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E il Cavaliere si fermò ad Afragola
Publie le mercoledì 21 dicembre 2005 par Open-Publishing1 commento
IL CASO
E il Cavaliere si fermò ad Afragola
di ALBERTO STATERA
Con che faccia il presidente del Consiglio avrebbe potuto inaugurare oggi in pompa magna l’Alta Velocità tra Roma e Napoli, dopo il grave incidente ferroviario di Roccasecca, proprio sulla direttrice Sud? Così, l’evento a lungo annunciato, cui avrebbero dovuto partecipare anche i ministri Pietro Lunardi e Giulio Tremonti, in una sorta di inaugurazione della campagna elettorale all’insegna del motto berlusconiano "Io sto cambiando l’Italia", è stato annullato all’ultimo momento.
Perché sembra che purtroppo l’Italia non cambi mai, persa tra sogni di Grandi Opere, di tecnologie, di piramidi infrastrutturali, di velocità supersoniche, di miliardi di euro mostrati sulla carta in diretta televisiva e, nella realtà, di carrozze ferroviarie piene di zecche, se non di scorpioni, che si accartocciano facendo morti e feriti oltre un semaforo rosso. Se oggi fosse riuscito a tagliare il nastro della prima "opera di regime" giunta, secondo lui, a compimento, se a Roccasecca non si fosse accartocciato quel treno di viaggiatori a Bassa Velocità, Silvio Berlusconi non si sarebbe fermato a Eboli, ma un po’ più a nord, ad Afragola.
E’ lì, nella cittadina campana che ridente non si può dire, nonostante abbia dato i natali ad afragolesi illustri come Domenico De Stelleopardis, superiore provinciale dei Domenicani nel Regno delle Due Sicilie, e a Luigi Ciaramella, il podestà fascista più longevo d’Italia, che c’è il "nodo finale". E’ lì che il sogno dell’Alta Velocità diventa, more solito, Alta Lentezza, che sarebbe persino tollerabile se non facesse morti e feriti.
Da Afragola a Napoli si va piano piano. La Ferrari Colosseo-Vesuvio su rotaie, che in campagna elettorale avrebbe dovuto essere un cavallo di battaglia, la prova del motto "sto cambiando l’Italia", il motto che lunedì sera il Berlusconi furioso non è riuscito a dimostrare a "Porta a Porta", nonostante i "foglietti" contenenti su carta le Grandi Opere e gli "aiutini" del bravo presentatore, rimane il sogno o lo spot che di volta in volta s’infrange su vecchie tradotte sventrate, su inchieste ordinate dai ministri che non si concludono mai. Errore umano o guasto meccanico?
Ad Afragola, il "nodo finale" è la stazione "a ponte", disegnata dall’architetto Zaha Hadid. Semplicemente, non c’è. Se tutto va bene sarà pronta tra il 2008 e il 2010, ma tra imprevisti, aggiornamento-costi e camorra, è piuttosto difficile. Ergo, la Ferrari su rotaia immatricolata dal ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, notoriamente più veloce di parola che di pensiero, s’imballa e diventa una Fiat 500 prima serie, quelle con gli sportelli che si aprivano controvento, a Gricignano, 19,6 chilometri a nord di Napoli. Luca Montezemolo, poveretto, non può fare sempre lo scettico blu e così ha avallato, nel viaggio di prova di qualche giorno fa, la felice immagine del ministro detto il "Talpa", per la passione quasi erotica che nutre per le gallerie, della Ferrari da 300 chilometri all’ora. Ma, ahimè, non c’è solo il "nodo finale" di Afragola, c’è anche un "nodo iniziale". Montezemolo abita ai Parioli e per provare l’ebbrezza della Ferrari su rotaia dovrà spingere l’acceleratore tra i pendolari della "Fr2", la ferrovia normale che collega Roma a Tivoli, perché la stazione "a ponte" di Roma Tiburtina, disegnata dall’architetto Paolo Desideri, non c’è.
Stamane, se tutto fosse andato bene e se a Roccasecca quel treno normalissimo non si fosse schiantato, Berlusconi avrebbe impiegato un’ora e 27 minuti per andare da Roma a Napoli, una ventina di minuti in meno di quanto ci hanno sempre messo i pendolari dai primi del Novecento in poi.
"Se tutto fosse andato bene". Perché un gruppo di senatori del Centrosinistra guidati da Luigi Zanda, sicuramente non berlusconiani, ma preparati e tutt’altro che menagrami, era assai preoccupato per l’incolumità del cinquantadue per cento del governo in carica (cinquanta Berlusconi, il resto i due ministri) e per i prossimi normali viaggiatori, causa "la drastica riduzione del pre-esercizio", decisa per consentire al premier di inaugurare prima delle elezioni almeno una delle Grandi Opere così assertivamente e incautamente promesse.
Il pre-esercizio è, in sostanza, il periodo di prova e di collaudo della nuova ferrovia, ridotto da sei mesi a un solo mese, per non andare oltre le elezioni, previste per il 9 aprile prossimo, in modo da fare dell’Alta Velocità Roma-Napoli l’epitome dell’"Italia che (Berlusconi) cambia". La prova su rotaia che mentono quegli istituti scientifici che calcolano nello 0,03 per cento (fonte Cresme) la realizzazione effettivamente ultimata delle opere degne dei faraoni promesse da Berlusconi cinque anni fa in diretta televisiva.
I sistemi di sicurezza, mai sperimentati prima, funzioneranno a 300 all’ora, se non funzionano neanche quelli tradizionali a pochi chilometri all’ora, come fa sospettare l’incidente di Roccasecca? Si vedranno i semafori rossi? E che succederà tra il chilometro 178 e 192, tra Pastorano, Capua e Santa Maria La Fossa, dove sono segnalati cedimenti? Per non dire delle barriere antirumore, che sembra siano un po’ instabili. Sicuri che non precipiteranno sulla Ferrari da 300 all’ora? Dio ci scampi, la tecnologia è indiscutibile, se ben sperimentata può probabilmente evitare incidenti come quello di ieri.
Ma i trenta e più senatori che prima dell’incidente di Roccasecca ponevano un problema di sicurezza dell’Alta Velocità, denunciando la fretta di un’inaugurazione prematura ed elettoralistica, guastando la festa infrastrutturale di Berlusconi, pongono anche qualche altro interrogativo di buonsenso. Quanto è costata, per dire, l’Alta Velocità Roma-Napoli fino al "nodo finale" di Afragola, mentre le Ferrovie sono sull’orlo del fallimento, non riescono a fare manutenzione e a garantire la sicurezza neanche sulle linee-lumaca? Quanto sono lievitati i costi dal 1991 ad oggi? Qual è stato il reale costo per metro?
Di più o di meno rispetto ad analoghe opere in Francia, Spagna e Germania? Vale la pena di guadagnare venti piccoli minuti tra Roma e Napoli, quando a Roccasecca ci si schianta nei pressi di una stazione? I conti sono fermi a dieci anni fa, quando l’ex giudice Ferdinando Imposimato, in una relazione alla Commissione Antimafia, quantificò in diecimila miliardi di lire la torta della camorra, entrata nel business con i subappalti sulla Roma-Napoli. Una torta così suddivisa: sei decimi ai partiti, tutti tranne Rifondazione comunista e la Lega, quattro decimi a camorristi, affaristi e faccendieri vari.
L’album di famiglia, tutto intero, di Tangentopoli. Ma erano briciole. La nuova contabilità è ignota, non c’è aggiornamento attuariale, ci sono lire non euro.
Quel che conta oggi è il taglio dei nastri, quello 0,01 di Grandi Opere (quasi) completate dal governo Berlusconi, mentre tutta l’Italia viaggia a un solo binario e talvolta rischia la vita in un vagone accartocciato.
(21 dicembre 2005)
Messaggi
1. > E il Cavaliere si fermò ad Afragola , 22 dicembre 2005, 12:54
Ancora metà della rete sprovvista di moderni sistemi di controllo. E con la prossima Finanziaria sarà paralisi Treni vecchi e allarmi fantasma, i tagli frenano il piano sicurezza
di GIANCARLO MOLA
ROMA - I treni sono spessissimo più vecchi di chi li guida. Quasi la metà della rete ferroviaria è sprovvista di moderni sistemi automatizzati per le frenate d’emergenza. E a volte i meccanismi di blocco, nei tratti in cui sono installati, non possono entrare in funzione perché a bordo manca l’apparecchiatura in grado di captarne il segnale. Quando va male c’è l’incidente, quando va malissimo la tragedia.
Ma anche la semplice routine diventa complicata, nell’Italia che sogna l’alta velocità ma deve accontentarsi di un’infrastruttura su rotaie che negli ultimi cinquant’anni non è riuscita a cambiare volto. E che anzi si trova oggi di fronte a una crisi senza precedenti.
"I numeri contenuti nella Finanziaria sono impressionanti: per il 2006 le risorse per le Ferrovie sono tagliate del 92,6 per cento lasciando disponibili solo 276 milioni di euro; la decurtazione arriva poi a sfiorare il 98 per cento al 2008. È chiaro che con queste cifre non si va da nessuna parte", diceva ieri la responsabile trasporti dei Verdi Anna Donati.
"Mancano all’appello dieci miliardi di euro tondi tondi in tre anni. E se le Ferrovie non metteranno sul piatto risorse proprie qui si ferma tutto", fa eco Franco Nasso segretario nazionale della Filt-Cgil. L’anno che sta per cominciare si annuncia dunque critico, per le Ferrovie dello Stato. È vero che gli investimenti in tecnologie e sicurezza della rete negli ultimi anni sono sempre aumentati, passando dal miliardo e mezzo di euro del 2000 ai 2,86 miliardi del 2005.
È altrettanto vero che il taglio drastico dei trasferimenti contenuto nella Finanziaria renderà impossibile - salvo un massiccio intervento sui prezzi dei biglietti, altamente improbabile - procedere al piano di ammodernamento delle rotaie e dei convogli diventato oggi più che mai urgente: nonostante nell’ultimo decennio il tasso di incidentalità sulle ferrovie italiane sia progressivamente calato, il 2005 è stato un "annus horribilis" per la sicurezza sui treni, aperto dalla tragedia di Crevalcore (17 morti, contro gli 11 del 2004 e i 7 del 2003) e chiuso con il disastro di Roccasecca.
Di denaro c’è gran bisogno, su tutti i fronti. A cominciare da quello che gli addetti ai lavori chiamano "materiale rotabile". Qualche esempio: le locomotive diesel per il trasporto regionale hanno un’età media di 23,8 anni, quelle elettriche si fermano a 21,3, le motrici diesel cargo hanno 31,4 anni mentre i vagoni delle vecchie "littorine" - ancora numerosissime - arrivano ai 44, sempre in media. E non è finita: "Alla vetustà della flotta si aggiunge che le condizioni di esercizio, cioè lo sfruttamento delle macchine, è cresciuto immensamente. Ci siamo avvicinati troppo al punto di rottura e in molti casi siamo andati oltre", denuncia Armando Romeo, segretario generale dell’Orsa-ferrovie.
E poi c’è la questione della sicurezza sulle linee. La tecnologia considerata al momento più affidabile si chiama si chiama Sistema di controllo della marcia del treno (Scmt): la velocità del treno viene monitorata in automatico, in ogni secondo del viaggio, e se i limiti non vengono rispettati la locomotiva frena senza che sia necessario l’intervento del macchinista. Ebbene, si prevede che a regime il meccanismo sia installato su 10.500 chilometri sui 16mila complessivi della rete ferroviaria: al momento è operativo in appena 4.384.
A regime, i 5.500 chilometri che non avranno il sistema Scmt saranno dotate della sua alternativa per le tratte minori: si chiama Sistema di supporto della condotta (Ssc) e accerta che il macchinista riconosca le indicazioni legate ai segnali e intraprenda le azioni conseguenti: i lavori cominceranno l’anno prossimo.
Nel frattempo su 4.683 chilometri di binari ci si arrangia con il cosiddetto blocco automatico a correnti codificate, un vecchio sistema di segnalazione del pericolo che richiede però la presenza a bordo del treno di un apposito ripetitore (il treno tamponante di Roccasecca, per esempio, non ne era dotato). Sul resto della rete, e si parla di quasi settemila chilometri, i sistemi di sicurezza sono ancora più arcaici.
Un’emergenza, insomma. Che richiede interventi radicali. E celeri. Il piano delle Ferrovie dello Stato pone come obiettivo per l’adeguamento agli standard di sicurezza il 2008. A condizione che le risorse economiche ci siano per davvero. Ed è proprio questo il dilemma di queste convulse giornate di fine 2005.
(22 dicembre 2005)
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