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Effetto Bush: aumenta il gap tra ricchi e poveri

Publie le lunedì 15 ottobre 2007 par Open-Publishing
4 commenti

Effetto Bush: aumenta il gap tra ricchi e poveri
Al vertice l’1% dei «ricchissimi» intasca il 21,2% del reddito. Alla low class (50% dei cittadini) va solo il 12,8%
GALAPAGOS

La politica economica di George W. Bush funziona. Ovviamente a senso unico, cioè a favore dei ricchi. Tanto che ieri, un po’ scandalizzato, l’edizione online della Cnn titolava: «Il gap tra ricchi e poveri è cresciuto». Come dargli torto: la distanza tra i più ricchi e i più poveri è salita ai livelli più alti, quelli degli anni ’20, il decennio precedente il crollo di borsa e la grande recessione del 1929. E i dati forniti dalla Cnn (e prima ancora dal Wall street journal) non sono stati elaborati da un centro ricerche privato qualsiasi, ma dall’Irs, l’Internal revenue service, una divisione del Dipartimento al tesoro che ogni anno fornisce le statistiche - che più ufficiali non si può - non solo sulle tasse pagate dai cittadini, ma anche sulla distribuzione dei redditi negli Usa.
Ma che dicono questi dati riferiti ai redditi 2005? Molto semplice: indicano che l’1% dei cittadini statunitensi più ricchi in quell’anno si è messo in tasca il 21,2% del reddito. Una cifra enorme, visto che, come sottolinea lo stesso Irs, i redditi accumulati da questi super ricchi hanno registrato un incremento del 19% rispetto al 2004. E, soprattutto, registrano un nuovo massimo, battendo il precedente record del 2000, quando i ricchissimi si erano messi in tasca il 20,8% del reddito complessivo.
Insomma, l’1% della popolazione si mette in tasca oltre il 20 per cento del reddito. Ma quanto è il reddito dell’uno per cento dei più poveri? Le statistiche dell’Irs non lo dicono, forse perché il reddito dell’1% di quelli che stanno alla base della piramide sociale è molto vicino allo zero. Ma l’Irs diffonde un altro dato ancora più impressionate riferito al 50% dei redditi diciamo più bassi: nel 2005 la loro quota di prodotto sociale è stata pari al 12,8% del totale dei redditi, in ulteriore discesa dal 13,4% dell’anno precedente.
L’Irs pubblica i dati sulla distribuzione del reddito dal 1986 e, come accennato, nel 2005 è stato registrato un nuovo record negli ultimi 20 anni nella ineguaglianza della distribuzione. Tuttavia, secondo molti studiosi, la distribuzione dei redditi del 2005 è la peggiore in assoluto avendo superato anche quella (ma si tratta di stime, visto l’incompletezza delle statistiche) degli anni ’20.
Negli anni di Bush c’è stato un crescendo della diseguaglianza. Il motivo principale è nella riforma fiscale da lui varata all’inizio del suo primo mandato. Una riforma che ridusse in maniera enorme le tasse per i redditi molto alti: secondo stime circa l’85% della riduzione della pressione fiscale finì nelle tasche del 10% dei cittadini più ricchi. Basti un dato: secondo uno studio (Effective federal tax) pubblicato nel marzo del 2005 dall’Ufficio del bilancio del Congresso, nel periodo 1979-2002, grazie alla «riforma» di Bush i redditi dell’1% della popolazione più ricca (dopo il pagamento delle tasse sui redditi) erano cresciuti del 119,3%, mentre per la popolazione a più basso reddito, la crescita era stata di appena il 4,5%. Le cifre assolute sono ancora più impressionanti: mentre per la popolazione povera i redditi in 21 anni sono aumentati in media di 600 dollari, i «paperoni» hanno visto crescere il loro reddito di 332.800 dollari. Come a dire 500 volte di più dei poveracci.
Che i picchi nella cattiva distribuzione del reddito siano stati toccati nel 2000 e nel 2005 non è casuale: larga parte della ricchezza deriva dalle attività finanziarie e in questi due anni le borse hanno fatto faville. E in borsa guadagna chi di soldi ne ha già in abbondanza
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/13-Ottobre-2007/art43.html.

Messaggi

  • Mi sembra ingiusto parlare di "effetto Bush": nell’economia moderna le operazioni finanziarie contano più dell’economia reale, addirittura ad un ratio1:100 se non sbaglio.E’ evidente quindi che danaro produce danaro in una spirale un pò perversa e chi più ne ha più ne produce e quindi ne ricava ed, in buona sostanza chi è ricco si arricchisce ancora di più.Al contrario chi è addettto all’economia "reale" (per esempio chi produce un’auto) si deve accontentare di una frazione di quell’ uno per cento dell’economia. Inutile dire che tutto ciò è assurdo perchè se non ci fosse quell’uno per cento "reale" crollerebbe anche il restante e che il 99% di "irreale" produce solo storture ma sembra che non importi a chi governa Dovrebbe essere lo stato a correggere con normative ad hoc e tassazione e "governare" tali fenomeni (del tutto peculiari alle moderne economie ripeto) ma il governo Bush come molti altri sembra non importarse affatto anche perchè espressione di questa elite che continua a fare soldi con i soldi.

  • Ciò che a me colpisce è che le differenze storiche che vi sono tra l’Europa e gli Stati Uniti (e di conseguenza la più ristretta e più egualitaria forbice nella distribuzione del reddito dalle nostre parti) continuano tuttora a coprire l’assoluta equivalenza delle tendenze tra le due sponde dell’Atlantico.

    Il recente rapporto della Caritas sulla povertà, che ha portato i grandi media italiani ad esprimere una preoccupazione di circostanza per l’aumento di questo fenomeno sociale, segna una tendenza del tutto parallela alla crescita delle grandi ricchezze, e alla progressiva erosione del ceto medio.

    La mia furibonda polemica verso il governo di centro-sinistra (che mi porta addirittura al boicottaggio della manifestazione del 20 ottobre, per l’alto grado di esposizione dei partiti dell’ala sinistra della coalizione, complici della frode) deriva dalla assoluta volontà di non collocare il discorso delle politiche economiche in questo quadro di tendenza così rivelatore.

    Continua a diffondersi una "saggezza" economica, come quella del babbione ex inquilino del Quirinale, Carlo Azeglio Ciampi, nume tutelare di questo governo, che ieri in un’intervista al TG, continuava a ripetere che con la crescita economica tutti questi problemi di equità si risolveranno da sé. Come se fosse possibile una nuova stagione di crescita economica paragonabile a quella del boom degli anni 60, in cui la conflittualità sociale era attenuata dalla abbondante ricchezza da distribuire, e non fossimo invece prossimi a scenari da autunno caldo (quello vero, del 1969) su cui tutti si affannano a gettare acqua.

    Gianluca // http://achtungbanditen.splinder.com/

  • A me sembra, Gianluca, che hai colpito nel segno anche se solo in parte.In Europa vedono allargarsi la forbice ricchi/poveri quei paesi che si stanno "americanizzando" più in fretta. In paesi come Italia, Inghilterra ed in parte germania e Francia c’è una più o meno marcata erosione del ceto medio (motore a mio modesto avviso di democrazia ed economia sana) mentre paesi come Svizzera, Finlandia, Svezia vedono ancora un forte e maggioritario ceto medio. Le conseguenze si stanno cominciando a vedere in una disaffezione verso la politica vista come incapace di risolvere problemi concreti (laddove la colpa non è della politica ma dei politici), in una economia stagnante e sempre più rivolta alla finanziarizzazione (soldi che producono soldi), famiglie intere sempre più nell’indigenza e quindi più vulnerabili alle sirene "dell’uomo forte"(vedi polemiche sui lavavetri), indolenza, ignoranza ecc.La soluzione è palese: bisogna rinunciare al modello americano e ritornare all’equità tipicamente europea.

    • Non esistono nell’occidente indutrializzato forti dati di controtendenza rispetto all’aumento della sperequazione nella distribuzione del reddito nazionale. Alcuni casi sembrano sottrarsi, ma in realtà nei dati di lungo periodo mostrano la stessa tendenza generale, e il loro arretramento più lento è dovuto a tradizioni storiche di uguaglianza economica più marcata oltreché, come nel caso del modello scandinavo, tassi di crescita economica superiori alla media dell’UE (fatto accuratamente nascosto nel nostro dibattito economico, che cerca di inculcare a livello popolare le tesi "trickle down" secondo cui la crescita economica dipende dal moderato prelievo fiscale sui ricchi e sulle imprese).

      E’ semmai rivelatore della forza ideologica della destra il fatto che nel dibattito economico di quei paesi le tesi neoliberiste ricevano sempre più ascolto, nonostante il buono stato delle loro economie, basate su un modello di forte integrazione sociale realizzata attraverso l’assistenza pubblica.

      Inviterei anche a un po’ di cautela nel cantare le lodi sui valori egualitari dell’Europa. Di quale Europa stiamo parlando? Non certo l’Unione Europea del dopo Maastricht, costruita ad immagine e somiglianza degli interessi bancari e finanziari. Anzi, l’ultimo atto di lungimiranza politica che ricordo della Svezia è stato il referendum popolare con cui si è deciso di rimanere fuori dall’eurozona, dato che tutti capivano che senza una corona che rispondesse a politiche monetarie nazionali non avrebbero fatto altro che accelerare i tempi dello smantellamento del loro welfare.

      Gianluca — http://achtungbanditen.splinder.com/