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Equador, più Stato Scuola e salute finanziate col petrolio

Publie le martedì 30 settembre 2008 par Open-Publishing

Equador, più Stato Scuola e salute finanziate col petrolio

di Angela Nocioni, Rio de Janeiro

Rafael Correa ha vinto. Ed è il quarto successo elettorale in due anni. La Costituzione che ha voluto per «rifondare l’Ecuador», così dice lui, è passata con il 63% dei ’sì’ (28% dei ’no’) al referendum di domenica scorsa. Ha vinto anche dove temeva di perdere, nella Guayaquil industriale e ricca. Anche lì, città roccaforte dell’opposizione al modello radicale di governo proposto dal giovane economista eterodosso eletto alla presidenza nel 2006, i ’sì’ hanno superato i ’no’ di qualche punto percentuale. Dimostrazione che il lungo lavoro di tessitura politica svolto in questi mesi in Assemblea costituente dal governo è servito. Ma anche prova che l’Ecuador non è un Paese diviso in due, non è la Bolivia, non corre il rischio di una guerra civile.

«Questo voto è lo specchio dell’ebollizione politica latinoamericana - ha detto Correa raggiante - qui le cose cambiano e cambiano democraticamente. L’Ecuador ha deciso di diventare un Paese nuovo, le vecchie strutture di potere sono state sconfitte».

Il sindaco di Guayaquil, Jaime Neibot, simbolo dell’opposizione politica che considera la Carta «statalista e pericolosamente centralista» ha riconosciuto il risultato elettorale escludendo nei fatti, almeno per ora, che il polo economico dell’Ecuador si traformi in un fortino in guerra contro il governo federale.

Il nuovo testo costituzionale dà allo Stato il diritto di regolare settori dell’economia considerati strategici: i giacimenti petroliferi, le miniere, le telecomunicazioni, l’acqua e l’agricoltura.

Il padre della nuova Costituzione, l’economista Alberto Acosta, ex-presidente dell’Assemblea costituente (dimessosi durante i lavori per contrasti con Correa, voleva più tempo e se ne è andato dicendo che una Costituzione non si può approvare di corsa) diceva ieri che il nuovo testo «non è buono come avrebbe potuto essere, ma offre gli strumenti per mettere fine all’era neoliberista costata all’Ecuador decenni di instabilità politica e finanziaria». «Attenzione però - suggerisce lui - non sono cambiamenti da fare dalla sera alla mattina».

Il cuore della nuova Carta sta nella sua parte economica, 64 dei 444 articoli si occupano del ruolo dello Stato nell’economia, ma le norme che più polemiche hanno suscitato riguardano i diritti civili. Le coppie di fatto, indipendentemente dalle scelte sessuali di chi le compone, sono equiparate per legge a quelle sposate. E, soprattutto, è riconosciuto il diritto di ciascuno ad avere quanti figli vuole. La formula è fumosa, ma la norma potrebbe essere il passaggio previo alla legalizzazione dell’aborto. Così perlomeno la pensano i vescovi che sono stati i più attivi nella campagna referendaria per il ’no’. Nell’America latina del tabù assoluto alla legalizzazione dell’aborto - la legge peggiore ce l’ha il Nicaragua del sandinista Daniel Ortega, uno scambio fatto all’ultimo momento prima del voto per avere l’appoggio della Chiesa - quel passaggio nel testo costituzionale del cattolicissimo Ecuador preoccupa il Vaticano. Che però su questo punto ha perso. Nella Quito dei cuori trafitti dei gesuiti e delle mille cupole d’oro il principio è passato.

Prevista anche una norma che consente l’espropriazione e le ridistribuzione di latifondi non coltivati. Per il resto la Carta impegna lo Stato a garantire i diritti alla salute e alla educazione. Proibisce il lavoro di chi ha meno di 15 anni e rende obbligatoria la frequentazione scolastica fino alla fine delle secondarie. Prevede che gruppi indigeni possano governare autonomamente loro antichi territori. Riconosce il diritto all’immigrazione e all’emigrazione (il 20% degli ecuadoriani vive fuori dal Paese, è scappato durante le crisi economiche degli ultimi dieci anni ed è finito in buona parte in Europa, soprattutto in Spagna, quasi sempre a fare la colf, o ad assistere gli anziani). L’opposizione non mette in discussione questa parte del testo, dice di condividerla, ma sostiene che non ci sono i soldi per applicarla. Quindi accusa Correa di demagogia populista. Aumento rapido della spesa pubblica per un Paese che cresce al 4%, polemizzano a Guajaquil, vuol dire deficit che si gonfia. Correa, che l’economia l’ha studiata a Chicago, lascia intendere che potrebbe smettere di pagare il debito estero se i profitti petroliferi non fossero sufficienti a coprire la spesa pubblica.

Sopracciglia alzate tra i critici anche per l’introduzione di una norma che consente la rielezione presidenziale. Finora il presidente della repubblica in Ecuador non poteva avere più di un mandato di quattro anni. E’ con questa legge che si andrà a votare entro il marzo del 2009: se Correa vincesse, entrando in vigore la Costituzione, potrebbe teoricamente rimanere al governo fino al 2017. Esiste la figura del referendum revocatorio, ma per avviare la procedura bisogna raccogliere le firme del 15% degli aventi diritto al voto. Non pochissime.