Home > E’ la prima tappa di una più grande sfida
di Rina Gagliardi
Da oggi, con la nascita del governo Prodi, l’era berlusconiana è davvero alle nostre spalle: ecco il fatto politico di prima grandezza, per quanto annunciato e anzi scontato lo si possa considerare. Non sarà facile “riparare” i danni sociali e le devastazioni culturali che cinque anni di centrodestra hanno prodotto.
Non sarà semplice uscire dal berlusconismo, che ha improntato di sè il paese e larghe fette di società e di immaginario, ed avviare un nuovo ciclo riformatore. Ma, quantomeno, ci possiamo provare, a partire dal terreno più avanzato che i nuovi assetti delle istituzioni e della politica hanno ormai delineato. Ci possiamo provare, e ci proveremo, con passione e con speranze accresciute, pur nella consapevolezza, che ci accompagna anche in queste ore di soddisfazione, dei limiti intrinseci (e per ora invalicabili) della politica.
Come giudicare la concreta fisionomia del nuovo esecutivo, che secondo il Corriere della sera è seccamente spostata a sinistra? A noi pare, piuttosto, che sia stata composta una compagine equilibrata, ricca di figure politiche forti, che riflette - né poteva essere diversamente - sia il pluralismo dell’Unione sia il ruolo preminente che, dentro l’Unione, spetta alla forza maggiore, l’Ulivo: un quadro d’insieme positivo, dove sono aperti, anche per la qualificata delegazione ministeriale del Prc e della sinistra alternativa, spazi per l’innovazione e per battaglie politiche importanti, anzitutto sul terreno sociale e nel rapporto con i movimenti.
Un quadro articolato, certo, nel quale convivono, incarnate nei singoli responsabili di dicastero, diverse culture politiche, e anche diversi livelli di volontà riformatrice: per fare solo un esempio, nelle “politiche della conoscenza” e del sistema d’istruzione, è già evidente la dialettica destinata giocoforza a prodursi tra il nuovo ministro dell’Università, Fabio Mussi, e il nuovo ministro della pubblica istruzione, Beppe Fioroni.
La sfida, anche da questo punto di vista, è tutta dispiegata di fronte a noi.
Dentro questo quadro si manifesta, però, un grave limite strutturale e, perfino, un serio deficit democratico: il governo Prodi è assai più maschile e patriarcale di quanto fosse auspicabile e perfino prevedibile, visto che alle donne non solo sono stati assegnati pochi ministeri (sei in tutto), ma ministeri quasi tutti senza portafoglio (cioè senza soldi), e nessun ministero davvero politicamente “pesante”. Possibile che dopo tante chiacchiere sulle “quote rosa”, dopo tanto discutere e tanto impegnarsi, anche da parte di Romano Prodi, l’esito concreto sia stato una sorta di “angolo delle Cenerentole”, destinato, al massimo, ad ingentilire la rude virilità della squadra governativa? Possibile che si debba registrare un arretramento perfino rispetto al governo del ’96? Possibile, purtroppo.
E che questo sia il frutto non di una volontà dichiarata contro le donne, ma del concorso congiunto di logiche tipiche dei partiti, delle diverse esigenze dei leader e dei subleader, nonché delle rivendicazioni dei poteri più o meno forti che sono intervenuti nella delicata trattativa di queste settimane, non è un’attenuante, ma se mai un’aggravante. Anche questa esclusione di una presenza significativa delle donne - tutte le volte che la piramide si restringe e si approssima alla sua cima - è insomma parte integrante dei limiti della politica di cui dicevamo.
In questo senso, la nascita del governo Prodi - che il Prc sosterrà lealmente per i cinque anni che certamente esso durerà - è solo una tappa del lungo percorso per la trasformazione di cui siamo stati protagonisti: un punto d’arrivo, certo, dal punto di vista del risanamento democratico del paese, un punto di partenza per la battaglia strategica che più ci sta a cuore, l’avvio di un nuovo ciclo riformatore che cambi davvero l’Italia. Un obiettivo di lungo periodo, ma soprattutto una pratica di trasformazione che non può esser delegata a nessun governo, neppure ad un “governo amico” come sarà il governo dell’Unione: l’autonomia dei movimenti e della politica organizzata e diffusa, la mobilitazione dei soggetti e delle soggettività, la forza di quella che continuiamo a chiamare, con un termine improprio, “società civile”, sono e restano essenziali, per il processo che da oggi formalmente si avvia.
Questa verità, che tanto abbiamo ripetuto durante la campagna elettorale, non aveva e non ha nulla di propagandistico: è parte integrante di quella Grande Riforma della società italiana, senza la quale la politica, e la stessa vita istituzionale, restano asfittiche e soprattutto relativamente impotenti. Ma sì, domani sera, quando avremo ascoltato dalla viva voce del presidente del consiglio il progetto per la legislatura e quando gli avremo votato la fiducia, potremo festeggiare una buona giornata di lavoro. La prima, speriamo, di altre millecinquecento.