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E’ iniziata la battaglia per spostare il Paese a sinistra

Publie le domenica 30 aprile 2006 par Open-Publishing

di Piero Sansonetti

Quanto vale l’elezione di Fausto Bertinotti alla presidenza della Camera? Vale molto, per vari motivi.

Primo motivo. Perché - per come è avvenuta - segna in modo anche simbolico lo spostamento a sinistra dell’Unione. L’alleanza di centrosinistra riconosce alla sua componente radicale un ruolo decisivo, di grande importanza, visibile, e di direzione. Capite bene che l’equilibrio politico di questa alleanza è molto diverso da quello dell’alleanza - l’Ulivo - che governò l’Italia alla fine degli anni ’90. La discontinuità rispetto a quella esperienza (cioè il primo governo Prodi e poi i governi D’Alema e Amato) è nettissima, e questa discontinuità ha un enorme valore politico.

Secondo motivo. L’Unione ha superato bene la sua prima prova parlamentare. L’elezione dei presidenti delle Camere era un passaggio complesso. Sia perché poneva subito la questione del rapporto tra sinistra riformista e sinistra alternativa - come è stato evidente dal fronteggiarsi, per qualche giorno, delle candidature di D’Alema e di Bertinotti - sia perché bisognava affrontare per la prima volta l’ostacolo dello scarsissimo margine (due o tre voti) che la maggioranza ha in Senato. Tutto sommato, nonostante le 24 ore di tremore, imposte dal comportamento non proprio limpido di sei o sette senatori (dell’area moderata dell’Unione), alla fine le cose sono andate bene.

Alla Camera la compattezza nel voto è stata assoluta. Tutti i partiti si sono dimostrati pienamente leali e uniti. Al Senato si è visto che nonostante la tentazione di qualcuno di far pesare troppo - per ottenere qualcosa in termini di potere - il fatto che ogni singolo senatore sia decisivo, nonostante questo, dicevamo, alla fine ha prevalso la ragionevolezza. E si può sperare che questa ragionevolezza resista nei prossimi cinque anni.

Terzo motivo. Lo ha spiegato Bertinotti nel suo discorso di insediamento. Anzi, il motivo era la sostanza del suo discorso. Badate che è stato un discorso molto importante (capisco che detto da noi e scritto da Liberazione possa sembrare affermazione quasi doverosa, ma non è affatto così. E’ un tentativo di ragionamento che parte da alcune idee forti che c’erano in quel discorso). Riassumendo e riducendo ai minimi termini, possiamo dire che Bertinotti ha detto due cose. La prima è il rifiuto della politica come espressione del binomio “amico-nemico”. Cioè il rifiuto dell’idea violenta della politica o comunque dell’idea agonistica.

Cerchiamo di capire bene cosa vuol dire: non è affatto, e in nessun modo, una via per aprire la porta a soluzioni bipartisan, a grandi coalizioni o grandi collaborazioni. E infatti molti dirigenti della destra non hanno affatto apprezzato il discorso di Bertinotti, pur riconoscendone l’altezza politica e anche morale. Rifiutare il binomio amico-nemico vuol dire semplicemente proporre una riforma della politica - radicalissima - e chiedere a tutti di impegnarsi per uscire dalle paludi di questi quindici anni, che hanno trasformato la politica in un grande gioco per i ceti dirigenti, lontanissima dalle persone, dalla gente, dal popolo, dalle classi, dagli interessi materiali e morali, dalle tragedie della vita, dalla ricerca delle soluzioni e dalla costruzione dei conflitti che questa ricerca comporta.

Nel discorso di Bertinotti questo è emerso con grande chiarezza: bisogna sostituire il mito della contrapposizione (che è stata spessissimo una contrapposizione senza conflitto) nel suo opposto: la costruzione e l’uso del conflitto come strumento ed essenza della politica, ma del conflitto senza contrapposizione.

La seconda cosa che Bertinotti ha detto è che l’Unione dovrà partire da quattro o cinque cose certe: la salvezza della scuola, i diritti del lavoro - e più precisamente degli operai - la difesa delle differenze, specialmente delle differenze di genere, il valore assoluto della pace, l’antifascismo e la Costituzione repubblicana.

Badate che non c’è assolutamente niente di retorico o di formale in queste dichiarazioni. C’è la richiesta di impegno serio all’Unione e la proposta di dialogo alle altre componenti del Parlamento. E l’indicazione che le politiche precedenti, soprattutto del centrodestra ma anche del vecchio centrosinistra anni ’90 - che avevano ridotto i diritti del lavoro, punito i salari, messo in discussione l’assolutezza della pace e il valore fondante che ha l’antifascismo - devono essere profondamente corrette o anche ribaltate.

Tutto questo cosa comporta? Nell’immediato, cioè nella bella giornata di ieri, ha comportato soprattutto - lasciatecelo dire con qualche ingenuità - una buona dose di gioia in molti di noi e persino - tra i più emotivi, e quindi non noi di Liberazione... - un po’ di commozione.

Se però facciamo i “duri” e iniziamo subito a pensare a domani, comporta l’avvio di una battaglia, che sarà quotidiana, che richiederà lo sviluppo di enormi capacità politiche e di vastissime energie intellettuali, ma che potrebbe avere come risultato quello di spostare (a sinistra) l’asse politico ed economico e sociale di questo paese, il suo senso comune, il suo modo di pensare a se stesso e alla globalizzazione.

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