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di Carlo Cartocci
I cittadini italiani residenti all’estero, che hanno votato per l’Unione e che, con quel voto, hanno reso un poco più solida la traballante maggioranza al Senato, guardano con interesse alla prossima legge finanziaria.
Hanno alcune aspettative che sono giustificate dal programma sulla base del quale sono stati invitati a votare per il centrosinistra. Aspettano un segnale positivo: non la soluzione immediata dei numerosi problemi che li affliggono, ma alcune misure che indichino una inversione di rotta, l’avvio di un nuovo percorso di attenzione e di riconoscimento pieno dei diritti universali dei cittadini e delle cittadine, delle donne e degli uomini.
Innanzi tutto, va ricordato che le esigue risorse riservate agli italiani nel mondo non sono mai state tagliate dai governi di centrodestra e sarebbe un errore politico, oltre che una ingiustizia, operare diminuzioni quest’anno.
In questi giorni sono circolate una ridda di informazioni, più o meno fondate, su tagli e/o aumenti delle somme destinate agli italiani all’estero. Il Viceministro Danieli ha dichiarato che non ci saranno tagli e anzi sono disponibili circa quattordici milioni di euro in più da “spalmare” sulle varie urgenze. L’opposizione parla invece di sedici milioni di tagli e razionalizzazioni che interesserebbero più o meno direttamente gli emigrati. Per una corretta valutazione occorre aspettare le cifre definitive, per ora possiamo solo fare alcune riflessioni.
Nel programma dell’Unione per l’estero si prometteva l’Assegno di solidarietà per le situazioni di più grave povertà: sarebbe una spesa valutabile intorno ai cinquanta-settanta milioni di euro e non può essere affrontata quest’anno, ma si deve dare un segnale che rassicuri che non si tratta di una promessa dimenticata. Il segnale potrebbe consistere nella conferma degli stanziamenti del 2006 con l’incremento annunciato da Danieli.
Come dovrebbe essere utilizzato questo incremento? Con circa due milioni potrebbero stipulare convenzioni assicurative con gli ospedali per l’assistenza diretta sanitaria, che coprirebbe tre o quattrocentomila cittadini in difficoltà economiche, il 75% dei quali residenti in America del Sud. Si potrebbe poi intervenire per rendere più efficienti i Consolati, alcuni dei quali devono risparmiare perfino sull’elettricità per l’illuminazione e hanno una tale deficienza di organici che il disbrigo delle pratiche subisce ritardi di diecine di anni!
A questo proposito va ricordato che in molti paesi sarebbe conveniente, piuttosto che ricorrere solo al personale proveniente dall’Italia, utilizzare personale locale: con i costi di un impiegato in trasferta si potrebbero assumere tre o quattro impiegati locali. Non mi sembra, invece, che costituirebbe una scelta urgente l’istituzione di un museo dell’emigrazione, idea che sta circolando e che sarebbe una iniziativa fascinosa, ma sicuramente per il momento rinviabile.
I fondi destinati alla gestione dei Comites (organismi di rappresentanza democratica degli italiani all’estero) sono scarsi e vengono erogati con ritardi tali da costringere i Comites ad indebitarsi con le banche locali. Oggi per tutti i Comites del mondo si stanziano duemilioni e duecento mila euro: sarebbe un segnale positivo un incremento, per ora anche non rilevante, e soprattutto uno snellimento delle pratiche di erogazione.
Lo stesso discorso va fatto per gli enti e le associazioni che organizzano corsi di lingua e cultura italiana: fondi insufficienti e lentezza estrema di erogazione. Anche in questo caso un segnale positivo sarebbe non solo un aumento, ma un abbattimento dei tempi e delle procedure di erogazione che oggi prevedono ben cinque livelli di approvazione.
Ci sono infine una serie di interventi di riforma e di miglioramento degli Istituti di cultura, dell’informazione radiotelevisiva, degli accordi bilaterali nell’istruzione e nella sanità e nella cooperazione, che possono essere razionalizzati e migliorati senza spese e in alcuni casi con il recupero degli sprechi.
A chi pensa che queste richieste, se pur minime, siano comunque eccessive di fronte ai gravi problemi che la finanziaria deve risolvere, vorrei ricordare che la vera svolta che gli italiani all’estero vorrebbero vedere consiste proprio in un capovolgimento di paradigma: i fondi da destinare agli italiani nel mondo (per il welfare, l’informazione, la rete consolare, i corsi di lingua ecc.) non dovrebbero più essere considerati nei capitoli di spesa, ma in quelli degli investimenti.
Basti pensare che se si valuta il consumo di prodotti italiani, il rilancio del made in Italy e il turismo, escludendo la cantieristica, si ottiene la rilevante cifra di sessantamilioni di euro di effettivo rientro in Italia. Se si pensa all’esiguità dei fondi erogati è evidente il vantaggio per il nostro paese.
Resta infine una necessaria riflessione che concerne l’etica politica: abbiamo un debito di riconoscenza verso questi cittadini italiani che vivono all’estero e che ci hanno aiutato a liberarci del centro destra e i rappresentanti in Parlamento di questi cittadini sono indispensabili per il sostegno della maggioranza.