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E D’Alema, sfottendo Bertinotti, disse: «I compagni di Unipol»

Publie le sabato 17 dicembre 2005 par Open-Publishing
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E D’Alema disse: «I compagni di Unipol»

L’appoggio dello stato maggiore, il no del Monte dei Paschi e le preoccupazioni nella Legacoop

Mal di Rutelli Nelle prese di posizione sulle scalate bancarie dell’estate c’è anche il riflesso dello scontro politico e di potere tra Ds e Dl

COSIMO ROSSI

«Fausto, ma com’è che stai con i massoni di Bilbao anziché con i compagni di Unipol? Dimmi un po’: è una cazzata semplice o c’è del tuo?». E’ la mattina del 20 luglio 2005. All’aeroporto di Bari-Palese Fausto Bertinotti sta aspettando il volo mattutino per Roma, quando si fa avanti Massimo D’Alema con il suo interrogativo a metà tra l’inquietante e l’ironico, com’è nelle corde del presidente Ds. «Io sto sempre con la parte progressiva del capitale...», risponde per le rime il Bertinotti obiettando che la girandola di scalate, opa, compravendite azionarie e cotillon in corso in quell’estate finiscono per ledere anche «l’etica propria del capitale». Ma senza per questo convincere l’ex premier diessino, che nella coda continua a tallonare l’alleato di un possibile futuro governo per cercare di persuaderlo. «Io ci ho parlato con questi», spiega D’Alema lodando gli attributi finanziari di Unipol: «Questi sanno quello che fanno, hanno un progetto per il paese», continua il presidente Ds lamentando piuttosto l’atteggiamento dei «lorsignori» del cosiddetto salotto buono del capitalismo italiano: Rcs in testa.

Guardacaso, proprio quel 20 luglio sulla prima pagina del Corriere della sera è richiamata un’intervista a pagina intera al candidato premier in pectore (le primarie sono ancora lì da fare) dell’Unione. Il professore critica Fazio che «non ha agito da arbitro». E scava il fosso anche rispetto all’opa Unipol su Bnl: «Le coop investano con misura e convenienza», avverte. Nello stesso giorno l’Unità dedica una paginata d’intervista all’amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte. Titolo: «Unipol farà grande Bnl», per spiegare che la banca dell’assicurazione cooperativa è «trasparente» e si fonda su «un piano industriale, controbattendo così a una polemica «ingiustificata» da parte di «commentatori» e «certi giornali».

L’amarcord del luglio scorso serve quantomeno a spiegare perché due dei duellanti indiretti del pasticcio bancario estivo sono in primo luogo la Rcs, intesa come sacrario simbolico del capitalismo familiare novecentesco, e i Ds, benché (mal)intesi come estensione partitica di Massimo D’Alema. Inutile nascondere, infatti, che il presidente della Quercia è - a torto a ragione - il bersaglio principale se non delle arringhe legali quantomeno di quelle editoriali. Non meno dell’altra figura chiamata - più a ragione che a torto - sul banco degli imputati del disastro bancario: Antonio Fazio.

Si viene così al coinvolgimento indiretto dei Ds nella vicenda Unipol e nel riassetto del capitalismo nazionale.

L’ironia del destino vuole che proprio nei giorni scorsi, parlando a Firenze in occasione della conferenza programmatica dei Ds, D’Alema maneggiasse con rispettosa cautela una preziosa copia di Americanismo e fordismo di Antonio Gramsci. Il presidente Ds citava le riflessioni in cella del fondatore del Pci a margine della grande depressione del ’29, per rilevare come anche Gramsci avesse non poche riserve circa le nazionalizzazioni e l’intervento statale; nonché sulla rendita finanziaria che non corre «l’alea del mercato». Già, «ma non era lui che difendeva Ricucci e Consorte la scorsa estate?», ci rimuginava sopra il giorno dopo un dirigente toscano dei Ds.

Da questa settimana sono in rapido incremento gli esponenti Ds che si pongono qualche interrogativo a proposito dell’avventata difesa d’ufficio fatta nella scorsa estate dal loro stato maggiore nei confronti degli scalatori bancari. Benché ci sia tra i ragionieri e i contabili della storia Ds e post-Pci chi si è fatto i conti in anticipo. I senesi del Monte dei Paschi, ad esempio, che insieme a Unicoop Firenze hanno di che festeggiare lo scampato pericolo per essersi tirati fuori dalla scalata a Bnl.

«Non ci conveniva», ripetono calcolatrice alla mano. Ma senza nascondere che Mps non vedeva di buon occhio certi «compagni di strada» della giostra, da Ricucci a Coppola a Caltagirone: «Li conoscevamo e non ci convincevano», ammettono ai vertici delle amministrazioni locali senesi che custodiscono le chiavi del Monte. E sono gli inappellabili argomenti opposti anche alle sollecitazioni giunte dall’altro della Quercia: l’affare Bnl per il Monte «è chiuso» da quando (era il 2002-2003) Bankitalia boicottò la fusione Mps-Bnl. E con buona pace di chi tra i maggiorenti della maggioranza Ds ha bollato come «medievali» i senesi, non senza fare lo scherzo vendicativo di astenersi al senato (così il voto di Massimo Bonavita e Nicola Latorre) sul cosiddetto «emendamento Eufemi» che disponeva un tetto del 30 per cento alle fondazioni nelle banche. A favore della linea del Monte si sono invece esposti con argomenti differenti da Franco Bassanini (senatore senese), Lanfranco Turci (ex coop ed ex Pds emiliano in rotta con i poteri della propria terra d’origine); nonché le vestali della libera concorrenza come Enrico Morando e Giuliano Amato.

«Don Turiddo ha visto lungo», dicono oggi a Firenze anche del riservato e potente presidente di Unicoop, Turiddo Campaini: che siede nel Cda del Monte e che è stato il solo tra i grandi della cooperazione a tenersi fuori dall’affare Bnl. Anche la grande distribuzione toscana si è basata sui conti, non sulla politica. Ma adesso nel mondo cooperativo comincia a serpeggiare anche il disappunto etico-politico, visto che secondo le rivelazioni di Fiorani il presidente di Unipol Consorte e il suo vice Ivano Sacchetti si sarebbero fatti far credito per investimenti azionari in privato. Della prima Tangentopoli, insomma, si sarebbe dispersa quella «diversità» post-comunista in base alla quale si poteva almeno star certi che non c’era lucro personale o di fazione. La riunione della presidenza nazionale della Lega delle coop, convocata per martedì mattina, si annuncia perciò incandescente: «La grande rabbia è sull’interesse privato», riferiscono i parlamentari diessini cresciuti a pane e coop. Non senza rilevare qual è il punto critico venuto in luce per il mondo cooperativo: «E’ stato fatto il passo più lungo della gamba e sbagliato strategicamente - dicono - Un’operazione voluta solo da Bologna, che tuttavia rappresenta i tre quarti della cooperazione italiana. E che perciò svela la debolezza della Lega come confederazione».

Del resto, il côté politico-politico della giostra finanziaria c’è eccome. Non si deve infatti dimenticare che il primo ad aprire il fuoco contro Fazio alla vigilia dell’estate fu Francesco Rutelli: un’offensiva che poi ha chiamato in causa anche l’atteggiamento diessino rispetto a opa e scalate spericolate. E se i vertici Ds negano ogni interesse o interessamento diretto nelle ascese bancarie, non per questo non sospettano che ve ne siano invece tra gli alleati della Margherita. Con buona pace degli orfani socialisti dell’ulivismo prima maniera che si chiedono increduli: «Ma come, si fanno la guerra sul sistema paese e poi fanno la lista insieme?».

www.ilmanifesto.it 16.12.05

Messaggi

  • L’ Opa su Bnl è ormai andata .....

    "La vicenda Bnl-Unipol è ancora subjudice in Bankitalia. E non credo che ne uscirà presto con un ok, anche perchè con le inchieste di queste settimane ora l’intera operazione è subjudice nel vero senso della parola", ha detto il governatore Fazio secondo La Stampa.

    www.reuters.it

  • CLAUDIO VELARDI «Vertici ds reticenti, aspettano solo che passi la bufera»

    «Cosa mi sarei aspettato dal gruppo dirigente dei Ds in queste ore? Una sola frase di condanna: i comportamenti di Giovanni Consorte non sono eticamente e politicamente giusti».

    E invece? «Invece ho assistito a un fiume di melassa, a una scarica di dichiarazioni formali. Una cantilena stanca, frutto di un cinico calcolo politico: il gruppo dirigente dei Ds sta solo aspettando che passi la bufera».

    Claudio Velardi torna all’attacco dei vertici della Quercia, che stavolta lo hanno deluso per come stanno gestendo la vicenda Unipol. Chiti, D’Alema e Fassino su Fazio hanno fatto «dichiarazioni ambigue», e su Unipol «sono stati reticenti».

    Non è tenero, con loro, l’ex braccio destro di D’Alema. Col quale il sodalizio politico si è interrotto definitivamente nel 2001, in occasione di un’altra sua polemica, quella volta fu contro Veltroni. Allora il presidente ds prese le distanze: «Da più di un anno non ho rapporti con Claudio, che non ha neppure la tessera ds».

    Ma stavolta Velardi parla da «semplice cittadino che vota a sinistra». E pone una «questione etica. Insomma, mi sarei aspettato da tutti loro che dicessero: bene, sulla vicenda giudiziaria decideranno i magistrati. Ma a noi interessa un altro punto: è pensabile che un manager legato al mondo della cooperazione abbia ricevuto senza garanzie un affidamento di quattro milioni di euro per realizzare qualche mese dopo una plusvalenza di un milione e settecentomila euro? Per noi no. Ecco, questo mi aspettavo che dicessero».

    Lo hanno detto Mussi, Morando, e anche Emanuele Macaluso sul Riformista. «E io posso dire che sottoscrivo le loro parole una per una».

    Perché i vertici ds hanno reagito così? «Sgombriamo subito il campo da un’ombra: non credo che ci sia stato qualche rapporto illecito tra loro e la vicenda di Unipol. E se venisse fuori il sostegno dato da cooperative e Unipol ai Ds, per me sarebbe giusto, visto che così avviene in tutto il mondo».

    Va bene. Ma allora come si spiega questo tipo di reazioni? «Come il frutto dell’antico riflesso pavloviano dei vertici pci/ds. E cioè: ci attaccano? E noi ci chiudiamo a riccio, perché dietro potrebbe esserci un complotto».

    Niente più questione morale, dunque, per il partito guidato dagli eredi di Berlinguer? «Attenzione: a me quella questione morale non è mai piaciuta, perché l’ho sempre vista ammantata di un moralismo apocalittico. Pongo invece, da piccolo imprenditore, un problema sul funzionamento del sistema. Mi spiego: con la mia società di consulenza, Reti, per avere finanziamenti abbiamo dato sempre garanzie, come è giusto. Mi chiedo: perché io sì e gli altri no? Perché il nostro esempio non è Alessandro Profumo, da apprezzare eticamente e professionalmente?».

    Rispetto ai soldi la Quercia ha sempre mostrato qualche timidezza. «Se ne vergognano, non sanno parlarne, come se fosse peccato. Io no, invece. Io mi sveglio la mattina per fare soldi. D’altronde, campo con quelli».

    Nel 2004 Marco Travaglio, a una manifestazione dei girotondi, rivolse accuse a Massimo D’Alema e a chi aveva fatto parte del suo staff a Palazzo Chigi, quindi anche a lei. Disse testualmente: «Sono entrati con le pezze e ne sono usciti ricchi».

    D’Alema querelò. «E anche io. Ma senza annunciarlo: l’ho fatto e basta. Quella roba lì è l’esempio del moralismo che più odio, e che spesso nasconde comportamenti poco etici. Ma in questo caso sto parlando d’altro. Di etica: delle regole a cui bisogna attenersi, soprattutto per la sinistra. Altrimenti cosa ci distingue dal Polo?».

    Invece i vertici ds secondo lei hanno preferito l’attendismo. «Stanno privilegiando un obiettivo di breve periodo: andare al governo. D’altronde questo eccesso di realismo politico li ha sempre contraddistinti. Ho sperimentato qualcosa sulla mia pelle, quando guidavo lo staff di D’Alema a Palazzo Chigi».

    Anche lui soffre di realismo politico? «Sì. Il problema di Massimo è che ha troppa considerazione della sua intelligenza e poca della sua umanità. Se solo facesse venir fuori un po’ di quest’ultima, la sua immagine cambierebbe».

    Angela Frenda

    18 dicembre 2005 www.corriere.it

    • BNL-UNIPOL: INDAGATO A ROMA SACCHETTI, VICE DI CONSORTE

      (AGI) - Roma, 19 dic. - Il vicepresidente di Unipol, Ivano Sacchetti, e’ stato iscritto sul registro degli indagati dai pm di Roma titolari del fascicolo sulla scalata a Bnl. I reati ipotizzati a suo carico sono gli stessi formulati nei confronti del numero uno della compagnia assicurativa, Giovanni Consorte, cioe’ quelli di aggiotaggio, ostacolo alle autorita’ di vigilanza e manipolazione del mercato. (AGI)