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Esercizi di guerra fredda

Publie le giovedì 31 luglio 2008 par Open-Publishing

Esercizi di guerra fredda

di Astrit Dakli

Molto rumore su finti scoop, come i «missili a Cuba» o le «armi a Iran e Venezuela». La realtà è un braccio di ferro in cui il Cremlino inizia a infastidire il big business Usa. E per McCain ormai Mosca è tema di campagna elettorale

Negli Stati uniti ormai in piena campagna elettorale, la nuova Russia «buona» di Dmitrij Medvedev sembra sul punto di essere iscritta d’ufficio nel ruolo di capofila dell’«asse del male». Se Barack Obama mantiene ancora una certa prudenza nei confronti di Mosca, «partner indispensabile», il suo rivale John McCain sembra aver scelto l’idea di una nuova Guerra Fredda con i russi come leit-motiv della propria campagna, a partire dalla bizzarra richiesta di espellere la Russia dal G8. Ma, al di là di McCain, è vero che il clima dei rapporti tra i due paesi assomiglia sempre più, almeno nei titoli dei media, a una stravagante ripetizione de-ideologizzata della Guerra Fredda. Bombardieri russi a Cuba! Missili russi all’Iran! Miliardi di dollari di armi russe a Chavez! E chi più ne ha più ne metta. Ma è forte il sospetto che la vera partita sia in realtà tutt’altra e che il gran vociare sulle armi serva soprattutto a nasconderla.

Intanto, la fonte di questi allarmanti titoli non è l’intelligence statunitense ma la stampa russa, che cita presunti «esperti» di casa propria. Sono questi «esperti», sulle colonne di giornali autorevoli come le Izvestija, che hanno dato notizia del futuro dislocamento a Cuba di alcuni bombardieri strategici russi a mo’ di «contromisura» per l’installazione dello scudo antimissile americano in Europa orientale: addirittura è stata fatta circolare la notizia secondo cui dei bombardieri sarebbero «già stati» recentemente sull’isola caraibica. Nell’insieme, qualcosa di molto simile a un ballon d’essai guidato dall’alto, tanto che fonti governative hanno poi smentito tutto - nessun piano di ridislocamento dei bombardieri e neanche degli aerei da rifornimento - ma senza fretta.

Altrettanto vaga la questione delle armi destinate all’Iran: si tratterebbe, in questo caso secondo fonti iraniane, di alcuni sistemi missilistici antiaerei mobili S-300, destinati alla protezione di centri industriali e obiettivi delimitati. Mosca ha negato di aver concluso contratti del genere con Tehran (che invece ha un ovvio interesse a mostrarsi «ben difesa»), ma la stampa russa si è gettata con entusiasmo sulla notizia, dandole una grande enfasi.

Infine il viaggio a Mosca, la settimana scorsa, del presidente venezuelano Hugo Chavez: anche qui i media russi, ripresi da quelli occidentali, si sono lanciati in ardite illazioni circa i contratti militari stipulati da Chavez con il premier Putin. Si è parlato di 30 miliardi di dollari di armi, dai sistemi missilistici avanzati ai sommergibili, anche se pare che in ultima analisi l’entità dello shopping del leader venezuelano sia stata molto minore (intorno ai 5 miliardi) e limitata ad una partita di aerei da trasporto Il-76, a un limitato numero di missili antiaerei «da spalla» Igla, ad alcuni tank T-90 e a un bel po’ di fucili, i classici kalashnikov in versione XXI secolo.

Tutta roba destinata non a creare un poderoso nuovo arsenale ma semplicemente a sostituire equivalenti americani ormai quasi inutilizzabili per mancanza di ricambi dovuta all’embargo imposto da Washington.
Dunque non si capisce bene perché tanta enfasi, sia a Mosca che in occidente, su questo mercato delle armi, in fondo non particolarmente preoccupante. Se non che, a guardar bene, in realtà non sono gli affari militari conclusi da Chavez con Putin a preoccupare l’America, ma gli affari petroliferi che il leader venezuelano ha trattato con Medvedev. Sotto il sorriso cordiale del nuovo presidente, i boss russi del gas e del petrolio hanno infatti messo molte firme su altrettanti contratti che aprono a Mosca le porte energetiche del continente americano - con alcuni risvolti paradossali, per esempio che adesso il petrolio venezuelano arriverà nei serbatori delle auto statunitensi attraverso la rete di stazioni di servizio che la russa Lukoil ha di recente allargato negli Usa.

Questo è un po’ il punto di tutta la storia. Lo «scudo» antimissile in Europa e le presunte «risposte adeguate» di Mosca sul piano militare sono - almeno finora - soprattutto una rappresentazione dei rapporti Usa-Russia, un teatro che nasconde un altro problema, lo scontro durissimo in atto sul piano economico e finanziario. Lo stato russo ha per esempio ritirato in questi giorni gran parte dei 100 miliardi di dollari che aveva investito nelle finanziarie americane Fannie Mae e Freddie Mac (garantite dallo stato): un colpo non da poco sugli equilibri finanziari statunitensi, già in seria crisi. E ancora: ormai si sta avviando a conclusione, con la cacciata dalla Russia dell’amministratore delegato americano Robert Dudley, la conquista russa della grande impresa petrolifera Tnk-Bp, joint venture anglo-russa titolare di enormi riserve petrolifere in Siberia e nella zona artica. Qui ad agire contro la parte occidentale (l’inglese Bp, con forti interessi americani) è un’alleanza di cinque oligarchi, ma ci sono pochi dubbi sul fatto che essi agiscano con il placet, se non su espressa indicazione, del Cremlino.

Più in prospettiva c’è anche un terreno - anzi, una regione - dove le due questioni, militare ed economica, si fondono in una sola: l’Artico. Sotto la banchisa, rende noto un rapporto dell’Ente geologico statunitense, ci sono almeno 90 miliardi di barili di petrolio facilmente accessibili e almeno 50.000 miliardi di metri cubi di gas naturale. E guarda caso, è da almeno due anni che la Russia sta ponendo paletti su paletti nella regione artica per affermare i suoi diritti di proprietà: la tesi secondo cui una gran parte della piattaforma continentale sotto la banchisa è la «continuazione naturale» delle formazioni geologiche siberiane è ormai qualcosa che va al di là delle teorie scientifiche per diventare esplicita rivendicazione di possesso. Rivendicazione che spedizioni scientifiche, sommergibili nucleari, basi militari costiere e voli di pattugliamento dei bombardieri strategici (qui, non a Cuba, ben reali) stanno cercando di rendere incontestabile.

Grazie al groviglio di interessi portati dalla globalizzazione, Mosca si sta preparando a sfruttare quelle nuove immense riserve energetiche usando aziende occidentali. Sono la Shell e la Total che stanno firmando i contratti con la Russia per avere accesso, in un prossimo futuro, a quei ghiacciati campi petroliferi da cui la Bp sta venendo espulsa...

Il Manifesto