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E i giornali puntano su pugni chiusi e liti

Publie le martedì 29 luglio 2008 par Open-Publishing

Rassegna stampa del dopo Chianciano

E i giornali puntano su pugni chiusi e liti

di Luca Marcenaro

Quattro gatti in fila per due col resto di zero preciso, che marciano a coppie verso opposte direzioni: due issano una bandiera con la falce, due trascinano quella con il martello. Alle loro spalle, il simbolo di Rifondazione.

La vignetta firmata Giannelli pubblicata sulla prima pagina del Corriere della Sera vale più di mille parole. Già, perchè il giorno dopo la conclusione del congresso di Rifondazione Comunista a Chianciano Terme, da destra a sinistra, l’immagine preferita dai giornali è quella di un partito di pochi che si spacca a metà e diventa di pochissimi, secondo la "migliore" tradizione della sinistra italiana.

«I 17 anni di falce e coltello», ironizza il quotidiano di via Solferino ripercorrendo le tappe che hanno condotto il Prc alla sfida, a ben guardare nemmeno consumata, tra Vendola e Ferrero: «Pessimo affare quando i comunisti litigano», è l’avvertimento iniziale.

Politica, poca. Quello che colpisce i media italiani, semmai, è soprattutto l’iconografia: la musica, i pugni chiusi, le liti nelle stanze dei bottoni e quelle dei semplici militanti. In una parola: il folklore. Al massimo, si segnala qualche accenno alla geografia delle alleanze.

E se l’immagine evocata su La Stampa da Antonio Scurati è quella di una generazione perduta («Non bisogna fidarsi di nessuno che abbia più di trent’anni. Di fronte allo spettacolo senile e crepuscolare offerto dal congresso del Prc, verrebbe voglia di appropriarsi del motto dei rivoluzionari cubani che abbatterono Batista»), che chiude la porta in faccia a Nichi Vendola, l’unico «che per caratteristiche personali e per la storia politica potrebbe guidare la riscossa», sulla stessa pagina Riccardo Barenghi racconta di quello che secondo lui è un «piccolo mondo antico». «La storia non finisce mai - scrive l’ex direttore del Manifesto - ma a volte mette la retromarcia».

Lo stesso senso di smarrimento che colpisce Claudio Fusi, Il Messaggero : «La storia va da una parte, Rifondazione dall’altra».

Non c’è niente da fare, dunque, ogni volta che lo "spettro" comunista si affaccia sulle pagine dei giornali, la tentazione di guardare all’indietro diventa irresistibile.

«Nessuna Rifondazione», scrive invece Gianfranco Pasquino in un commento su L’Unità : «Non si è intravista nessuna elaborazione di un futuro politico possibile, nessuna effettiva "rifondazione", neppure nell’emotivo discorso di Bertinotti», è l’accusa. Ma secondo il politologo di area Pd, «la notizia è pessima soprattutto per quegli elettori che ritengono che le loro opinioni e le loro preferenze non sono rappresentabili dal Partito Democratico, ma che avrebbero maggiore peso e potrebbero esercitare qualche influenza grazie ad un’organizzazione di sinistra capace di pensare e di agire nell’ottica dell’elaborazione di un programma di governo (...)».

E mentre il direttore del Riformista Antonio Polito accusa il congresso di essersi svolto «nelle riunioni di corrente a porte chiuse proprio come un congresso democristiano di altri tempi», anche la Repubblica parla per immagini: di qua il neo-segretario Paolo Ferrero che stringe il pugno e si rivolge ai delegati; di là la mano aperta di Nichi Vendola, contrariato e sconfitto.

«Non si era mai visto - riflette Sebastiano Messina - un partito che uccide il padre il giorno dopo averlo portato in trionfo». Il riferimento, va da se, è agli interminabili applausi che solo sabato avevano accompagnato l’intervento del delegato semplice di Cosenza Fausto Bertinotti e che si sono trasformati nel breve volgere di una notte in «un delitto per interposta persona, una catarsi di rimbalzo».

Visto da destra, poi, l’ironia dei più lascia addirittura spazio all’ingiuria. Smaccata. «Poveri comunisti, non vi resta che l’Isola dei famosi» è l’auspicio de Il Giornale , che ricorda la scelta annunciata dall’ex parlamentare del Prc Vladimir Luxuria di partecipare al reality di Simona Ventura. E dopo l’attacco: «Compagni, un solo grido: tutti al mare», ecco la chiusa: «Per i nostalgici della rivoluzione, basta una nuotata al largo: Cuba è a due passi».

Il guaio, quello vero però, è che l’Italia di Berlusconi, Bossi e Fini dista ancora meno. E’ qui, c’è, quasi ci tocca.