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Due supergiudici con la nausea davanti alla fossa
Publie le venerdì 29 agosto 2008 par Open-PublishingDue supergiudici con la nausea davanti alla fossa
di G.P.
I due giudici davanti ad una fossa comune non ce la fanno a nascondere la nausea per la puzza di morte. Sotto di loro ventidue cadaveri. Moreno e Garzón si tappano naso e bocca con i fazzoletti. Sono gli unici a farlo. I colombiani sono abituati.
Quella scavata nei dintorni di Turbo è l’ultima delle millecinquecento fosse indicate dai paramilitari, dopo le loro parziali confessioni. La maggior parte sono state scoperte nella regione di Antiochia, soprattutto a nord, verso Panama e il mar Caribe, dove la selva rigogliosa percorsa da fiumi profondi è abitata soprattutto da indios e afro-discendenti: un paradiso terrestre rimasto tranquillo fino a quando il presidente liberale Ernesto Samper annunciò che sarebbero arrivati progresso e civiltà. Invece arrivarono i reparti della XVII° brigata e con loro i reparti paramilitari delle Autodefensas, cresciuti con i soldi dei narcos e nutriti dalla smobilitazione di parte della guerriglia maoista dell’Epl.
I loro massacri erano compiuti in nome della lotta al comunismo. In realtà la carneficina aveva altre ragioni, ad esempio l’espansione e il controllo della coltivazione intensiva delle banane prima, della palma africana poi, la costruzione del Canale interoceanico da affiancare quello di Panama o delle mega-dighe per produrre energia, tutta da da esportare, visto che nella zona più piovosa del mondo dopo il Borneo la gran parte degli umani non gode di luce e nemmeno d’acqua potabile.
Quando Alvaro Uribe fu eletto governatore di Antiochia, a dirigere la Brigata fu spedito il generale Rito Alejo del Rio, chiamato «El Pacificador». E d’incanto si diffusero le cooperative di sicurezza, chiamate sbrigativamente Convivir. Il meccanismo era il solito, semplice: si ammazza un po’ di gente, si alimenta la paura e la richiesta di protezione, s’impone la presenza di militari e paramilitari, che continuano ad ammazzare gente ma a senso unico. Le Convivir, presto chiamate Conmorir, distribuivano la morte ai ladri ma soprattutto a chiunque fosse sospettato di collaborare o simpatizzare con la guerriglia o si rifiutasse di partecipare alle ronde assassine.
Non ci si poteva chiamare fuori dalla guerra sporca. Chi l’ha fatto, come la «Comunità di pace di San Josè di Apartadò», piange quasi duecento morti: la maggioranza ad opera di militari e paramilitari, una ventina per mano dei guerriglieri delle Farc, che ritengono (in questo al pari di Uribe) che bisogna scegliere: «o con noi, o contro». Non è una storia passata. Quello che Moreno e Garzón non sanno (e forse nemmeno fanno molto per sapere) è che, nella regione, anche senza la struttura storica delle Autodefensas, senza le Convivir (dichiarate illegali dopo tre anni di misfatti) e senza il generale Del Rio (dimesso dopo aver conosciuto la galera, essere uscito grazie agli intrighi del para-procuratore Luis Camilo Osorio, ex ambasciatore in Italia e lodato come eroe da Uribe), i massacri continuano. Anche se in misura minore, perché il più è stato fatto. E a realizzarli sono ancora militari e paramilitari, che hanno cambiato il nome in Aguilas Negras.
Com’è successo nell’ultima carneficina - sette persone uccise tra le quali quattro bambini squartati vivi - del febbraio 2005, di cui sono rei confessi alcuni ufficiali e altri sicari al servizio del leader mafioso don Berna. «Non permetto che sia insudiciato il buon nome dell’esercito», aveva detto furente Uribe quando la Comunità denunciò il massacro. Ora, invece di chiedere perdono, sta zitto. E’ troppo occupato a pensare come salvarsi. C’è una ragione perché tutto continui, ed è sempre la stessa: l’economia. Nella vicina Ituango si sta costruendo (con partecipazione italiana) una mega-diga devastante a cui si oppongono le comunità locali. Dieci giorni fa è stata messa una bomba tra la gente che ha provocato sette morti e decine di feriti, attribuita senza alcuna prova e senza logica alle Farc. Anche se più raffinato, il meccanismo è sempre quello.
su Il Manifesto del 28/08/2008