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E SIAMO A SEI, IN LOTTA NON IN LUTTO !
Publie le mercoledì 19 dicembre 2007 par Open-Publishing2 commenti
E’ morto anche Rosario Rodinò, l’operaio di 26 anni rimasto gravemente ferito nell’incendio scoppiato all’acciaieria ThyssenKrupp di Torino e ricoverato presso il reparto grandi ustionati dell’ospedale Villa Scassi di Genova. A darne notizia è la direzione sanitaria del nosocomio.
Nei confronti dei dirigenti della multinazionale tedesca ThyssenKrupp pende un procedimento penale al Tribunale di Torino per l’incendio che nel marzo del 2002 devastò una parte dello stabilimento di Torino della Acciai Speciali Terni, lo stesso dove mercoledì notte è morto un operaio ed altri nove sono rimasti feriti. Dopo la sentenza di primo grado, con tre condanne e due patteggiamenti nel maggio del 2004, il procedimento è infatti fermo in Corte d’Appello dal 2005 in attesa che venga definito il dibattimento di secondo grado. Il rischio è che i reati possano andare in prescrizione.
Tensione ai funerali di Rocco Marzo
Un lungo applauso ha accolto, al suo ingresso nella chiesa a Torino il feretro di Rocco Marzo, 54 anni, il quinto operaio morto in seguito al rogo della Thyssen Krupp. Tanta la commozione sul volto dei suoi colleghi di lavoro intervenuti alla cerimonia funebre.
Qualche attimo di nervosismo, prima della cerimonia, da parte di alcuni lavoratori dell’acciaieria. «Abbiamoo strappato il nome dell’azienda dalla corona fuori dalla chiesa -spiegano - è stato un gesto di protesta nei confronti delle dichiarazioni rese dall’azienda. Hanno detto che i sistemi di sicurezza erano in funzione, ma secondo noi non è vero».
Mentre la polizia manganellava gli operai in manifestazione per il contratto, altri 5 morti sul lavoro nella giornata di ieri: "normale" episodio di un bollettino di guerra ormai quotidiano.
>>> Ascolta l’intervista realizzata ieri con un operaio di Melfi dopo la morte di un operaio
TORINO, 16 dicembre 2007 - Sale a cinque il bilancio delle vittime dell’incendio all’acciaieria torinese della Thyssenkrupp. Stamani è morto all’ospedale Molinette di Torino Rocco Marzo, 54 anni, il capoturno che insieme con i colleghi della linea 5 era stato investito dall’olio bollente e infiammato. Era sposato e padre di due figli, uno di 26 e uno di 22 anni. Nell’incendio aveva riportato ustioni sull’80% del corpo. Ancora più estese le ustioni degli ultimi due operai tuttora in vita, Giuseppe Demasi, e Rosario Rodinò, entrambi di 26 anni. Il primo è ricoverato al Centro grandi ustionati del Cto di Torino e l’altro all’ospedale Villa Scassi di Genova. Il rogo alla ThyssenKrupp si era verificato nella notte fra il 5 e il 6 dicembre scorsi.
Proponiamo qui di seguito, la riflessione di un operaio, come molti altri, in piazza lunedì 11 alla manifestazione di dolore e rabbia:
"ThyssenKrupp"
La portata della tragedia ci fa capire quanto sia ampio il termine "precarietà", lavoratori precari lo siamo tutti, indipendentemente dalla nostra situazione contrattuale. Lo siamo perchè crepiamo (morire si muore nel proprio letto vecchi e sereni,sul lavoro si crepa) sul lavoro, lo siamo perchè il nostro stipendio ci dura due (se non una) settimana,lo siamo perchè siamo "poveri", nonostante tutte le ore di lavoro che ci toccano siamo, e restiamo, poveri.
Un dato salta agli occhi:; il 95% dei lavoratori della ThyssenKrupp di torino ha meno di 30 anni, stiamo quindi parlando di gente che l’università la vede quando ci passa davanti andando al lavoro,di gente che inizia a lavorare finita la terza media,alla faccia del diritto allo studio.
E’ sì,perchè quanto accaduto alla ThyssenKrupp non è da ridurre a una questione di estintori vuoti piuttosto che pieni, è qualcosa di molto più profondo, qualcosa su cui ragionare attentamente.
Quì bisognerebbe parlare di gente che ha meno di trent’anni e lavora in acciaieria, di gente (e chi di noi è lavoratore lo sa bene) che nella vita non ha molte prospettive,e quando le ha queste implicano dodici ore al giorno di lavoro (con le conseguenze di cui sopra).
E’ su questo punto che dobbiamo ragionare:c’è un intera classe sociale per la quale nulla cambia,e quando cambia qualcosa è perchè cambia in peggio, noi lavoratori, noi precari siamo sotto ricatto,in continuazione, è dificile se non impossibile, denunciare situazioni con un sindacato inesistente, con un carovita che ti strangola,con l’incognita di non sapere dove andrai a finire scaduto il tuo contratto.
I morti sul lavoro,tanto alla ThyssenKrupp quanto in tutti gli altri posti sono la diretta conseguenza della nostra debolezza, e tutti noi ci dobbiamo chiedere: per quanto deve durare questa situazione?
Insomma, è possibile andare avanti in questa maniera? Sopravvivendo di settimana in settimana? Spaccandosi la schiena e rischiando la vita per poi trovarsi senza nulla in mano?
Ci dicono che i problemi sono altri,sono i "lavavetri",oppure i "rom",i politici ci spingono verso le cotraddizioni al ribasso mentre di contraddizione c’è ne una sola: Gente che s’arricchisce,si riempie le tasche grazie alla nostra forza-lavoro,il nostro sudore,la nostra vita.
Un metalmeccanico (in piazza Lunedì 10 dicembre)
Messaggi
1. E SIAMO A SEI, IN LOTTA NON IN LUTTO ! , 20 dicembre 2007, 09:25
Il tema delle morti sul lavoro, con l’avvicinarsi del Natale, sta progressivamente scomparendo dalle pagine dei giornali e dagli schermi TV !!
Oggi lo rilanciano solo Liberazione ed Il Manifesto ( che, detto per inciso, contiene un’intera pagina di pubblicità Mediaset !) , su tutti gli altri niente di niente !!
E’ come se si volesse distogliere l’attenzione della gente per lasciar spazio ad una falsa serenità con la quale potersi dedicare senza tanti rimorsi al consueto shopping natalizio , alle vacanze sulla neve, alle riunioni conviviali : il tutto per’altro esclusivamente finalizzato a far dilapidare le tredicesime e a far volare l’inflazione !!
Anche per chi si proclama di sinistra o peggio comunista è sempre più arduo sottrarsi alle lusinghe consumistiche ed è difficile mantenere attenzione ed interesse per le vicende tristi e luttuose che riguardano tanti lavoratori e le loro famiglie !!
Ci sentiamo tutti viceversa accumunati da atteggiamenti lassisti ed ipocriti del tipo : lasciamo passare le feste e poi vediamo ad anno nuovo cosa si può fare !!
MaxVinella
1. E SIAMO A SEI, IN LOTTA NON IN LUTTO ! , 21 dicembre 2007, 11:09
Indennizzi assolutamente inadeguati per chi non può più lavorare
o per le famiglie rimaste senza sostegno. E le tragedie continuano
Lavoro, troppi morti e feriti
e per chi rimane pensioni da fame
Da tempo l’Anmil chiede più impegno per la prevenzione
e una rivalutazione delle cifre percepite da chi è stato colpito
di BRUNO PERSANO www.repubblica di oggi
ROMA - "Sono ormai quindici anni che mio marito non torna più a casa la sera: morto mentre lavorava. 850 euro al mese non pagheranno mai la sua vita, la solitudine e il dolore mio e di mia figlia. Mi sono chiesta mille volte perché. Possibile che nessuno senta le grida di questi martiri e il pianto delle loro famiglie? Quante lacrime dobbiamo ancora piangere?".
Maria Giovanna Sechi è la vedova di un operaio morto sul lavoro. L’anno scorso le morti bianche sono state 1.302. Nei primi nove mesi di quest’anno, l’Inail sostiene che gli infortuni mortali sul lavoro sono diminuiti del 2,1%, ma il dato è probabilmente sottostimato. Sindacati e associazioni di categoria sostengono infatti che nel conteggio delle vittime restano fuori i morti "in itinere": quelli che perdono la vita in incidenti legati all’andare e al venire dal posto di lavoro. Non solo, le cifre scontano i ritardi burocratici per cui una percentuale degli incidenti mortali viene "registrata" mesi dopo i fatti e non figura nei conteggi annuali.
Ogni giorno, dunque, almeno tre croci nei cantieri o nelle fabbriche italiane segnano il ricordo dei caduti per lavoro. In Europa va un po’ meno peggio. Negli ultimi dieci anni - dati Eurostat - i morti su lavoro sono diminuiti del 46% in Germania e del 34% in Spagna. Nel nostro Paese sono calati solo del 25%. Ma tragedie enormi come quelle di Torino, accompagnate dallo stillicidio dei morti quasi ignoti delle piccole fabbriche e dei cantieri di tutta Italia, dicono che siamo ancora lontani da una situazione appena "civile".
Il presidente Giorgio Napolitano più volte ha usato parole di fuoco contro la sciagura delle morti bianche, ma il monito sembra essere caduto nel vuoto. Lo stillicidio non accenna a rallentare. "Quando sento gli appelli di Napolitano e penso alla mia vicenda, mi sale la rabbia". Gabriella Leoni, ha 65 anni; vive a Tolfa, piccolo comune vicino Roma. Il 21 settembre del 2004, alla stazione di Civitavecchia, il figlio Flaviano Satta che all’epoca aveva 27 anni, è morto folgorato mentre stava riparando la linea ad alta tensione su un palo elettrico delle Ferrovie. Qualcuno si era dimenticato di staccare la tensione. Pochi mesi prima Gabriella aveva perso il marito per un infarto. "Percepisco una rendita di 360 euro al mese, il 20 per cento dello stipendio di mio figlio. Questo è il prezzo di una vita umana".
"Cifre inadeguate": lo ripete da anni l’associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, Anmil. Lo ammette anche l’Inail. Le rendite mensili alle mogli e ai genitori delle vittime sul lavoro sono insufficienti. Per alcuni infortunati, la riforma del 2000 anziché aumentare gli indennizzi li ha ridotti: un operaio di 40 con moglie e figlio, se perde un piede, oggi incassa un assegno mensile di invalidità inferiore del 20% rispetto al periodo precedente alla riforma. Perdere l’udito da un orecchio è rimborsato con un compenso inferiore del 40% rispetto agli anni della preriforma. Lasciare sotto la pressa tutte le dita della mano destra è indennizzato con un rimborso ridotto del 14%. Per paradosso, la riforma ha penalizzato chi subisce un infortunio anziché avvantaggiarlo. Effetto della riscrittura delle tabelle del danno patrimoniale.
Nella Finanziaria in discussione qualcosa il Parlamento tenta di aggiustare. E’ stata prevista una tantum di 50 milioni di euro per aggiornare i punti di invalidità fermi alle quotazioni del 2000. Soldi che saranno ridistribuiti tra gli operai che si sono infortunati in questi ultimi sette anni, ma l’associazione dei mutilati e invalidi del lavoro chiede qualcosa di più: "Bisogna rendere strutturale questo aumento", sostiene Pietro Mercandelli, presidente nazionale. Sette anni fa, quando si discuteva il testo della riforma assicurativa, l’Anmil, fu l’unica a manifestare fino all’ultimo la sua contrarietà. Ma la riforma passò ugualmente e adesso le storture si vedono".
Anche il ministro del Lavoro è convinto che sia indispensabile aumentare gli indennizzi. In occasione della presentazione del bilancio sociale dell’Inail, l’istituto nazionale assicurativo contro gli infortuni, Cesare Damiano ha ribadito l’intenzione di utilizzare una quota del cosiddetto "tesoretto" dell’Inail: "Intendo battermi perché una quota dell’attivo di gestione accumulato, 12 miliardi di euro, venga restituita ai lavoratori attraverso l’aumento degli indennizzi e la ridefinizione delle tabelle sulle malattie professionali. Un’altra parte dovrebbe essere usata per premiare le imprese che certificano di aver ridotto drasticamente gli infortuni". Questa volta sembra convinto anche l’Inail che punta l’attenzione sulla prevenzione degli incidenti: "Solo una quota minima del risparmio dell’istituto è utilizzato per la prevenzione", ammette Giovanni Guerisoli presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inail.
Ma la battaglia per l’associazione degli infortunati è ancora un’altra: ridare un lavoro alle vittime di infortuni su lavoro. "E’ un obiettivo ineluttabile", spiega il presidente Anmil Pietro Mercandelli. Porta il suo esempio personale: "Quando avevo 19 anni e facevo l’idraulico. Per un incidente mentre andavo a lavorare, persi il piede sinistro. Mi diedero una rendita mensile di 373euro ma ho perso il lavoro. Come potevo continuare a fare l’idraulico con un piede solo: salire le scale, camminare sui tetti. No, non era possibile. Ma meno di 400 euro al mese non sono uno stipendio, non ci si campa. Allora ho studiato e ho trovato altri lavori, ma tutti i miei compagni che come me hanno perso un piede o una mano, non possono più fare il mestiere che conoscono e sono ancora giovani, hanno un figlio da far crescere e una famiglia a cui pensare, come fanno a vivere? Per loro dobbiamo fare qualcosa".
Massimo Cozzi, ha 35 anni. Nel ’92 era a Latina. Crollò l’impalcatura sulla quale lavorava. Da allora cammina con molte difficoltà. La ditta dove lavorava è fallita; in 14 anni ha avuto solo due contratti a tempo determinato. E’ sposato e la moglie lavora part time. Percepisce un assegno mensile vicino ai 900 euro. Massimiliano Burgio, montava degli infissi tre anni fa; cadde da una decina di metri, si salvò ma da allora non riesce più a usare le mani. E’ stato licenziato. Ha 26 anni e un indennizzo di 300 euro al mese. Cerca un lavoro ma in quelle condizioni, tutti gli sbattono la porta in faccia.