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Edoardo Sanguineti: CARLO GIULIANI LA PRIMA GUERRA PREVENTIVA ALLA SOCIETA’ CIVILE
Publie le domenica 25 luglio 2004 par Open-PublishingTre anni fa, il 20 luglio 2001, moriva a Genova Carlo Giuliani. Moriva colpito da un proiettile sparato da un carabiniere durante la manifestazione del G8. Fu un dramma umano ma anche il dramma di un intero paese. E la violenza di quel G8, le immagini viste durante e dopo, i blitz notturni delle forze dell’ordine è rimasta una pagina intollerabile per coscienza democratica di questo paese. Oggi ci sono inchieste e rinvii a giudizio per i troppi episodi accaduti a Genova. Ma quella tragedia fu anche la prova generale di un modo di pensare l’ordine pubblico, il diritto di manifestare, la libertà di opinione, del nuovo governo di centro destra presieduto da Berlusconi.
Parve un tragico ritorno indietro ai tempi dello scelbismo. Oggi, a distanza di tre anni, ne abbiamo parlato con un genovese illustre: con Edoardo Sanguineti. Un intellettuale, un poeta, che ha sempre avuto un’attenzione assoluta per la società civile. E tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta è stato consigliere comunale a Genova, e deputato alla Camera per il Pci.
Professor Sanguineti, il giorno dopo il G8, come si è svegliata Genova?
«Come una città violentata. Ma sembrava già tutto scritto».
Come si preparò la scena del G8?
«Prima ancora che accadesse quello che poi accadde, nella zona rossa, quella inviolabile, ci furono interventi che lasciarono presagire che potesse accadere qualcosa di grave. Era proibito stendere i panni. Bisognava travestire e mettere in scena il decoro. A quanto pare c’era un’equipe addetta a una scenografia, come è tipico della maniera berlusconiana. Per lui la pubblicità è l’anima della politica».
La solita storia...
«Si cercò di spettacolarizzare il paesaggio naturale. Usando una vernice falsificante. Ma questo fu sentito come qualcosa di bizzarro e di maniacale. Tutto accompagnato dal senso di impotenza e di oppressione che ti lasciano le cose quando vengono calate dall’alto, con una città che veniva trasformata in una sorta di fortezza lussuosa. Lussuosa e molto minacciosa».
Perché?
«Era il nuovo volto del potere che si presentava falso e minaccioso. C’era qualcosa di immediatamente aggressivo. E non rientrava nella logica della tutela e della cautela dei poteri politici».
La reazione della città quale fu?
«Fu una reazione molto ostile. Anche le prospettive di guadagno da parte della città, guadagno di immagine, guadagno commerciale, non erano favorevoli. Dovevamo soffrire, ma lo scambio era iniquo».
E quando accadde l’episodio della morte di Carlo Giuliani?
«Quando fu ucciso Carlo Giuliani, ci rendemmo conto che non poteva non accadere. Visto come si era svolta la questione. A mio parere era il primo esempio di guerra preventiva a livello di guerra civile».
Una prova tecnica?
«In qualche modo sì. Voglio dire che l’azione non era di tutela, e di contenimento, ma assunse subito i caratteri di una lotta preventiva. Chiunque apparisse come un manifestante, anche il più composto, tranquillo, disciplinato, era sentito come un pericoloso sovversivo, come un aggressore, come un violento. E quelli che apparivano chiarissimamente violenti si muovevano invece del tutto tranquilli e non sottoposti a nessun tipo di contenimento».
Per molti è apparso come un disegno preciso, una volontà.
«Alla città sembrò di essere tornati ai tempi di Tambroni, o del peggior scelbismo. E Genova è una città che si è conquistata con grande dolore una emblematicità che è scritta nella sua storia. Medaglia d’oro della Resistenza, solidarietà operaia, l’antifascismo, lotta al terrorismo... ».
Sembra che Genova sia centrale per le svolte di questo paese. Lei faceva riferimento agli scontri del giugno del 1960, quando il Msi cercò di fare il suo congresso in città. Ci furono manifestazioni, e la polizia caricò i manifestanti. Per quegli incidenti si dimise il governo Tambroni, che aveva l’appoggio del Msi. E si chiuse il tentativo di una deriva di destra in Italia. Il G8 di tre anni fa, altrettanto drammaticamente, ha messo in luce certe ambizioni autoritarie del governo Berlusconi...
«E che oggi appaiono in tutta la loro chiarezza. Guardi vorrei raccontarle un episodio. Nel luogo dell’uccisione di Carlo Giuliani, si era generato una specie di spontaneo monumento fatto di fiori, di oggetti, di bigliettini, di ricordi. Siccome il luogo si trova di fronte a una chiesa, il sacerdote anche per comprensibili ragioni di pulizia, fece togliere tutto. Ma l’Arcivescovo di Genova è intervenuto subito per spiegare il gesto di questo sacerdote. Per esentarlo dall’accusa di essere stato offensivo verso la memoria del morto, e dicendo però che era molto opportuno che in qualche forma, magari con una lapide, venga in quel luogo ricordato l’episodio».
Non si può dire che l’Arcivescovo di Genova sia un esponente no global.
«E neppure un personaggio rivoltoso. È un uomo di Chiesa estremamente prudente e moderato. Naturalmente le parole dell’Arcivescovo hanno suscitato le proteste della destra».
Quel luglio del 2001 fu anche il preludio della fine di un mondo ordinato e rassicurante. Di lì a poco tutto sarebbe cambiato. L’attentato dell’11 settembre a New York, il nuovo terrorismo internazionale, la guerra in Afghanistan e poi quella in Iraq. Quella di Genova oggi appare davvero come una prova generale.
«Dopo Genova, i G8 sono stati fatti in isole sperdute. L’aver ostentato nel cuore pieno di una città, con un centro storico dove vivono emarginati, poveri, immigrati, e collocare proprio lì un vertice di potenti era totalmente insensato. Se è stato fatto apposta è terribile. Se è stato fatto per casualità è ancora peggio».
La città non si è ripresa da quel trauma?
«Per molti anni Genova aveva difficoltà economiche, problemi sociali, problemi di immigrazione. I disagi erano tanti. Facevano parte dell’esistenza quotidiana. Quello che accadde con il G8 non era atteso. È come se fosse scoppiata una bomba, interrompendo una via di ripresa che pareva dare dei segni ottimali».
Ed Edoardo Sanguineti, cosa pensava in quei giorni?
«A me è capitato di impegnarmi politicamente varie volte, ho fatto tra il 1979 e il 1983, il consigliere comunale a Genova e poi il deputato al Parlamento per il Pci. Ero nella Commissione Interni. Fu in quegli anni che approvammo, dopo molti confronti e discussioni la riforma della Polizia di Stato. E allora ci parve di superare con quella riforma i relitti dello scelbismo che sopravvivevano. Per me è stata un’esperienza molto importante. Nel luglio di tre anni fa ho avuto l’impressione che venisse buttato all’aria quello che era stato conquistato in anni di confronti democratici».
È una certa destra che ritorna, come un fantasma che non passa mai?
«Qualcuno voleva dare un segnale forte. Una rottura con la tradizione politica e costituzionale italiana. Quel compromesso storico, che stava soprattutto nella capacità di far dialogare mondo comunista e mondo cattolico, nel segno della carta fondamentale. E il segnale forte doveva essere una rottura».
Se non ci fosse stato un ragazzo morto. Se i mezzi di informazione non avesse reagito con forza. Se la gente non si fosse indignata per quello che si è visto nei filmati, il nuovo potere poteva mostrarsi nella sua nuova veste. Ordine, sicurezza, e decisionismo...
«Sì, un vero e proprio manifesto programmatico. Che ha come premessa il rovesciamento e disprezzo della costituzione in quanto tale. Tutta la gestione del G8 fu fatto scavalcando le strutture della città. Alla città non fu detto niente. Fu come un’astronave piombata sopra la città e sono arrivati gli alieni. Sicuramente Genova fu, nolente o volente, un manifesto programmatico».
da l’Unità