Home > FESTA CON SCASSO
di ROBERTA CARLINI
Adesso non gli resta che riformare anche le leggi della matematica, e sono in una botte di ferro. Le notizie raggelanti provenienti dai numeri della finanza pubblica ieri si sono sovrapposte ai festeggiamenti della maggioranza di Montecitorio: dove la legge salva-destra è passata e tutti gli uomini (gli uomini) di Berlusconi hanno potuto brindare al successo. Nel frigo, lo champagne è pronto per nuove feste: il passaggio della nuova legge elettorale al senato, la già promessa abolizione della par condicio, e poi chissà quali altre sorprese può riservare il rinato Cavaliere.
Nell’euforia di una parte e nello sconforto dell’altra, rischiano di passare inosservate le condizioni un cui l’ultimo golpe è maturato. In rapida successione sono arrivate ieri le seguenti novità: il governo si appresta a varare una manovra correttiva dopo avere per mesi bollato come «Cassandre» tutti coloro che ne paventavano la necessità; la Corte dei conti ha fatto notare che mancano 6,4 miliardi alla voce «dismissioni immobiliari»; le regioni e i comuni hanno lasciato il tavolo del governo dopo aver scoperto il dimezzamento del fondo sociale. Intanto i pacifici rettori quasi occupano le università e i cinema chiudono per lutto.
Il divario che separa i due scenari è impressionante. Di qua la festa, di là il disastro; di qua l’idea di una svolta che resuscita una coalizione bocciata in tutti i voti intermedi, di là l’immagine nitida delle macerie lasciate in quattro anni di governo; di qua i pieni voti, di là i sonori fischi. Si potrebbe dire che è la solita distanza tra il paese reale e la sua rappresentazione parlamentare, o che la politica viaggia con logiche sue e su binari propri, che niente o poco hanno a che vedere con i fatti e i numeri e la realtà. Ma forse non basta dire questo e forse i due scenari sono le due facce della stessa realtà: una realtà in cui Berlusconi usa gli ultimi scampoli di potere che ha in mano per lucrarne il massimo vantaggio, per sé (prima) e per la propria truppa (poi). Scassinando quel che trova sottomano: ieri l’ordinamento giudiziario, oggi la legge elettorale, domani la par condicio, ieri oggi e domani il bilancio pubblico.
Lo scasso sul bilancio pubblico è stato quello fatto con più destrezza e cortine fumogene: prima coperto dallo slogan del «meno tasse per tutti», poi nobilitato dallo scontro con «i burocrati di Bruxelles»; ora attribuito alle Due Torri, ora all’euro o alla Cina o, chissà, all’uragano Katrina; un giorno negato l’altro giorno evidenziato con drammatico colpo di scena. I danni non si limitano all’oggi, ma sono a futura memoria: come nel caso dei vecchi cari condoni fiscali, entrati ormai nella prassi quotidiana al punto tale che ci vorranno anni di lotta all’evasione per sperare che chi deve pagare le tasse ricominci a farlo; o come nel caso nuovissimo del Ponte sullo Stretto, con un contratto privato che mette a carico della collettività (e a vantaggio dell’Impregilo) qualsiasi ripensamento futuro in materia: cascasse il governo o il mondo, quell’opera si deve fare, e se non si fa si deve pagare come se la si facesse.
Non c’è bisogno di seguire la dottrina del bilancio in pareggio né di allinearsi ai custodi di Maastricht per suonare l’allarme: non perché si è sforato un tetto o violato un parametro, ma perché le poche e sofferte risorse che c’erano, ed erano di tutti, sono state utilizzate a vantaggio di pochi, ed erano pochi che non ne avevano alcun bisogno. Ancora una volta ieri sera Tremonti ha detto in tv che non metteranno le mani nelle tasche degli italiani: ma stavolta ha ragione, giacché le troverebbero vuote.