è oggi – fatto gravissimo – ridotto dal governo a problema di sicurezza e di ordine pubblico, quando come è noto in più del 90 % dei casi la violenza avviene tra le mura domestiche, all’interno della tanto sacralizzata famiglia.
Troppo diffusa è ancora l’immagine del violentatore come straniero ed emarginato, nonostante le cifre date e note. Così viene mostrato dai media: rumeno, zingaro, albanese, marocchino. Fomentando un clima di sospetto verso il diverso da sé, verso lo straniero, che pare inestirpabile.

Certamente fa molta più notizia (pur essendo molto meno sovversiva) una violenza compiuta da diversi, e in situazioni di marginalità, quali la periferia, la stazione ferroviaria. In realtà la violenza verso la donna esiste purtroppo da sempre nella storia dell’uomo, senza distinzioni di ceto, età, cultura, nazionalità. Troppo spesso l’amore è vissuto come proprietà e la donna è vista come creatura da possedere.

Il rispetto per la donna andrebbe insegnato sin dall’infanzia ai bambini e poi ai giovani uomini, così come alle bambine e alle ragazze andrebbe maggiormente trasmessa la consapevolezza di sé, della propria importanza come individui, dei propri diritti. Non si potrà mai porre abbastanza l’accento sull’importanza dell’educazione per cercare di arginare un fenomeno che porta con sé infinito dolore e che purtroppo non registra alcuna diminuzione.

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