Home > Dove si ferma la libertà di stampa? Sull’uscio della casa dei padroni
Dove si ferma la libertà di stampa? Sull’uscio della casa dei padroni
Publie le sabato 27 maggio 2006 par Open-Publishingdi Piero Sansonetti
C’è un discreto entusiasmo nei giornali italiani per la relazione tenuta giovedì da Cordero di Montezemolo all’assemblea di Confindustria. E anche dove non c’è entusiasmo pieno, non traspaiono critiche. Trascrivo i titoli dedicati all’evento dai più grandi quotidiani italiani (“Corriere”, “Stampa”, “Repubblica”, “Messaggero”, tralascio il “Sole” per ovvie ragioni): «Montezemolo incalza il governo», «Montezemolo: servono scelte coraggiose», «Montezemolo: servono scelte coraggiose e impopolari», «Prodi non conquista gli industriali», «Montezemolo: è tempo di scelte coraggiose», «Scelte coraggiose o il paese non ce la fa», «Montezemolo: non faremo sconti a questo governo».
Lasciamo stare la questione della assenza di fantasia, è secondaria. E’ un’altra la questione: possibile che tutti - tutti - abbiano lo stesso punto di vista, che tutti sentano di dover sottolineare il “coraggismo” di Montezemolo, la sua ricerca di “intrepidezza”, la sua volontà di rigore? Possibile che tutti non trovino niente da ridire sul fatto che il capo della Confindustria detti i suoi desiderata al governo, come fosse lui il vero padrone dell’Italia? Possibile che nessuno abbia qualche osservazione da fare sulla impressionante vuotezza di analisi - di indagine, di proposta, di conoscenze - che è a prima vista la caratteristica essenziale della relazione di Montezemolo? Possibile che nessuno trovi il modo per far notare che il capo degli industriali non ha detto una parola sola sul giudizio spietato, reso pubblico appena 24 ore prima dall’Istat, sulla debolezza - sull’inconsistenza - del ceto industriale italiano, né sul fatto che la stessa Istat ci abbia svelato che il problema del costo del lavoro nel nostro paese non esiste - perché è di gran lunga il più basso d’Europa? Possibile che nessun giornale - nessuno - trovi curioso che il leader degli imprenditori non si sia accorto che la borghesia italiana vive una crisi assai più profonda - storica - rispetto a quelle delle altre borghesie europee, eccetera, eccetera, eccetera?
Badate bene che queste cose che diciamo sono assolutamente moderate. Cioè, non ci aspettavamo dal capo della Confindustria una analisi sulle falle del sistema di mercato, sui colpi a vuoto e i disastri del neoliberismo, e altri argomenti del genere. Sappiamo che non è materia per lui. Ma sarebbe stato ragionevole aspettarsi un riconoscimento della debolezza del ceto industriale italiano, e l’individuazione di questa debolezza come una causa della crisi economica, e della particolare arretratezza dell’apparato industriale italiano. O qualche considerazione sul fatto che i dati dicono che i settori pubblici sono più produttivi dei settori privati. E che il precariato sta diventando il modello principale nelle relazioni di lavoro, e che i lavoratori precari guadagnano stipendi inferiori ai limiti della povertà, e questo non è un fattore di crescita per la nostra economia.
Cose semplici, da borghesi intelligenti, non da anarchici o comunisti dell’ottocento. E se anche tutto questo non era alla portata di Montezemolo, almeno ci saremmo aspettati che i giornali, il giorno dopo, dicessero: beh, quella relazione non valeva niente.
Invece solo elogi. E critiche, critiche dure, alla politica, perché è la politica la ragione vera e unica della crisi: l’incompetenza, la tirchieria, la mancanza di “visione” del ceto imprenditore non c’entra niente. Si legge nell’editoriale del “Corriere della Sera” (firmato da Dario Di Vico, che in genere è un eccellente giornalista e analista): «Montezemolo ha saputo rappresentare non solo le ragioni dell’impresa ma la pancia degli imprenditori... quando ha fatto capire al nuovo governo che non farà sconti... quando ha denunciato a gran voce l’invasione del professionismo politico, diventato di gran lunga la prima azienda del paese... di fronte all’incalzare di Montezemolo la risposta della politica è stata debole...».
Gli editoriali degli altri giornali sono simili.
Quale problema si pone? Un problema semplicissimo: si ha l’impressione che la libertà di stampa, in Italia, sia molto ampia ma non completa: si ferma sulle soglie delle case padronali. Scusate il linguaggio un po’ antico, ma è così. Ed è una cosa molto grave. I giornali italiani non sono mai teneri con gli esponenti del mondo politico, col governo (che governa male), con l’opposizione (che fa male l’opposizione), coi sindacati, coi movimenti, coi no global, talvolta persino coi preti e i vescovi. Sono tenerissimi coi padroni. Escludono proprio a priori l’idea che di fronte ai padroni si possano svolgere analisi critiche. I discorsi dei padroni vanno riportati e basta. Ed esaltati, eventualmente, se sono di polemica esplicita col mondo politico, perché il mestiere dei giornali è criticare la politica.
Ora voi capite che in questo modo non è che si nasconde una parte della realtà: si deforma tutta la realtà. E’ come se io cercassi di vedere una certa cosa applicando a un occhio una lente di ingrandimento potente e all’altro occhio un microscopio. Il risultato è che l’immagine che ne ricevo è del tutto falsata. E’ deforme. Così è l’immagine che la stampa italiana ci dà della realtà.
Da che dipende questo? Evidentemente dal fatto che la stampa è interamente in mano ad una editoria padronale. Non esistono, o quasi, editori puri, e anche quelli che esistono sono comunque strettamente collegati ai grandi poteri economici e finanziari. Per correggere questo stato di cose occorre una legislazione che promuova le possibilità di fare informazione anche senza essere un potentato economico.
Come? Discutiamo, ragioniamo, cerchiamo soluzioni. Con grande apertura mentale ma con la certezza che se non si risolve questo problema, l’Italia non può dire di avere piena libertà di stampa.
P. S. Montezemolo si è scagliato contro i costi eccessivi della politica. Forse ha ragione. I costi sono eccessivi. Però abbiamo fatto questo piccolo calcolo: la somma dei lauti stipendi percepiti da tutti i deputati e tutti i senatori di Rifondazione (che rappresentano un po’ più del 7 per cento del paese) sono decisamente inferiori al solo stipendio di Montezemolo. E’ normale?