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E oggi l’assemblea dei metalmeccanici
di Maurizio Zipponi
Dopo la straordinaria giornata di ieri, che ha visto Roma, Napoli, Milano invase da centinaia di migliaia di studenti e dai lavoratori del mondo della scuola, dell’università e della ricerca, in un intreccio di cortei, in una mescolanza di età, storie ed esperienze che non si vedeva da tempo, oggi sono arrivati a Roma le delegate e i delegati della Fiom.
Dopo il "se non cambierà bloccheremo la città" gridato dai giovani protagonisti delle manifestazioni, che per numero e determinazione hanno travolto qualunque previsione, l’assemblea dei metalmeccanici è l’evento che segnerà il cambio di fase del conflitto sociale: perché riporterà in questo mondo di carta che sta crollando il valore del saper fare, perché chiederà rispetto per chi lavora. Perché i metalmeccanici della Fiom sono capaci di proporre e attuare le mobilitazioni per ottenere risultati. Perché chi più di un operaio può rivendicare quel riconoscimento sociale che deve passare da un salario dignitoso e dai diritti troppo a lungo negati?
Quella della Fiom è un’assemblea da ascoltare, perché esprimerà preoccupazione per la ristrutturazione che sta arrivando, tensione ma, anche, aspettative, voglia di non rassegnarsi, voglia di cambiare.
Da lì, certo, arriverà una risposta forte a Confindustria, cioè a quel comitato d’affari che dopo essere stato il responsabile principale del disastro italiano, oggi da l’assalto alle casse dello stato, plaude alla norma europea che vorrebbe estendere a 65 ore l’orario di lavoro mentre si permette di farsi beffa dei parametri sull’inquinamento e sull’ambiente, opera per spostare ulteriormente in avanti l’età pensionabile, ha come obiettivo primario la cancellazione del contratto nazionale di lavoro.
I leader dei grandi industriali hanno la faccia di bronzo, ma vanno presi sul serio perché fanno sul serio.
Confindustria, chi rappresenta? Non gli artigiani, non i piccoli e medi imprenditori (che rischiano di venire travolti dalla stretta creditizia), non i commercianti. Rappresenta quel pool di "capitani d’industria" che si sono applicati più per accumulare ricchezze e per accrescere le rendite, che per far funzionare le imprese.
E i delegati della Fiom, chi rappresentano? Quelle centinaia di migliaia di lavoratori che li hanno votati (a scrutinio segreto), che hanno il diritto di recarsi alle urne ogni tre anni per confermare o revocare il loro mandato, che possono decidere, sempre con il voto sulle piattaforme e sugli accordi.
Ecco la differenza.
Da una parte c’è una lobby di cosiddetti imprenditori che non ha mai rischiato in proprio, che non sopporta alcun controllo ma che ad ogni accenno di crisi rivendica le risorse della collettività.
Dall’altra c’è un baluardo democratico che interpreta il sentire di chi non ne può più di un sistema che considera mille persone all’anno uccise sul lavoro come il naturale prezzo da pagare allo "sviluppo".
Le delegate e i delegati della Fiom, il grande movimento di studenti universitari e medi che ha riempito le piazze e che va rispettato nella sua autonomia, i lavoratori del commercio e del pubblico impiego che manifesteranno, hanno capito che siamo entrati in una fase nuova e impongono alla sinistra la medesima consapevolezza.
Il nostro passato è segnato dalla sconfitta, dobbiamo fare i conti con il presente, e il nostro futuro non può che essere il progetto per costruire una grande forza politica unitaria che superi l’attuale frammentazione, sappia tenere insieme chi ha voglia di lottare e risponda ai lavoratori.
I lavoratori, oggi, chiedono cose concrete, in grado di modificare la loro condizione.
La loro condizione si chiama stipendio da fame. Per questo è necessario introdurre un meccanismo automatico di recupero dei salari e delle pensioni rispetto all’aumento dei prezzi e delle tariffe; la riduzione fiscale delle trattenute in busta paga; l’aumento delle detrazioni sul lavoro dipendente e precario. La loro condizione si chiama paura di restare senza il posto di lavoro: per questo bisogna estendere a tutti i lavoratori, stabili e precari, di ogni azienda (grande o piccola, pubblica o privata) e di ogni settore, la possibilità di accedere alla cassa integrazione che deve garantire un’entrata di almeno 1000 euro netti al mese.
La loro condizione si chiama precarietà: per questo è indispensabile imporre il passaggio a tempo indeterminato di ogni lavoratore precario dopo 24 mesi di rapporto "a scadenza".
Gli interessi in gioco nel mondo della scuola e nel mondo del lavoro, insieme alla capacità di reazione di questi giorni, sono la dimostrazione che è giunta l’ora di indire un grande sciopero generale.